LA RICERCA Istruzione, le due Italie Il divario con il Nord nel rapporto 2010 della Fondazione Giovanni Agnelli La Stampa 24.2.2010
La Fondazione Giovanni Agnelli è un
istituto di ricerca nel campo delle scienze sociali, fondato nel
1966 a Torino dalla Fiat e dall’Istituto Finanziario Industriale (Ifi)
nel 1966 per onorare il centenario della nascita del fondatore della
Fiat. A partire dal 2008, la Fondazione ha deciso di concentrare il
proprio impegno di ricerca sui temi della scuola e dell’education,
realizzando ogni anno un rapporto sulla scuola in Italia. L’edizione
2010, che verrà presentata questa mattina a Roma, ha concentrato
l’attenzione dei ricercatori sulle «fratture», geografiche e sociali
in primo luogo, che caratterizano il sistema scolastico italiano.
Esiste una profonda asimmetria nelle
scuole italiane, che il rapporto definisce «divario digitale». In
molte aule le nuove tecnologie dell’informazione e della
comunicazione (ict) non sono accessibili e parecchi insegnanti non
hanno familiarità con la Rete. Sono gli stessi ordinamenti
scolastici a considerare le potenzialità del lavoro interattivo una
materia supplementare. Per questo la differenza tra ciò che i
ragazzi fanno in classe e cosa abitualmente fanno fuori è netto. Una
frattura pericolosa che rischia di allontanarli dalla scuola e di
creare un divario altrettanto significativo con i «colleghi»
all’estero. Secondo le ricerche, infatti, sono i ragazzi con più
consolidata familiarità con il computer ad avere risultati migliori.
Non perché l’uso dell’itc migliori l’apprendimento, ma perchè
stimola e incuriosisce.
Le ragazze, che pure hanno colmato il
divario di partecipazione scolastica, continuano a manifestare
ritardi nelle discipline scientifiche. Le ragioni? I pareri sono
discordi: C’è chi ritiene che tutto dipenda da differenze di genere
anche a livello di apparati cognitivi: le ragazze sarebbero meglio
predisposte alla comprensione di forme testuali, e i ragazzi più a
proprio agio con gli aspetti teorico-pratici del calcolo matematico
e col metodo scientifico. Alcuni argomentano che i gap altro non
siano che il riflesso di «modelli di ruolo», vale a dire di schemi
sociali duri a morire, che vogliono la donna specializzata (e forse
confinata) in alcune occupazioni. Mansioni che, rispetto a quelle
dei maschi, richiedono un impiego minore di strumenti quantitativi e
di «modellizzazione» scientifica.
Indirizzo scolastico e retroterra
familiare incidono sui risultati scolastici. Uno studente di liceo,
a parità di rendimento, ottiene 61 punti in più rispetto a uno
dell’Istituto professionale nella scala Ocse Pisa, cioè il test
internazionale che valuta i ragazzi delle scuole superiori. Un salto
notevole, visto che il valore medio della prova è di 500 punti.
Questo dato conferma l’immagine di una scuola del tutto ingessata da
un punto di vista sociale, dove gli studenti si vedono assegnati a
certi indirizzi o a certe scuole sulla base dell’origine sociale,
anziché dei loro meriti (anche l’estrazione socio culturale media
della scuola ha infatti un notevole impatto: 28 punti Ocse-Pisa in
più). Mancano meccanismi correttivi, come borse di studio,
assistenza, tempo pieno e un orientamento efficace.
La presenza degli alunni con
cittadinanza straniera nella scuola italiana ha assunto una forte
consistenza soltanto negli ultimi dieci anni, passando dall’1% della
popolazione studentesca del 1998-99 all’8% del 2008-09. La
distribuzione degli alunni immigrati o figli di immigrati è
diversificata sul territorio nazionale: la più alta concentrazione è
in alcune aree del Centro e del Nord del Paese, in particolare nel
Nord-Est, dove la presenza di stranieri è massiccia non solo nelle
grandi città, ma anche nei medi e piccoli centri. Sebbene l’arrivo
recente e il numero complessivo ancora contenuto nel sistema
scolastico non consentano di tracciare profili statistici definiti,
si può già notare l’insorgere di alcuni elementi di svantaggio:
dall’abbandono alla «segregazione» in un solo indirizzo formativo
delle superiori. Il 20% dei ragazzi tra i 20 e i 24 anni non ha completato la secondaria superiore: un dato che pone l’Italia al di fuori della norma europea. I ragazzi più a rischio sono maschi, spesso di origine straniera, con retroterra socio-culturale svantaggiato: non ci sono differenze fra Nord e Sud. Spesso chi abbandona ha, nei cicli precedenti, rendimenti scolastici faticosi. Un dato che, se venisse valutato come segno di pre allarme, consentirebbe di affrontare la dispersione nel momento in cui emerge, e non quando è troppo tardi. L’abbandono scolastico non soltanto danneggia il futuro dei ragazzi che lasciano, ma costituisce un pesante costo per il paese: se «magicamente» si riuscisse a eliminarlo, portando ogni giovane a conseguire un diploma, potremmo avere un milione e 300 mila occupati in più. apevoli del ritardo di preparazione che i loro figli hanno rispetto a uno studente del Nord. E dalle scuole che non riescono a preparare in maniera adeguata gli studenti». |