Centro Studi Gilda

 

Riforma: il “doppio canale”.

Renza Bertuzzi, dal Centro Studi della Gilda del 20/9/2005

 

La struttura attuale della scuola superiore

La fisionomia della scuola superiore italiana contempla ancora, fino alla introduzione della Legge 53/2003,  un percorso all’ incirca tripartito : l’ istruzione liceale (in cui, per comodità rappresentativa, si può far rientrare il vecchio Istituto magistrale); l’istruzione tecnica e l’istruzione professionale (collochiamo qui anche l’ istituto d’arte, anche se l’istruzione artistica ha sempre avuto, fin dalla sua istituzione una propria autonomia, come si evince dal R.D., 31 Dicembre 1923, n. 3123 con il quale sono stati  costituiti gli istituti d’ arte e i licei artistici).

La differenza tra istruzione liceale e istruzione tecnica risale alla Riforma Gentile (regio decreto, 6 maggio 1923, n. 1054), che inseriva nei corsi di II grado: il liceo, il corso superiore dell’ istituto tecnico, il corso superiore dell’ istituto magistrale, il liceo femminile.

La legge n. 899 del 15 Giugno 1931 istituiva l’ Istituto tecnico, riconoscendogli finalità e scopi di tipo “professionale”: “L’ istruzione  media tecnica ha per fine di fornire ai giovani la preparazione necessaria alle professioni pratiche che attengono alla vita economica della Nazione” ( Legge 899, art. 1).

Infatti, questo tipo di istruzione veniva impartito:

1)             nei corsi di avviamento professionale (ora sostituiti dalla media unica);

2)             nelle scuole professionali femminili;

3)             nelle scuole tecniche (attuali Istituti professionali);

4)             nelle scuole di magistero professionale per le donne;

5)             negli istituti tecnici.

Dunque, istruzione tecnica e professionale coincidevano nelle finalità, ma non nella durata dei corsi. Infatti, mentre nelle scuole professionali la durata dell’ insegnamento era  di  due o tre anni, l’ Istituto tecnico aveva una durata di 5 anni e si proponeva anche “lo scopo di preparare all’ esercizio di alcune professioni e all’ esercizio di funzioni tecniche o amministrative nel campo dell’ agricoltura, dell’ industria, e del commercio” ( Legge 899, art. 9) .

Istruzione tecnica e professionale per molto tempo corrispondono nelle definizioni delle finalità e degli scopi: nel 1938 il R.D.L. 21 Settembre 1938, n. 2038 istituirà  gli istituti professionali, come  scuole, nell’ ambito dell’Istruzione tecnica, che abbiano finalità ed ordinamento speciali. Tuttavia, se istruzione tecnica e professionale sono inserite per legge entro lo stesso ambito, nei fatti oggi appaiono separate.

Dagli anni Sessanta, infatti “l’istruzione professionale comincia a conquistare un posto di tutto rilievo nel nostro sistema scolastico […], compiendo un notevole balzo in avanti, a seguito delle lotte studentesche, alla fine degli anni Sessanta (cfr. la Legge 754/68 e la CM 12/2/71, n. 281). Viene avviata  la sperimentazione dei corsi quinquennali che portano sia alla qualifica di secondo livello, sia alla maturità con possibili sbocchi verso studi universitari” ( Maurizio Tiriticco, Le evoluzione dell’ Istruzione professionale, inserto di Notizie della scuola, n. 3-4 dell’1-31 Ottobre 2001).

Ragionevolmente si può dunque considerare la struttura della scuola superiore italiana come a forma triadica, avendo l’ istruzione tecnica e quella professionale seguito percorsi di separazione, nella realtà effettuale, da  quasi trent’ anni.

 

La struttura della scuola superiore proposta

Al momento in cui scriviamo il decreto attuativo di riforma della secondaria di II grado, pur essendo stato approvato dal Consiglio dei Ministri, ha subito una battuta d’ arresto. Il ministro Moratti ha deciso di sospendere ogni sperimentazione, fino a quando i tavoli tecnici non avranno raggiunto un accordo sui punti contestati dalle Regioni.  Infatti, come è noto, la riforma del titolo V della Costituzione, assegnando poteri di legislazione esclusiva e concorrente alle Regioni anche in materia di istruzione, prevede passaggi obbligati di consultazioni con gli organismi regionali, nei quali sono stati avanzati rilievi tali da indurre il ministro a fermare la sua “ avanzata”.

Per questo, consideriamo ancora la riforma della secondaria superiore come proposta e non come operativa.

La novità più importante della Legge 53/2003 rispetto alla secondaria è l’ introduzione del “doppio canale”:

“il sistema educativo di istruzione e di formazione si articola nella scuola dell’infanzia, in un primo ciclo che comprende la scuola primaria e la scuola secondaria di primo grado, e in un secondo ciclo che comprende il sistema dei licei ed il sistema dell’istruzione e della formazione professionale;” ( Legge  28 Marzo 2003, n. 53, art. 2, comma d).

