I Quaderni di Scuolanostra

 

      1. Cenni storici sul precariato e sul reclutamento degli insegnanti nel dopoguerra

 

 

 

 

 

        Indice

      

Il termine ‘precario’

pag. 2

Il ‘boom’ economico e la scuola di massa

pag. 2

Gli anni Settanta

pag. 3

Gli anni Ottanta: verso una soluzione definitiva

pag. 4

Gli anni Novanta e la Legge 124

pag. 5

Il nuovo millennio: tutto come un tempo. Anzi: molto peggio

pag. 8

La Legge 143/2004

pag. 11

I mercanti nel Tempio

pag. 12

Precari di mare e precari di montagna

pag. 13

La situazione attuale

pag. 20

Uno sguardo al futuro: oltre la Legge 53

pag. 24

I pericoli per gli attuali lavoratori a tempo determinato

pag. 29

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

       Il termine ‘precario'

 

       La parola ‘precario’deriva, notoriamente, da un lemma indoeuropeo, mediato attraverso la forma latina ‘precis’, da cui deriva anche la parola preghiera ma che, nell’antichità, non aveva necessariamente una valenza religiosa. Veniva, infatti, spesso usata nel senso di richiesta pressante, intercessione, orazione, quando non addirittura nel significato di maledizione o imprecazione.

       Nei secoli dell’alto Medioevo essa accentuò alcune delle sue antiche sfumature semantiche finendo con l’indicare le richieste di protezione e lavoro che i contadini rivolgevano all’aristocrazia guerriera.

       Per tali vie la parola è giunta ai nostri giorni con un significato, eminentemente negativo, di transitorio, instabile, malfermo, soggetto alla volontà altrui. Nulla di più adatto alla condizione del precariato, e non solo di quello scolastico.

 

       Il ‘boom’ economico e la scuola di massa

 

       Ciò che non sempre risulta noto è che la condizione di lavoratore a termine è un fenomeno antico e, per certi aspetti, endemico della scuola italiana.

       All’inizio degli anni Settanta i precari raggiungevano quasi la metà degli addetti ma ciò era soprattutto il frutto della sensibile crescita economica e demografica, nonché, soprattutto, della scolarizzazione ‘di massa’ che il Paese aveva vissuto tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. La parallela mancanza di programmazione e l’insufficiente spinta rivendicativa avevano permesso una prassi contrattuale anomala e generalizzata che, tra il 2001 al 2006, in ambienti politici della vecchia maggioranza, si è tentato, con grande pervicacia, di ripristinare, e con gli effetti che sono sotto gli occhi di tutti.

       Ciò detto, va da sé che se il fenomeno del precariato, fino a un certo punto, è stato da addebitarsi principalmente all’aumento della popolazione in età scolare e frequentante, da un dato punto in poi esso è stato tutto da imputarsi al mutato atteggiamento politico nei confronti della spesa pubblica e dell’investimento nel campo dell’istruzione, quando non di aperta indisponibilità a risolvere i problemi connessi alla gestione del personale: non si spiegherebbe altrimenti, per esempio, perché i concorsi si siano succeduti, nella scuola secondaria, al ritmo di uno al decennio, quando, soprattutto per alcune classi di concorso e per alcune zone del Paese, il fabbisogno di personale era marcato.

       Fortunatamente - almeno sulle questioni di primaria importanza – dalla categoria venivano forti segnali di coesione su piattaforme largamente condivise. Nei dalla fine degli anni Sessanta, per esempio, molti docenti chiesero, senza ottenerla, l’obliterazione dei concorsi a cattedra, considerati nella quasi generalità, troppo rischiosi, per chi insegnava da anni, e troppo vincolati alla discrezionalità delle commissioni di turno.

 

       Gli anni Settanta

 

       Le rivendicazioni contrattali, com’è comprensibile, procedevano parallele a quella vasta temperie culturale derivata dai movimenti del 1968 e che sfociò, nel 1974, nell’emanazione dei Decreti delegati. Contemporaneamente il livello di sindacalizzazione della categoria andava aumentando.

       Nel frattempo alcuni risultati erano stati raggiunti: il 6 dicembre del 1971 fu emanata la Legge 1074, che introduceva gli incarichi a tempo indeterminato e istituiva corsi abilitanti speciali. I docenti incaricati diventarono praticamente illicenziabili, sebbene ancora in attesa di abilitazione. Ma il movimento non si accontentò.

       Comitati permanenti controllavano lo svolgimento dei corsi ed esprimevano delegati per le assemblee provinciali le quali si occupavano di mantenere i rapporti con le organizzazioni sindacali, prime fra tutte CGIL, CISL e UIL. Queste, nell’autunno del 1972, indissero quattro giorni di sciopero in cui il personale precario, del resto numerosissimo, ebbe un ruolo centrale. Gli scioperi furono talmente incisivi sul governo Andreotti, all’epoca in carica, che pochi mesi dopo fu emanata la Legge n° 477 del 30 luglio 1973, il cui art. 17 prevedeva l’immissione in ruolo attraverso l’istituzione di graduatorie ad esaurimento.

