A proposito (e sproposito) di “BURN OUT”.

Anna Di Gennaro da Orizzonte scuola del 30/3/2007

 

Leggo l’articolo dell’INCHIESTA “PROF IN TRINCEA” svolta dal giornalista Marco Imarisio nella CRONACA del Corriere della sera di Venerdì, 23 Marzo 2007 di cui riporto una significativa parte: “I problemi della scuola visti dalla parte dei professori. Che insegnano in istituti difficili, come il Russo di Palermo.”

Valentina studia sempre, anche la domenica pomeriggio. Dalle 15 a mezzanotte i suoi inconsapevoli professori si chiamano Sandro Piccinini, Ciccio Graziani, Teo Teocoli, Fulvio Collovati. Lei prende appunti, vede tutto. E la mattina dopo sciorina il suo sapere davanti alla classe finalmente attenta: «Ragazzi, Guidolin ha fatto un'altra fissaria, il 4-4-2 non funzionava proprio». È finita che allo stadio c'è andata anche lei, magari senza scavalcare le transenne, come fanno i suoi allievi. E adesso la ragazza contesa dai professori universitari, laureata nel 1998 con una tesi subito pubblicata sui problemi della traduzione artistica dal greco al latino, soffre per gli infortuni di Amauri, come i suoi alunni. «Fa parte del lavoro. Devi sapere che mentre sei lì che spieghi Dante, il loro cuore batte per Zaccardo o per il "traditore" Luca Toni». Il fiammifero acceso. Ci sono dei giorni brutti nei quali neppure il verbo secondo Sandro Piccinini funziona, e allora Valentina si aggrappa a una frase: «Nel buio di catacomba che ci circonda, il nostro compito è quello di tenere un fiammifero acceso anche a costo di bruciarci le dita». Gesualdo Bufalino, uno dei suoi autori preferiti. Non era destino, per Valentina Chinnici. E non è vero che la vocazione uno se la porta dentro fin dalla culla. Un padre docente universitario, una madre maestra elementare e una sorella insegnante al Classico potevano essere un indizio, ma lei sognava altro. «Il 90 per cento degli iscritti a Lettere antiche non ne vuole sapere di lavorare in una scuola che non sia l'università». È sottopagato, non ti è concesso di studiare, conti meno di zero. Questo è il senso di tante discussioni sul futuro con gli amici, ed è anche una sintesi del male oscuro degli insegnanti.
Le facili ricerche sul burn out, le indagini a campione che definiscono «fortemente demotivato» il 70% dei professori italiani, non aiutano a capire. Gli insegnanti vivono quotidianamente la perdita di prestigio sociale, il degrado di un ruolo che era sacro ed ora è considerato accessorio, o peggio”.

Ho altresì letto e apprezzato sul quotidiano cartaceo, la lunga intervista alla giovane docente apparsa nelle cronache nazionali "LI RINCORRO PER FARLI STARE SEDUTI MI PROVOCANO PER VEDERE SE CEDO". Fermo restando che occorrerebbe adeguato approfondimento, mi permetto di eccepire a riguardo dell' inadeguata terminologia usata, rispetto al DECENNALE lavoro di ricerca e comparazione tra categorie professionali, dal giornalista sorprendentemente definite "facili ricerche sul burn out"! Allo scopo di ridimensionare la banalizzazione della delicata questione, segnalo l'intervento concesso - ben due anni or sono - dallo specialista medico del lavoro Vittorio Lodolo D'Oria e pubblicato nella newsletter n° 27 del lungimirante prof. Paolo Odasso, direttore dell'IRRE PIEMONTE il 21 aprile 2005, in occasione della presentazione al Docet del dossier SCUOLA DI FOLLIA.

Anna Di Gennaro – Milano 24/III/2007 adige@fastwebnet.it

http://www.irrepiemonte.it/newsletter/n27.html



Riflessioni di un medico sul disagio mentale degli insegnanti.

