13 novembre Roberto Zanrè* 12.11.2012 Oggi 13 novembre 2012 in tutte le scuole d’Italia le prime due ore saranno dedicate alle assemblee convocate unitariamente da tutti i sindacati della scuola. La partecipazione dei docenti e di tutte le figure che operano nella scuola sarà pressoché totale e costituisce una delle forme di protesta in programma in queste settimane (tra queste ci sono anche le dimissioni in massa da tutte le numerose attività essenziali e non retribuite che permettono la gestione della scuola – comprese le uscite didattiche – e lo sciopero unitario del 24/11/12) a causa dei contenuti dell’art. 3 della bozza della Legge di Stabilità 2013. Se questo articolo venisse votato dal Parlamento, così come è stato scritto, porterebbe ad un innalzamento dell’orario di lezione “frontale” dei docenti da 18 a 24 ore. L’unico obiettivo di una simile proposta è quello di effettuare tagli della spesa e infatti le controindicazioni sono totali e generalizzate. In passato non si è mai assistito a proposte di una tale miopia. Una sola domanda su tutte. E il diritto degli studenti ad avere un insegnamento di qualità? Al di là dell’apparente fattibilità di una simile proposta, forse molte persone non hanno ben valutato le conseguenze di questo provvedimento. Innanzitutto non è corretto definirlo un “innalzamento” dell’orario di lavoro dei docenti. Già oggi infatti i docenti lavorano per un monte ore che supera di gran lunga le 18 ore settimanali (diciamo che si avvicina senz’altro al doppio), pur vedendosene retribuite solo 18. Ma la conseguenza più grave e sottovalutata sarebbe il fatto che un aumento dell’orario frontale porterebbe ad un aumento del numero di studenti in carico ad un singolo docente. Anche oltre trecento studenti per molti docenti di scuola superiore, per esempio. Si può affermare – con preoccupazione – che diventerebbe completamente velleitaria qualunque istanza che presupponga un insegnamento di qualità. Non comprendere questo punto essenziale – cioè l’impossibilità di insegnare e valutare più di trecento studenti con trasparenza e qualità – significa avere un’idea molto strana e non pedagogica dei processi di insegnamento e di apprendimento. Forse invece non è abbastanza noto che la maggioranza dei docenti italiani vedrebbe di buon occhio un riconoscimento ufficiale di tutto il lavoro effettuato in modo sommerso. Ma perché un aumento dell’orario di lezione frontale? Non è vero che in Italia i docenti lavorano meno che nel resto d’Europa. In realtà siamo in linea con la media dei paesi OCSE. E’ vero, invece, che dove il sistema scolastico è migliore del nostro le ore di insegnamento frontale sono sempre inferiori che in Italia. In Giappone, per esempio, i docenti insegnano 50 ore in meno all’anno nella scuola primaria, 17 in meno nella secondaria di I grado e ben 119 in meno nelle superiori. In Finlandia, il paese da anni ai primi posti di tutte le rilevazioni internazionali, nella scuola primaria le ore annuali di insegnamento (non quelle totali di servizio) sono 677 (Italia 757), nella scuola di I grado 592 (Italia 619) e nella scuola di II grado 550 (Italia 619). Per questo i professionisti della cultura e della formazione, essenzialmente dediti a esercitare il proprio servizio senza fare troppo rumore, hanno finalmente compreso che sta per essere abbattuto l’ultimo muro a difesa della scuola pubblica. Un muro fortemente indebolito e logorato in molti anni di ripetuti e periodici cannoneggiamenti di diversa provenienza e ideologia. Chiediamo a tutta la pubblica opinione e ai cittadini che comprendono l’importanza della scuola di informarsi e di comprendere il significato di quanto sta accadendo. I docenti sono a disposizione per spiegare nei dettagli come stiano veramente le cose. La scuola pubblica è uno dei valori fondamentali di una società evoluta – tra l’altro faticosamente concepito e conquistato – e un servizio alla collettività di impareggiabile valore. E’ la scuola infatti che permette l’elevazione morale, culturale, economica dei singoli cittadini. E’ la scuola che permette ad una società di diventare benestante, permettendo la condivisione di un tessuto culturale sul quale innestare la crescita della società stessa, l’innovazione delle idee e delle procedure; tutti elementi importantissimi della vita in una società evoluta. Nella società italiana è diventato necessario e urgente occuparsi della condivisione degli obiettivi e dei significati della scuola. Senza