Contrattazione integrativa istituto. Legittimo fornire l’elenco dei nominativi e dei compensi di Katjuscia Pitino, Orizzonte scuola 24.3.2015 Il punto della questione. Benché da oltre più di dieci anni e ancora oggi il tema dell’informazione successiva nella contrattazione integrativa di istituto sia stato oggetto di disamina in numerose sentenze e in pareri espressi dall’ARAN le conclusioni sono state irrilevanti a determinare una condotta univoca all’interno delle amministrazioni scolastiche. L’ultima battuta sull’argomento ci viene dalla Nota Aran prot.28510/90946 del 7 ottobre 2014 attraverso la quale viene data risposta ad un quesito inoltrato al Garante della Privacy che, con cura e determinazione e con un’analisi accurata, conclude che il dirigente scolastico non è tenuto a comunicare i nominativi del personale retribuito con il fondo di istituto se non “in forma aggregata, indicandone l’importo complessivo, eventualmente per fasce o qualifiche”. Si tratta solo di un chiarimento, di una licenza interpretativa del Garante giacché le Organizzazioni sindacali hanno reagito alla soluzione prospettata nel parere con una lettera congiunta al Presidente dell’ARAN del 22 gennaio 2015 chiedendo lumi sulla vexata quaestio. Sorge subito il dubbio sulla portata delle sentenze che si sono espresse a favore dell’argomento, sulla norma contrattuale ex art.6 del CCNL e sul suo rapporto con il Codice in materia di protezione dei dati personali, D. Lgs. n.196 del 2003. A dire della Nota 28510, restano “impregiudicate le altre forme di conoscibilità degli atti amministrativi, nei limiti e con le modalità stabilite dalla disciplina di settore (artt.22 ss., legge 7 agosto 1990, n.241)”. Il punto di partenza della questione è l’art.6 del CCNL del 29/11/2007 che al comma 2 elenca le materie di informazione preventiva annuale, le specifiche materie di contrattazione integrativa e quelle di informazione successiva. Su tale dispositivo, nel tempo si sono riversati gli orientamenti giurisprudenziali che hanno dato sulla contrattazione integrativa non poche interpretazioni, innescando il più delle volte anche comportamenti poco aderenti alla norma negoziale originaria. Difatti è come se, su alcune questioni riguardanti le relazioni a livello di istituzione scolastica, definite nel Contratto sopracitato, si fosse verificata una ipertrofia esplicativa della norma, tale da mettere in dubbio anche l’evidente. Secondo l’art.42 comma 7 del D.Lgs. n.165 del 2001 sui “diritti e prerogative sindacali nei luoghi di lavoro”, anche alle RSU sono riconosciute “in via esclusiva i diritti di informazione e di partecipazione”; diritti già stabiliti nel comma 2 dell’art.5 dell’Accordo collettivo quadro del 7 agosto 1998 che ha definito la modalità di costituzione e di funzionamento delle rappresentanze sindacali unitarie. Alla rappresentanza unitaria è attribuita una capacità negoziale cui può integrarsi quella delle organizzazioni sindacali di comparto, firmatarie del contratto. Le RSU esercitano nei luoghi di lavoro, congiuntamente alle associazioni sindacali, la fattibilità del contratto e la piena salvaguardia dei diritti dei lavoratori, in quanto le decisioni assunte in sede di contrattazione integrativa vengono ad incidere sulla loro sfera giuridica; i lavoratori hanno dato formalmente, attraverso le elezioni delle RSU, mandato di rappresentatività alle componenti elette, richiedendo che gli obblighi contrattuali siano pienamente rispettati. In questo caso risulta interessante la definizione di RSU come “unica istanza capace di assicurare la piena cittadinanza nei luoghi di lavoro ad un contratto che resta comunque, seppure indirettamente, efficace erga omnes” (Cfr. F. Santini). Sul versante della tematica in oggetto alle Organizzazioni sindacali e alle RSU, come già detto, è riconosciuto il diritto di informazione che non è solo un diritto preliminare, ma anche di verifica e controllo sulla realizzabilità degli impegni assunti, che siano rispettosi del contratto e a tutela in generale dei diritti dei lavoratori da scelte predeterminate e arbitrarie della parte datoriale. L’informazione preventiva e successiva ex art.6 del CCNL rappresentano infatti i due assi portanti della contrattazione integrativa entro le quali si pongono le materie di contrattazione; si tratta nella prima di azioni propositive