La Riforma contrae le tre tipologie di istruzione superiore (Licei, Tecnici, Professionali), in  due. Accenniamo solo di sfuggita (per poi ritornarvi dopo) alle   critiche virulente che si sono sollevate e che hanno  ravvisato nell’avvio precoce  dei giovani alla scelta di indirizzo  una volontà di tipo “classista”, mirante a perseguire le differenze sociali e non a tentare di superarle. Adesso ci preme  puntualizzare che la divisione dell’ istruzione superiore in due canali (uno dell’ Istruzione e l’ altro dell’ Istruzione e formazione professionale) era stata anticipata dalla  modifica costituzionale che il Governo di Centro-sinistra aveva votato  poco prima della scadenza del mandato parlamentare e cioè la Riforma del Titolo V della Costituzione che all’ art. 117 recita così:

“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l'Unione europea delle Regioni; commercio con l'estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; …”[1]

In sostanza, non pare che vi fossero alternative ad una divisione in due canali (con buona pace di chi imputa a questa legge la responsabilità di questa svolta e si dimentica di puntualizzare che il cammino era stato già spianato) mentre l’ aspetto più problematico della Legge 53/2003 rimane la secca e brutale - nonché incomprensibile perché non determinata dalla Legge 3 costituzionale - eliminazione dell’ istruzione tecnica, che rende ancora insoluta la collocazione delle attuali tipologie di istruzione superiore.  Deve confluirà l’istruzione tecnica? E l’ istruzione professionale passerà, armi e bagagli alle Regioni? Domande ancora senza risposte certe, soprattutto perché non è più lo Stato, unilateralmente, a poterlo decidere.

Infatti, uno dei Decreti legislativi che hanno “preparato” il decentramento attuato nella sua completezza con la Riforma del Titolo V e cioè il 112/’98  attribuisce alle Regioni il potere di distribuire l’ offerta formativa sul territorio. Tanto che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 13 del 13 Gennaio 2004  ha deliberato che :

“Una volta attribuita l’istruzione alla competenza concorrente, il riparto imposto dall’art. 117 postula che, in tema di programmazione scolastica e di gestione amministrativa del relativo servizio, compito dello Stato sia solo quello di fissare principî. E la distribuzione del personale tra le istituzioni scolastiche, che certamente non è materia di norme generali sulla istruzione, riservate alla competenza esclusiva dello Stato, in quanto strettamente connessa alla programmazione della rete scolastica, tuttora di competenza regionale, non può essere scorporata da questa e innaturalmente riservata per intero allo Stato; sicché, anche in relazione ad essa, la competenza statale non può esercitarsi altro che con la determinazione dei principî organizzativi che spetta alle Regioni svolgere con una propria disciplina.”

Per questo, la delicatissima transizione dal vecchio al nuovo sistema sarà gestita dagli accordi Stato- Regioni, o addirittura autonomamente dalle Regioni.

Se si verificasse quest’ultima possibilità, probabilmente il processo di trasformazione non sarebbe omogeneo su tutto il territorio nazionale e  comunque il riscorso a strumenti non del tutto trasparenti  sarebbe inevitabile, in relazione alla fisionomia politica dei governi regionali.

 

La filosofia del cambiamento

Quali obiettivi si prefigge questa innovazione di due canali dell’ istruzione ?

Come prima si era accennato, su questo tema si sono concentrate le critiche e le accuse da parte della sinistra.

La tesi, secondo la quale con questa scelta si vorrebbe introdurre una separazione classista tra “ ricchi”, destinati allo studio e “ poveri”, destinati al lavoro, pecca molto di ideologia.

Forse è più verosimile pensare che il governo di centro-destra abbia fatto dei calcoli economici, orientati al risparmio. Ridurre a due un percorso  a tre gambe avrebbe avuto ( o avrebbe) come conseguenza l’ eliminazione secca dei “doppioni” dell’ istruzione tecnica e professionale. In più, quest’ ultima sarebbe stata  ( o sarebbe) penalizzata  dal rapporto conflittuale con la formazione professionale, di marca regionale, già consolidata e favorita dalle Regioni. E non è difficile immaginare chi, in questo confronto, perderebbe.

In sostanza, quindi, la riduzione a due gambe favorirebbe la netta eliminazione di scuole e personale e questa  decisione sembra molto coerente con volontà di risparmio ad ogni costo sulla spesa pubblica, tipica di istanze  sedicenti liberaleggianti.

Tuttavia, crediamo utile approfondire l’ analisi di questo punto, presentando altri aspetti di questa problematica, per i quali sarebbero necessari riflessioni e argomentazioni ( e non “verità” ipostatizzate) più approfondite di quanto una scheda possa permettere.

Riportiamo, quindi, alcuni elementi che potrebbero risultare utili per  una prima e sommaria istruttoria  della questione.

La separazione del percorso di istruzione secondaria porta con sé, in questa proposta, anche ciò che è stato definito una “scelta precoce” da parte degli studenti.