       Furono indetti altri corsi abilitanti in attesa della scomparsa dei concorsi a cattedra  (sulla quale, in quegli anni, si manifestò un sensibile convergenza). Con quella Legge furono immesse in ruolo 200.000 persone, i cosiddetti ‘diciassettisti’.

       Nel quinquennio successivo la spinta dal basso ricominciò, progressivamente, ad aumentare, perché la fase ascendente della popolazione scolare non era ancora esaurita ma anche perché molti insegnanti attendevano ancora il ruolo, nonostante la 477. Cosicché tra l’autunno del 1977 e l’estate del 1978 si creò un movimento rivendicativo di un certo respiro - coagulato anche grazie allo svolgimento di un’altra tornata di corsi abilitanti nel 1975/’76 - che si concretizzò in significative osmosi con i sindacati Confederali ma anche con il ripresentarsi di forme autonome di rappresentanza (per tutte il CLNS, Coordinamento Nazionale, Lavoratori della Scuola, formato da precari e successivamente sostituito da altre sigle).

       Quel movimento portò all’emanazione della Legge 463 del 9 agosto 1978. Molte altre persone furono immesse in ruolo. Contemporaneamente fu bandito un altro concorso ordinario.

 

        Gli anni Ottanta: verso una soluzione definitiva

 

       Intanto le questioni legate all’organico cominciavano a cambiare, e in peggio!

       La fase demografica propulsiva si era esaurita con i primi anni Settanta. Contemporaneamente il variegarsi dell’offerta formativa nelle scuole (corsi pomeridiani di studio sussidiario, attività complementari di insegnamento, attività integrative elementari, le “150 ore”) portava a una serie di occasioni di lavoro che confluivano nel cosiddetto “organico di fatto”, croce e delizia del precariato, che ci vivacchia come può, spesso sentito come ancora di salvezza annuale, ma, in realtà, rivelatosi negli ultimi anni un pericoloso escamotage politico per diminuire a dimensioni cronicamente insufficienti le immissioni in ruolo.

       La generazione di docenti che, all’inizio degli anni Ottanta, aveva alcuni anni di lavoro alle spalle spingeva per una soluzione analoga a quelle del 1973 e 1978. Nel 1980, quindi, fu presentato un disegno di legge, conosciuto come il 1112, che ebbe vita assai tormentata, complici diverse crisi di governo e i veti incrociati in Parlamento. Sicché il 5 febbraio del 1982, fu organizzata la “marcia dei 25.000”, una grande manifestazione nazionale promossa dai sindacati Confederali che vide sfilare i docenti precari per le strade di Roma.

       Due mesi e mezzo dopo, il 20 maggio 1982, fu approvata la Legge 270 che istituiva altri corsi abilitanti e rinnovava le graduatorie ad esaurimento per le immissioni in ruolo. Una coda di quel provvedimento fu gestita con la Legge 326 del 16 luglio 1984, che rispose alle rivendicazioni dei docenti che, pur esclusi dalla 270/'82, avevano maturato requisiti di servizio nei due anni successivi ed aspiravano ad abilitarsi tramite una sessione riservata.

       Gi anni Ottanta avrebbero visto la luce, comunque, di ben altre due leggi sul reclutamento. Con la prima, la 246 del 4 luglio 1988, trovarono sbocco legislativo le esperienze dei quindici anni precedenti. Essa fornì la possibilità di immissione in ruolo in due province (una delle quali doveva coincidere con quella di servizio) a chi avesse prestato servizio per un biennio nella scuola statale tra gli anni 1975 e 1981.

       Tale prassi fu, però, definitivamente (si fa per dire) consolidata con il cosiddetto "doppio canale" tramite la Legge 417 del 27 dicembre 1989. Ai beneficiari della 246, i precari più anziani, si aggiunsero tutti coloro che nel triennio via, via preso in considerazione avessero prestato almeno 360 giorni di servizio. Questi docenti accedevano a un concorso per soli titoli e avevano priorità assoluta per incarichi e supplenze.

 

       Gli anni Novanta e la Legge 124

 

       Grazie alla 417 si raggiunse il più basso livello di incarichi annuali mai registrato nel dopoguerra e, per un biennio, il fenomeno del precariato scolastico non fu molto distante dal minimo fisiologico legato alle supplenze temporanee. Intanto, però, il clima politico peggiorava sensibilmente, riguardo agli organici e alle modalità di utilizzo del personale. Già dal 1993 fu vietata l'assunzione su posti di cui non fosse certa la sussistenza anche per l'anno scolastico seguente. Venne generalizzata la prassi dell'utilizzazione dei docenti di ruolo su classi diverse da quella di appartenenza (laddove essi risultassero sovrannumerari). Cresceva, inoltre, numericamente l'organico di fatto rispetto a quello di diritto. Questi fattori non potevano che portare ad una nuova fase di crescita del personale a tempo determinato.