e proattive, nella seconda di rendere conto di particolari ambiti, indicati appunto nell’art.6 del CCNL alle lettere n) ed o) e rispettivamente: nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo di istituto e di verifica dell’attuazione della contrattazione collettiva integrativa di istituto sull’utilizzo delle risorse. In merito alla seconda materia, senza nulla togliere al diritto di privacy riconosciuto agli interessati che in questo caso vengono a coincidere con i lavoratori retribuiti con il fondo di istituto, si deve ammettere che l’informazione successiva sia un modo per arginare possibili cambiamenti unilaterali del datore di lavoro, in aggiunta all’onere di verificare che il contratto sia stato perfettamente attuato nella sua forza propositiva giacché le decisioni assunte in sede di contrattazione riguardano i lavoratori. Nel corso degli anni anche la casistica giurisprudenziale, ha fatto il punto sulla questione determinando modalità di azione che non escludono affatto che il dirigente scolastico, sia tenuto a fornire l’informazione successiva. Anche se in tale ambito i comportamenti dirigenziali non sono sempre univoci bensì piuttosto variegati.
Si affronti l’argomento considerandolo sotto diversi punti di vista: quello della privacy,delle sentenze e
di ciò che ancora oggi rimane stabilito nel contratto all’art.6, indubbio sul fatto che al dirigente spetti l’onere di comunicare l’elenco dei nominativi dei lavoratori retribuiti con il fondo di istituto; ogni omissione in tal senso vizierebbe il postulato stesso su cui si fonda l’intera procedura della contrattazione integrativa: la legittimità di un contratto che sia a norma di legge ossia rispettoso della capacità negoziale attribuita alla RSU e alle organizzazioni sindacali e in generale dell’interesse collettivo. Il tema della privacy viene a correlarsi con questioni sindacali e in effetti è proprio in una determinazione del Garante della privacy nelle “Linee Guida in materia di trattamento di dati personali” risalenti all’anno 2007, delibera n.23 del mese di giugno, paragrafo 5.2, in cui sono disciplinati i rapporti con le organizzazioni sindacali. Nella prima parte del passaggio è scritto che “le pubbliche amministrazioni possono comunicare a terzi in forma realmente anonima dati ricavati dalle informazioni relative a singoli o a gruppi di lavoratori: si pensi al numero complessivo di ore di lavoro straordinario prestate o di ore non lavorate nelle varie articolazioni organizzative, agli importi di trattamenti stipendiali o accessori individuati per fasce o qualifiche/livelli professionali, anche nell'ambito di singole funzioni o unità organizzative”. Nella seconda parte si sottolinea che “sulla base delle disposizioni dei contratti collettivi, i criteri generali e le modalità inerenti a determinati profili in materia di gestione del rapporto di lavoro sono oggetto di specifici diritti di informazione sindacale preventiva o successiva. Ad esclusione dei casi in cui il contratto collettivo applicabile preveda espressamente che l'informazione sindacale abbia ad oggetto anche dati nominativi del personale per verificare la corretta attuazione di taluni atti organizzativi (19), (la presente nota fa esplicitamente riferimento al contratto Scuola del 2003) l'amministrazione può fornire alle organizzazioni sindacali dati numerici o aggregati e non anche quelli riferibili ad uno o più lavoratori individuabili (20). É il caso, ad esempio, delle informazioni inerenti ai sistemi di valutazione dell'attività dei dirigenti, alla ripartizione delle ore di straordinario e alle relative prestazioni, nonché all'erogazione dei trattamenti accessori (21). Ora nell’art.6 del CCNL si parla di “nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo di istituto e di verifica dell’attuazione della contrattazione collettiva integrativa di istituto sull’utilizzo delle risorse”; si tratta di elementi, indicati nell’art.6, necessari a rilevare che il contratto integrativo sia stato attuato correttamente come nelle previsioni fatte in sede di contrattazione. Alla fine dello stesso paragrafo è data all’organizzazione sindacale “la possibilità di presentare istanze di accesso a dati personali attinenti ad uno o più lavoratori su delega o procura (art. 9, comma 2, del Codice), come pure la facoltà di esercitare il diritto