Intervista con il Dottor Fulvio Rocco,
magistrato del TAR del Veneto.

Le RSU di scuola?
Non certo pensate per favorire i sindacati minori.

 di Renza Bertuzzi, dal sito nazionale della Gilda degli Insegnanti, 25/9/2006

 


Democrazia e rappresentatività sarebbero più tutelate se le RSU fossero su più scuole. Ora non tutelano le fasce di lavoratori troppo deboli localmente che così non possono esprimersi.


Abbiamo posto al dottor Fulvio Rocco alcune domande sulle RSU, per il cui rinnovo si voterà dal 4 al 6 dicembre 2006.

Il dottor Rocco accetta di rispondere con gentile disponibilità alla nostra intervista, non tanto nella sua veste di magistrato del TAR del Veneto, avendo comunque il giudice amministrativo perso con l’entrata in vigore del Dlg 80 del 1998 la giurisdizione anche nella materia più propriamente “sindacale” del pubblico impiego, ma in relazione alla sua qualifica di Professore a contratto di Diritto Pubblico presso l’ Università degli Studi di Trieste.

 

 

1) Dottor Rocco, partiamo dall’ istituto delle RSU e dalla sua applicazione nella Scuola. Come vede Lei il fatto che in ogni istituto scolastico siano previste RSU e relative liste elettorali?

L’articolo 42 del Dlg 165 del 2001, modificando la precedente disciplina introdotta dall’art. 47 del Dlg 29 del 1993, ha istituito le rappresentanze unitarie dei lavoratori nella pubblica amministrazione, ma è stato l’accordo relativo al Comparto Scuola che ha identificato la calibratura del territorio per le RSU.

Penso che la disciplina di legge contenuta nell’articolo 42 rappresenti un faticoso ma onorevole compromesso deputato a dettare le linee-guida in materia di accertamento della rappresentatività delle associazioni sindacali nel pubblico impiego, e che altrettanto possa dirsi per l’accordo interconfederale stipulato al riguardo e a tutt’oggi vigente, nel mentre l’accordo relativo al Comparto scuola, identificando l’ “unità aziendale” nella singola scuola, ha creato una specie di macchina schiacciasassi.
In sostanza, questa distribuzione assolutamente capillare non tutela le fasce di lavoratori che non possono esprimersi perché troppo deboli localmente nella loro rappresentatività, ma che a livello cittadino, provinciale o anche regionale potrebbero comunque raggiungere significative percentuali di presenza.

 

2) Allora, possiamo definire le RSU una cattiva invenzione?

In verità, lo scopo è positivo e consiste nell’identificare la rappresentatività in un modo nuovo. Ossia, disancorandola dal solo contesto numerico delle iscrizioni alle varie sigle sindacali e considerando invece anche le scelte dell’intera base elettorale, anche non iscritta ad organizzazionio sindacali. Ma adesso occorre che vengano contati in maniera diversa i consensi dei dipendenti.

 

3) Per esempio?

Per esempio, sarebbe necessario razionalizzare le energie e recuperare le RSU su base più ampia per vari motivi.

Prima di tutto, perché circoscrivere l’attenzione e le energie sulle singole scuole, invocando quale non del tutto convincente supporto di tale scelta l’autonomia scolastica, non permette di far emergere le problematiche più ampie, relative ad un territorio più esteso, di cui occorrerebbe invece farsi carico. Poi, perchè una base più ampia rappresenterebbe anche un risparmio della spesa legato al godimento dei diritti sindacali (permessi, esoneri ecc…) .
Quindi un’aggregazione troppo capillare, dedita alla microconflittualità, fatalmente induce i sindacati a circoscrivere localmente la propria linea di azione. Infine impedisce di essere rappresentati ai sindacati che non sono capillarmente presenti sul territorio. L’aggregazione di RSU su più scuole fornirebbe, tutto sommato, una garanzia maggiore di democrazia e di rappresentatività.

 

4) Qualcuno potrebbe sostenere che sia l’ autonomia ad obbligare le RSU di scuola.

L’autonomia è una cosa, mentre lo spazio del confronto sindacale è un’altra. Non è proficuo ridurre il confronto sindacale in uno spazio così angusto: a mio parere, anche i sindacati dovrebbero puntare ad un allargamento della cosiddetta “unità aziendale”.

Credo che basi più ampie possano soltanto migliorare la dimensione del confronto e dell’attenzione ai problemi della Scuola. L’interlocutore, anche per il singolo Istituto scolastico “autonomo”, non è il Consiglio Circoscrizionale, ma è il Comune, anche quello contermine, la Provincia…

 

6) Infine…

Infine, a mio parere, nell’Accordo interconfederale c’è un elemento che dovrebbe essere da subito rivisto ed è l’ articolo 4, comma 3, in cui si nega la possibilità di aggregazione per le liste sindacali.

E’ una possibilità che viene riconosciuta ai partiti e che vale per le elezioni politiche, quindi non si capisce perché venga inibita per questa occasione. So bene che la disciplina di cui discutiamo è sorta essenzialmente per consentire la “conta” dei consensi ottenuti dalle diverse organizzazioni sindacali e che fenomeni aggregativi di questo tipo, soprattutto se forzati fino alle estreme conseguenze, ostacolerebbero con esiti nefasti la stessa finalità assolta dalla normativa. Ma credo che l’Accordo stesso, in una sua auspicabile riscrittura, potrebbe farsi carico di disciplinare quantitativamente possibili deroghe e, soprattutto, idonei meccanismi per attribuire poi, in via definitiva, le rappresentanze “miste” eventualmente elette all’uno o all’altro dei sindacati che hanno concorso ad eleggerle. Sarebbe pure questo un encomiabile strumento per incentivare l’unità tra le rappresentanze. Ma, soprattutto, lo strumento fondamentale rimane, ancora una volta, quello della partecipazione dei singoli. Come in tutte le società autenticamente democratiche. E i sindacati – tutti i sindacati – sono in tal senso garanti, proprio con il loro attivismo, affinché il corpo sociale assuma frequentemente queste vitamine di libertà.

 

(a cura di Renza Bertuzzi)