Quando nel '92 mi sedetti per la prima volta al tavolo del Collegio Medico per l'inabilità al lavoro, dovetti ricorrere - insieme ai miei colleghi - ad una facile ironia per giustificare quel fenomeno che vedeva frotte d'insegnanti lamentare malattie psichiatriche di origine professionale. Ma sono gli insegnanti che diventano pazzi – ci chiedemmo increduli - o solamente i pazzi fanno gli insegnanti?

Tra lo scetticismo generale dei medici – il pensiero corrente era che questi ci marciassero ampiamente - la questione fu archiviata nella mente per qualche anno finché il tarlo del sospetto non mi indusse a procedere alla “conta”, effettuando un confronto con altre categorie professionali. Mentre la ricerca aveva preso il via nella polvere dell'archivio contenente le quasi 4.000 cartelle cliniche della ASL milanese, cercai di documentarmi sugli studi clinici internazionali con l'ausilio dei colleghi dell'Istituto Superiore di Sanità. Con grande sorpresa di tutti, non fummo capaci di reperire un solo studio medico-scientifico che approfondisse il rischio per i docenti di sviluppare una patologia psichiatrica. Erano altresì migliaia le pubblicazioni di tipo psico-sociale che consideravano gli insegnanti a rischio di burnout (termine non riconosciuto né utilizzato in psichiatria) in quanto appartenenti alle cosiddette helping-profession. Da qui la prima riflessione: gli psicologi riconoscono e spiegano il fenomeno da me osservato in Collegio Medico, mentre gli psichiatri lo ignorano. Fu stupefacente la reazione di un primario psichiatra di un nosocomio milanese che, informato dei miei studi, affermò candidamente: “Ora capisco perché molti dei miei pazienti sono insegnanti”.

Mi convinsi pertanto che era venuta l'ora di affrontare la questione provando a interessarne la rivista scientifica della Medicina del Lavoro. Sul n°5/2004 della rivista gli sforzi sono stati finalmente premiati in quanto è stato mosso il primo passo per riconoscere ufficialmente agli insegnanti il rischio di sviluppare una psicopatologia professionale. I risultati cui approdai mi valsero improperi da numerose fazioni (in verità alcuni docenti mi scrivono ancora oggi ringraziandomi per avere messo in luce la reale situazione di stress nel quale la categoria opera). Innanzitutto c'è l'opinione pubblica che – afflitta dai soliti stereotipi della mezza giornata di lavoro e tre mesi di vacanza all'anno – mi ritiene matto o burlone nella migliore delle ipotesi. Quindi ci sono gli insegnanti che si ritengono offesi e indignati perché ho osato dar loro dei pazzi. Facciano gli affari loro quei boriosi dei medici – mi scrive un docente impermalito – e non provino nemmeno a medicalizzare la scuola. Al contrario ritengo che la situazione attuale si generi anche per una deleteria e colpevole distanza tra la medicina e la scuola.

Chi vuole comprendere questa mia affermazione legga il libro “Scuola di Follia” (Armando Editore, in uscita a Maggio) dove racconto 30 lunghe storie dolorose di insegnanti la cui patologia psichiatrica è stata trattata a colpi di sanzioni, trasferimenti, diagnosi poste impropriamente da dirigenti scolastici, conflittualità con utenti e colleghi per poi giungere all'epilogo del licenziamento con la creazione di un ennesimo caso da affidare ai servizi sociali. Una piaga prima ignorata e poi affrontata con strumenti impropri. Un ambiente lavorativo divenuto invivibile, il clima educativo avvelenato da denunce legali di studenti e genitori, l'utenza penalizzata da assenze e disservizi. E le istituzioni come si muovono? Nessun problema – si afferma nella risposta ad una interpellanza urgente a firma del sottosegretario in carica – il disagio mentale degli insegnanti si risolverà con la riforma Moratti e grazie alla formazione a distanza. Strepitoso. Ma anche con Berlinguer ministro (1998) si scopre che il solito ineffabile sottosegretario di turno ebbe un'illuminazione (o abbaglio) affidando per decreto la formazione degli insegnanti alla discutibile setta di Scientology (leggere il libro per vedere i documenti attestanti fatti e misfatti). E i sindacati che fanno? Discutono di riforma scolastica e previdenziale ignorando sorprendentemente la questione salvo poi scoprire che la CISL già nel 1979 aveva sollevato la questione (nella ricerca attivata con l'Università di Pavia risultava che il 30% di 2.000 insegnanti nel milanese faceva uso di psicofarmaci) riponendola nel dimenticatoio perché scomoda o forse a rischio perché difficilmente gestibile . Un quadro indubbiamente sconfortante cui si aggiunge la scarsa propensione degli stessi docenti a ricorrere all'unico strumento efficace per ridurre gli effetti dello stress da insegnamento: la condivisione del disagio coi colleghi. Probabilmente sono gli stessi stereotipi che portano l'insegnante a vergognarsi prima e ad isolarsi poi, per non dover confessare ad alcuno il proprio profondo malessere determinato da una professione “leggera”. E' così che attecchiscono quelle reazioni di adattamento deleterie che gli psichiatri chiamano “coping negative”. Tra queste vi sono il bere (alcol e caffè), il fumare, il pasticcarsi ed il rinchiudersi in se stessi.