d'accesso a documenti amministrativi in materia di gestione del personale, nel rispetto delle condizioni, dei limiti e delle modalità previsti dalle norme vigenti e per salvaguardare un interesse giuridicamente rilevante di cui sia portatore il medesimo sindacato (artt. 59 e 60 del Codice) (22). Il rifiuto, anche tacito, dell'accesso ai documenti amministrativi, è impugnabile presso il tribunale amministrativo regionale, la Commissione per l'accesso presso la Presidenza del Consiglio dei ministri o il difensore civico (artt. 25 e ss. l. 7 agosto 1990, n. 241; art. 6 d.P.R. 12 aprile 2006, n. 184). Resta fermo il fatto che i dati relativi alla contrattazione di istituto di cui la RSU viene a conoscenza nell’esercizio della sua funzione non sono soggetti a pubblicazione all’albo sindacale. Tuttavia il tema della privacy correlato alla pubblicazione dei compensi accessori corrisposti al personale della scuola trova riscontro anche in una Nota Aran del 30/08/2013 in risposta ad un quesito posto da un dirigente scolastico e del quale l’USR Campania ne dà conoscenza con la Nota prot.8415 del 30/10/2013; un passaggio della nota così riporta “il dirigente scolastico, al fine di fornire un prospetto riassuntivo alle RSU nel rispetto dell’autonomia negoziale e nel quadro delle relazioni sindacali improntato ai criteri di comportamento di correttezza, di collaborazione e di trasparenza, dovrebbe da un lato pubblicare i nominativi ai sensi del succitato art. 6, comma 2, del CCNL 29/11/2007 e, dall’altro, pubblicare l’importo complessivo dei compensi accessori distinti per voce e tipologia”. La precisazione addotta nella nota è irrilevante ai fini di far luce sulla questione dell’eventualità o meno di fornire in relazione diretta nominativi e compensi del personale. L’uso del tempo condizionale (“dovrebbe”) indica infatti una possibilità la cui realizzazione è determinata da un’altra condizione; al contrario nella nota si affermano separatamente due possibilità: pubblicazione dei nominativi e dei compensi accessori distinti per voce e tipologia; elementi questi posti in simmetria ma in modo che i primi non siano identificabili con i secondi. In pratica sembra che la Nota USR Campania lasci un margine di discrezionalità al dirigente scolastico. Ma non è così. Infatti riprendendo un passo della Nota si cita a sostegno della tesi un provvedimento del Garante della Privacy, il numero 431 del 2012, in cui un commissario di polizia penitenziaria ricorreva dinnanzi al Garante proprio perché lamentava l’indebita comunicazione alle organizzazioni sindacali di dati personali relativi alle prestazioni di lavoro straordinario. Il Garante predisponeva il blocco della comunicazione dei dati e richiamava il “provvedimento del 14 giugno 2007 (Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico) dove si prevede che l'Amministrazione possa fornire "alle organizzazioni sindacali dati numerici o aggregati e non anche quelli riferibili ad uno o più lavoratori individuabili (…) ad esclusione dei casi in cui il contratto collettivo applicabile preveda espressamente che l'informazione sindacale abbia ad oggetto anche dati nominativi del personale"; quest’ultima ipotesi rientra nell’art.6 del CCNL Scuola in cui si parla espressamente di nominativi del personale utilizzato nelle attività e progetti retribuiti con il fondo di istituto; è inteso quindi che i nominativi siano soggetti a comunicazione. Ed è bene anche sottolineare che all’interno del provvedimento n.431 del 2012 si faccia esplicito richiamo alle Linee Guida di cui sopra e al paragrafo 5.2, in cui è indicata proprio la possibilità di un accesso amministrativo “per salvaguardare un interesse giuridicamente rilevante”. Il paragrafo 5.2 delle Linee Guida è ripreso anche all’interno di una recente sentenza del Tribunale di Treviso del 31/01/2012; la stessa conferma che l’informazione successiva di cui all’art.6 del CCNL più volte citato sia dovuta perché nella previsione contrattuale; all’interno della sentenza così si legge: “quanto al rapporto tra art.6 del CCNL e disciplina della contrattazione integrativa è sufficiente osservare che quest’ultima dà sostanza a quel diritto di informazione sulla delicata materia della gestione e distribuzione delle risorse finanziarie della scuola, già previsto dalla norma sopra citata del contratto collettivo”.