condivisione di questi obiettivi e di questi significati si continua a compromettere la corretta comunicazione sul vero oggetto di discussione – la formazione di qualità delle nuove generazioni e la crescita della società – con la conseguenza di lasciare il campo aperto a misconcezioni, pregiudizi ed elementi irrazionali, che vengono diffusi attraverso slogan superficiali all’indirizzo degli sguardi spesso distratti dell'opinione pubblica. E’ pur vero che nel nostro paese appare difficile far maturare in generale un sincero interesse per la cultura e per la formazione. Un problema per il quale la stessa scuola ha le proprie responsabilità. Ma è indubbio che non aver ancora creato questa percezione in modo diffuso costituisce uno dei problemi di base del nostro paese. Non a caso paghiamo questa mancata consapevolezza in termini di mancata crescita e di preoccupanti difficoltà riguardo al futuro. Questo dovrebbe far riflettere, anziché lasciare libero il campo a frettolose analisi e altrettanto sbagliate sintesi. A fronte dell’importanza sociale della scuola non possiamo più accettare che si perpetui lo stereotipo dell’insegnante come un professionista a tempo parziale. Senz’altro non possiamo più tollerare che sia proprio un Ministro della Pubblica Istruzione della nostra repubblica a rilasciare messaggi che riproducono i soliti pregiudizi su una delle professioni più importanti in una società moderna. Non possiamo più accettare che si svilisca ulteriormente la rilevanza sociale della professione docente. Sulla carta sono anni che si sprecano le dichiarazioni altisonanti sulla necessità di elevare la qualità dell’apprendimento. Sono anni che si parla di costruzione di ambienti di apprendimento efficaci e rispondenti ai bisogni di una società moderna. Si parla da tempo di didattica individualizzata e di integrazione scolastica degli studenti con disabilità, ma queste rimangono frontiere lontane per la nostra scuola. Tutto questo viene da tempo proposto dagli addetti ai lavori ma poco compreso dai nostri burocrati e dalla società stessa. I decisori finali dimostrano di non possedere la minima competenza su questi concetti e si sentono liberi di assumere decisioni unilaterali e di un livello inqualificabile per la dignità di qualunque professionista, comunque lesive del ruolo centrale dei docenti in questi processi. Da molti anni nella scuola si sta cercando di far quadrare un cerchio, rilasciando a più riprese proposte schizofreniche e contraddittorie. E’ ora che gli addetti ai lavori prendano la parola. La società in un certo senso appare comprendere la necessità di offrire ai propri studenti una formazione di qualità – percependo i complessi e intrecciati elementi che insieme possono realizzare la formazione – ma contemporaneamente si presta in modo contraddittorio ad appoggiare implicitamente la demagogica politica di svilimento della professione docente e di conseguenza della qualità della scuola. Le contraddittorie proposte che vengono fatte dalla politica sul fronte della formazione e della scuola per ora hanno avuto l’inaspettato effetto di unificare il mondo dei professionisti della scuola. Questo è un bel risultato. Questo merito bisogna senz’altro riconoscerlo a questa tanto criticata politica italiana, anche se essa si trova nella non invidiabile posizione, non dovremmo mai dimenticarlo nelle nostre riflessioni, di avere la principale responsabilità dell’attuale situazione economica e finanziaria. Nonostante l’evidente responsabilità, la nostra casta aristocratica di politici avulsi dalla realtà sociale, non ha nemmeno avuto il buon senso di dimettersi in massa. Anzi, con totale noncuranza e sfacciataggine, questa nuova aristocrazia moderna è persino arrivata a delegare a dei tecnici (benvenuti o meno) l’onere di risollevare le sorti dell’Italia, pur continuando a costare come prima, cioè molto di più della media dei paesi occidentali e europei. Quanto a decidere di partecipare ai sacrifici che vengono chiesti a tutti i cittadini, i nostri politici, proliferati in tutti i settori della società e in numero abnorme, sembrano non sentirci proprio. Sarebbe sufficiente un piccolo taglio ai privilegi di questi signori nullafacenti – che continuano ad appropriarsi dei nostri soldi anche in tempo di crisi – per coprire qualunque taglio a servizi così essenziali per i cittadini e per una società che vuole continuare a crescere.
Roberto Zanrè Docente di Chimica, I.I.S. Canova - Vicenza |