Viene da chiedersi quale situazione avremmo oggi se – come vorrebbe l'opinione pubblica - gli insegnanti non fruissero di così tante vacanze. Ho cercato di riportare queste considerazioni – ordinandole – nel testo “Scuola di Follia” che sarà presentato al Docet di Bologna il 16 Aprile prossimo. L'opera, che riporta le autorevoli introduzione di due nomi illustri come l'ex-ministro del MIUR Tullio De Mauro ed il neuropsichiatria infantile Giovanni Bollea, analizza figure ed atteggiamenti dei protagonisti (insegnanti, utenza, dirigenti, ispettori ministeriali e medici) nelle trenta storie di docenti affetti da psicopatia . Nel libro appare solo e reietto l'insegnante stremato, arroccato in un'immagine donchisciottesca. Ostile il collega che ignora il disagio di cui egli stesso è vittima. Spaesato il dirigente scolastico, ora gendarme ora psichiatra. Inadeguato l'ispettore-detective chiamato a dirimere controversie di natura medica. Atterriti i bimbi alle prese per la prima volta con la follia. Aggressivi i genitori che minacciano il ritiro dei figli dalla scuola. Impotenti i membri del Collegio Medico per l'Inabilità al Lavoro, costretti a scegliere tra la tutela del singolo e la salvaguardia dell'ambiente scolastico. Una lotta – tutti contro tutti - estenuante, senza esclusione di colpi, che rifugge da processi di diagnosi, cura e recupero; allontana ogni prospettiva di reintegrazione lavorativa del malcapitato; ne decreta l'inidoneità a insegnare; sancisce la definitiva emarginazione sociale.

Ciascun attore, solo col suo sapere e potere limitati, si cimenta in un duello impari dove, stremato e disorientato, soccombe a una realtà solo in apparenza indecifrabile. Sembrerebbe trattarsi di uno sciagurato incantesimo del ventesimo secolo, quello che impedisce, all'uomo e alla società, di riconoscere l'immane dispendio di energia psicofisica necessario per adempiere al compito educativo, negando al contempo dignità e prestigio a chi lo esercita . Soltanto la sinergia tra saperi del mondo scolastico e dell'universo medico-psicologico può arginare il fenomeno del logoramento psicofisico degli insegnanti e le relative conseguenze. Un libro-dossier – frutto di una paziente e scrupolosa raccolta di storie vere, testimonianze, contributi professionali, studi scientifici e documenti istituzionali – che suggerisce proposte d'intervento a tutti gli attori coinvolti, richiamandoli all'impegno comune nel tentativo di contrastare l'inesorabile crescita del disagio mentale tra gli insegnanti. Un'opera rivolta a singoli docenti di ogni ordine e grado, dirigenti scolastici, studenti e genitori ma di sicuro interesse anche per medici, rappresentati politici, istituzionali e sindacali.