A questo punto sorge spontanea una riflessione: se il rifiuto del dirigente scolastico può essere comunque sormontato attraverso un accesso agli atti di gestione, che non deve mai configurarsi come “controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” ex art.24 della Legge n.241 del 1990, perché non fornire i nominativi del personale e i relativi compensi? Il diritto alla privacy verrebbe tutelato dalla obbligatorietà di non pubblicare i dati personali di cui si verrebbe in possesso. Ma non solo questa strada è percorribile, in effetti la verifica della contrattazione e della sua piena e corretta attuazione trova una legittimazione anche in una fonte normativa recentemente novellata in alcune sue parti dal D. Lgs. 150 del 2009. E’ indispensabile citare anche il D.Lgs. n.165 del 2001 nella parte relativa alla “Contrattazione e Rappresentatività sindacale” Titolo III, novellata anche dal D.Lgs. n.150 del 2009; si riporta il comma 3 bis dell’art.40 “le pubbliche amministrazioni attivano autonomi livelli di contrattazione collettiva integrativa, nel rispetto dell' articolo 7 , comma 5, e dei vincoli di bilancio risultanti dagli strumenti di programmazione annuale e pluriennale di ciascuna amministrazione. La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance ai sensi dell' articolo 45 , comma 3. A tale fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo comunque denominato. Essa si svolge sulle materie, con i vincoli e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali (…)” . L’art. 45 comma 3 sopra richiamato così come modificato dall’ art. 57, comma 1, lett. b)del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150 disciplina che “i contratti collettivi definiscono, in coerenza con le disposizioni legislative vigenti, trattamenti economici accessori collegati: a) alla performance individuale; b) alla performance organizzativa con riferimento all'amministrazione nel suo complesso e alle unità organizzative o aree di responsabilità in cui si articola l'amministrazione; c) all'effettivo svolgimento di attività particolarmente disagiate ovvero pericolose o dannose per la salute. (193) al comma 4 che “i dirigenti sono responsabili dell'attribuzione dei trattamenti economici accessori”. L’art.7 definisce la “gestione delle risorse umane”, in particolare il comma 5 stabilisce che“le amministrazioni pubbliche non possono erogare trattamenti economici accessori che non corrispondano alle prestazioni effettivamente rese”. Si tratta di dispositivi tutti volti ad assicurare l’efficienza e la produttività della pubblica amministrazione, in relazione ad ogni singolo dipendente, a garantire che l’erogazione dei compensi accessori sia collegata alla prestazione effettivamente resa nonché alla salvaguardia di un interesse collettivo dei lavoratori.