A 14 anni si deve decidere se seguire il corso liceale o quelle dell’ istruzione-formazione, anche se, in teoria, nella legge e nel decreto attuativo, sono contemplati strumenti compensativi che dichiarano di voler impedire scelte irrevocabili.

Il problema dunque diventa duplice: è giusto separare in due il percorso dell’ istruzione e, in caso affermativo, è giusto collocarlo a quell’ età ?

 

 Vediamo qualche indicazione.

 

1)     Dal punto di vista storico, l’istruzione, in tutti i paesi del mondo ha sempre proceduto ampliando  la scolarità e rendendola accessibile e persino obbligatoria  per tutti.

Questo obiettivo (che gli studiosi americani chiamano educational attainment) in genere dovrebbe precedere temporalmente l’altro, l’ educational achievement, cioè l’attenzione ai livelli di apprendimento.

 

2)     La possibilità di seguire corsi di differenti tipologie (licei, istruzione tecnica e istruzione professionale) è comune a quasi tutti i Paese europei, mentre l’ alternativa a questo sarebbe il modello integrato istruzione e formazione che elimina le differenze di tipologia  e uniforma  i corsi di studio.

La sinistra, tradizionalmente, ha sempre  attributo all’ istruzione una “funzione compensatoria” delle disuguaglianze per cui intravede nella separazione dei due canali, non un’attenzione alle scelte personali ed alle attitudini, ma il mantenimento della separazione, a suo parere fuori tempo e politicamente pericolosa,  tra una cultura disinteressata ed  una mirata al mercato del lavoro.

Per questo, le scelte, sia della passata legislatura che dei governi delle Regioni di centro-sinistra, dopo la Riforma del Titolo V, sono andate nella direzione di predisporre modelli cosiddetti “comprensivi” (cioè non separati), che tuttavia determinano una  inevitabile trascuranza dell’ educational achievement.

Su questo tema sarebbe urgente ricercare posizioni, anche coraggiose e non ideologiche, poiché esso coinvolge il ragionamento sulla funzione della Scuola, funzione stabilita sì dalla Costituzione, ma modificata nei fatti dalle norme amministrative che nell’ ultimo decennio hanno radicalmente mutato ruolo e scopi dell’ istruzione e funzione dei docenti.

 

Il giudizio della Gilda

Nella piattaforma contrattuale per il quadriennio 2002-2005, la Gilda, nel testo approvato dall’ Assemblea nazionale, afferma che “la costruzione di un sistema di formazione professionale di pari dignità con il sistema di istruzione e coerente con l’ esigenza di promuovere  la Formazione tecnica superiore risponde al progetto civile, economico ed  educativo di umanizzare il lavoro, rendendolo pratica educativa, cioè occasione di massima espressione ed affermazione di umanità. Una continua  occasione per esaltare le personali capacità di ragionare, scegliere, compiersi, relazionarsi.” (Dalla premessa della Piattaforma contrattuale 2002-2005 della Gilda).

In sostanza, la posizione della nostra associazione è stata  a favore di un doppio canale, tuttavia, il modello proposto dalla Legge 53/2003 ha suscitato  giudizi negativi negli ultimi comunicati ufficiali: “Posto l’accento sul sostanziale fallimento dell’obiettivo della pari dignità dei due canali del sistema: licei e formazione professionale. I percorsi prefigurati non sono certamente in equilibrio né sugli indirizzi generali, né sui livelli qualitativi e di istruzione e tanto meno sull’adeguatezza delle risorse. (Comunicato del Coordinatore nazionale del 27 gennaio 2005) .

 

Le ricadute professionali

A parte le significative ripercussioni sulla contrazione degli organici, che consegue alla riduzione a due di un percorso a tre filiere, con relativa eliminazione di “doppioni” specialistici che oggi convivono tranquillamente nell’ istruzione tecnica e in quella professionale, le ricadute professionali  che l’ introduzione del doppio canale determinerebbe si riferiscono alla novità di una gestione regionale dell’ istruzione professionale e della imminente gestione, da parte delle Regioni, di tutto il personale.

Considerato che il canale dell’ istruzione/formazione presenta già alcune diversità rispetto al canale dell’ istruzione (rapporto con gli esperti, che non sono docenti, modalità di valutazione ecc..), la prima ricaduta sarà la differenza di condizione “docente” tra insegnanti dei licei e dell’ istruzione/formazione.

Tuttavia l’incognita  più significativa è rappresentata dal potere delle Regioni, le quali, attraverso la gestione dei fondi, potranno determinare le scelte didattiche e indirizzare le scuole ad attivare modelli organizzativo-culturali che rispondano alle visioni politico-ideologiche delle diverse maggioranze.

Tutto ciò sta già succedendo con i bienni integrati o con i campus: l’ una o l’ altra opzioni inciderà sulle didattiche e sulla professionalità docente e, in ultima analisi, sulla libertà d’ insegnamento.


20 settembre 2005


[1] Per un’ analisi più approfondita delle Legge 3 costituzionale, 18 Ottobre 2001, si veda la scheda specifica.