In specie la garanzia di quanto scritto nel comma 5 dell’art.7 ci verrebbe data proprio da quanto stabilito in sede di contrattazione; che siano stati perciò rispettati i criteri di cui alla lett. m) art.6 del CCNL 2007 ovvero quelli “relativi alla
organizzazione del lavoro e all’articolazione dell’orario del personale docente, educativo ed ATA, nonché i criteri per l’individuazione del personale docente, educativo e ATA da utilizzare nelle attività
retribuite con il fondo di istituto”. Lo
scopo è quindi di salvaguardare un interesse collettivo, verificando che vi sia stata un’equa distribuzione delle risorse sul personale. Ecco che allora è fondamentale, nella fase di avvio della contrattazione, richiedere al dirigente scolastico i criteri sopracitati che rappresentano il punto di partenza per verificare successivamente che il contratto sia stato pienamente attuato. L’altro versante sul quale è possibile trattare l’argomento è la giurisprudenza amministrativa foriera di interventi sul caso specifico dell’informazione successiva che non fanno altro che avvalorare la tesi che il dirigente scolastico sia tenuto a fornirla. La Sentenza del Tribunale di Treviso – sez. Lavoro, del 31/01/2012, già citata, nella quale il giudice ha riconosciuto come condotta antisindacale il comportamento del dirigente scolastico che si rifiutava di fornire all’associazione sindacale richiedente i nominativi dei lavoratori e i relativi compensi; “il dirigente scolastico non può invocare la disciplina sulla privacy per negare al ricorrente sindacato le informazioni circa l’impiego del Fondo d’istituto”. La stessa sentenza ne richiamava altre due al suo interno, quella del Tribunale di Cassino del 9/03/2003 e del Tribunale di Camerino del 2/01/2006; entrambe hanno sostenuto la tesi della condotta antisindacale. Anzi la sentenza di Camerino ha considerato il rifiuto del dirigente come lesivo delle prerogative riconosciute alle organizzazioni sindacali in una materia particolarmente delicata come quella della gestione e distribuzione delle risorse finanziarie della scuola; più avanti il Giudicante ritiene che “il mancato rispetto dell’obbligo di informazione successiva, con consegna dei prospetti riepilogativi sopra indicati, non solo indebolisca la credibilità del sindacato, ma riduca anche la sua capacità di iniziativa, non consentendogli di esercitare le determinazioni aziendali, proprio perché non lo pone in grado di conoscere gli esatti termini delle determinazioni aziendali”.
Ancora la sentenza di Treviso del 2012 conferma che “il rifiuto dei Dirigente Scolastico di fornire i richiesti dati integra, pertanto una condotta antisindacale”; il giudice nel sostenere la tesi dell’ostensione dei dati e dei nominativi richiama le "Linee guida in materia di trattamento di dati personali di lavoratori per finalità di
gestione del rapporto di lavoro in ambito pubblico" - 14 giugno 2007” ove al paragrafo 2.3 si afferma che “oltre alle leggi e ai regolamenti, anche i contratti collettivi (nazionali e integrativi) contengono alcune previsioni che permettono di trattare lecitamente informazioni di natura personale anche per ciò che attiene all'attività sindacale (ad esempio, per determinare il trattamento economico fondamentale ed accessorio, per fruire di permessi o di aspettative sindacali, per accedere a qualifiche, per la mobilità o per la
responsabilità disciplinare). Il trattamento effettuato dal soggetto pubblico deve attenersi in concreto a queste disposizioni e restare compatibile con le finalità per le quali i dati sono stati inizialmente raccolti o già trattati (art. 11, comma 1, lett. b), del Codice). Particolare attenzione deve essere posta alle disposizioni dei contratti collettivi che prevedono la conoscenza di dati da parte di organizzazioni sindacali, avendo cura che il doveroso rispetto degli obblighi di informativa, consultazione, concertazione e contrattazione che comportano la comunicazione di informazioni alle medesime
organizzazioni avvenga nel rispetto dei principi di necessità e proporzionalità”. In ordine a quanto sopra riportato dalle Linee guida si tenga presente che lo stesso Garante al paragrafo 5.2 della delibera n.23, ha sostenuto che l’informazione successiva può avere ad oggetto anche i nominativi qualora il contratto collettivo lo preveda espressamente. E la sentenza di Treviso sostiene apoditticamente che il “Dirigente Scolastico non può invocare la disciplina sulla privacy per negare al ricorrente sindacato le informazioni circa
l’impiego del Fondo d’istituto (…), con l’indicazione analitica dei lavoratori che hanno avuto accesso alle risorse, attività singolarmente svolte, impegni orari relativi e compensi”. Malgrado si sia insinuata una tendenza alla de-contrattualizzazione, post decreto Brunetta, il contratto esige al momento che esso sia eseguito nei termini fissati dal CCNL 2007; pertanto richiedendo alla RSU e alle Organizzazioni Sindacali un comportamento affine alla norma negoziale, fissata nell’art.6 e sottolineata dall’art.42 del D. Lgs n.165 del 2001 il quale pone in capo alla RSU i “diritti di informazione preventiva e successiva”. Se tutto ciò non è rispettato in nome della salvaguardia del diritto di privacy non si lasci però alla deriva il diritto di informazione ex art. 42 del D. Lgs. n.165 del 2001; le organizzazioni sindacali possono infatti, allo scopo di tutelare gli interessi di una determinata categoria di lavoratori, ricorrere all’accesso dei documenti inerenti i compensi retribuiti con il Fondo di istituto, adducendo la motivazione che tale accesso sia giustificato da una verifica della attuazione corretta della contrattazione collettiva e da una corretta applicazione dei criteri ad essa sottostante. L’accesso non può essere negato giacché se una fonte normativa di rango superiore legittima l’informazione preventiva e successiva e i contratti collettivi dei vari comparti la recepiscono, pur restando fermo il principio dell’ostensione dovuta, è salvo anche quello di leale cooperazione istituzionale di cui all’art. 22, comma 5, della legge n. 241/1990 (“L’acquisizione di documenti amministrativi da parte di soggetti pubblici … si informa al principio di leale cooperazione istituzionale”); la sentenza del Consiglio di Stato n.3190 del 2011 dà vigore a questo dispositivo: “il richiamo legislativo al principio di leale cooperazione istituzionale non è però privo di valenza. Tale canone, pur nella sua elasticità, esige comportamenti coerenti e non contraddittori, un confronto su basi di correttezza e apertura alle altrui posizioni e al contemperamento degli interessi, e, d’altro canto, non tollera atteggiamenti dilatori, pretestuosi, ambigui, incongrui o insufficientemente motivati (cfr., tra le tante, C.Cost. n. 379 del 2771992 e n. 242 del 1871997)”. Sul diritto di accesso spettante alle Organizzazioni sindacali si è espressa anche la sentenza del Consiglio di Stato, Sez. VI, del 23 febbraio 2012 n.1034 della quale si riporta uno stralcio significativo:“l’art. 22 prevede che il diritto di accesso deve essere riconosciuto a «tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso». In primo luogo, deve rilevarsi come la giurisprudenza di questa Sezione abbia più volte avuto modo di affermare che «sussiste il diritto dell’organizzazione sindacale ad esercitare il diritto di accesso per la cognizione di documenti che possano coinvolgere sia le prerogative del sindacato quale istituzione esponenziale di una determinata categoria di lavoratori, sia le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’associazione» (sentenza 11 gennaio 2010, n. 24). Le organizzazioni sindacali sono, pertanto, legittimate ad agire a tutela sia degli interessi delle organizzazioni stesse, sia degli interessi giuridicamente rilevati degli appartenenti alla categoria rappresentata”. Le Organizzazioni sindacali, come sottolinea la stessa sentenza sono “enti esponenziali di interessi collettivi” e nel caso della contrattazione collettiva l’interesse è giustificato dal fatto che siano stati rispettati i criteri di cui alla lett. m) ex art.6 del CCNL 2007. |