       Ciononostante gli abilitati del concorso bandito nel 1990 e concluso nel 1992 erano stati, per alcune classi di concorso, in numero tale da essere smaltito già verso la metà degli anni Novanta. E mentre essi, grazie anche ai concorsi per soli titoli, venivano via, via assorbiti (naturalmente questo vale in diversa misura, oltre che per le materie di insegnamento, anche per le province di riferimento) la norma che avrebbe voluto un nuovo concorso già nel 1993 veniva, per le scuole secondarie, puntualmente disattesa. Il risultato fu che il numero dei docenti impiegati senza abilitazione, anche su cattedre vacanti, ricominciò ad aumentare.

       Il mondo del precariato, però, già in quel periodo appariva piuttosto variegato: docenti transitati dagli enti locali, docenti di sostegno, insegnanti di religione cattolica, gruppi diversi di abilitati (concentrati soprattutto sul versante organici e procedure di assunzione) e non abilitati (che chiedevano altri corsi abilitanti). Nacquero altre sigle spontanee: il Coordinamento Nazionale dei Precari, il Sindacato Nazionale dei Precari e, soprattutto, il Comitato Insegnanti Precari, tuttora attivo.

       I movimenti spontanei e l'iniziativa sindacale spingevano verso una nuova soluzione del problema che, però, sarebbe stata molto di là da venire e avrebbe, com'è noto, subito una drastica, e drammatica, battuta di arresto.

       Ma andiamo con ordine: nel 1996, col governo dell'Ulivo, si arrivava alla stesura di un DDL, il ben noto 932, che intendeva rimettere mano all'intera materia del reclutamento, disciplinandola definitivamente e sancendo alcuni principi inalienabili: il primo era che non si poteva pensare di rimettere in discussione, periodicamente, il diritto alla stabilizzazione del contratto e che le graduatorie del doppio canale (le quali, checché se ne dica, non erano intoccabili anche se la prassi le aveva consolidate come foriere di immissione in ruolo nella stragrande maggioranza dei casi: la prassi, appunto, ma non il diritto) venissero trasformate in graduatorie permanenti. Su questi obiettivi, pur in linea di principio condivisibili, c'erano posizioni molto diverse: abilitati dei precedenti concorsi che volevano l'accesso, anche  senza servizio, nelle  graduatorie, abilitati con servizio che temevano questa ipotesi ai quali si aggiungevano le variegate situazioni dei docenti non abilitati.

       Occorsero ben tre anni perché una nuova legge riuscisse ad intervenire in questa materia. Moltissime altre persone maturarono, in quel periodo, un servizio apprezzabile e, a quel punto, l'ipotesi di accoppiare alla nascita di graduatorie stabili anche un'altra tornata di corsi abilitanti divenne largamente maggioritaria.

       Naturalmente rimanevano le problematiche di fondo: riuscire a rispettare il principio della progressività, valorizzare l'esperienza acquisita da tanti docenti nel decennio precedente, prendere definitivamente posizione a proposito dei concorsi ordinari, assicurare uno snellimento delle procedure di assunzione, gestire con razionalità la fase del conferimento degli incarichi ed evitare le ‘girandole’ di docenti in corso d’anno (punto sul quale l'Amministrazione fu estremamente ferma limitando a una sola provincia la possibilità di inserimento per i nuovi aspiranti contro le due del vecchio doppio canale).

       Tra i precari le posizioni erano spesso diversificate: alcuni docenti con più anni di servizio chiedevano, per esempio, l'abilitazione senza prove concorsuali e, nelle assemblee, circolava anche numeri associati a questa ipotesi: 180, 360 o 720 giorni di servizio. Si discuteva, inoltre, molto dell'assetto delle future graduatorie che, alla fine, furono provinciali.

       Al di fuori del mondo del precariato, però, centinaia di migliaia di persone, diplomati e laureati dopo il 1990, chiedevano l'opportunità di abilitarsi attraverso vie tradizionali, poiché questa opportunità era stata preclusa per quasi un decennio. Né mancarono tentativi di bloccare il provvedimento che, però, alla fine vide la luce. Si trattava della Legge 124 del 3 maggio 1999.

       Una nota va fatta a questo punto: nei mesi precedenti il fronte del precariato risultò compatto. Le organizzazioni sindacali erano schierate, in maniera generalizzata, a favore di una definitiva sistemazione della materia che mandasse finalmente in soffitta l'estemporaneità e la cultura dell'emergenza e che scongiurasse le sistole e diastole storiche vissute ciclicamente dal precariato in termini quantitativi. Le stesse associazioni di precari ebbero modo di mettersi in vista.

       I punti di novità della Legge furono principalmente il carattere permanente delle graduatorie, lo svolgimento di una sessione riservata accanto al concorso per titoli ed esami (considerato, almeno nelle intenzioni, come l'ultimo: non a caso fu detto "il concorso del secolo"), l'accesso di tutti gli abilitati alle graduatorie per immissione in ruolo, la semplificazione delle procedure di assunzione annuale attraverso l'eliminazione delle graduatorie provinciali per incarichi e supplenze.

       Alla Legge seguì un regolamento, il DM 123 del 27 marzo 2000, che sancì ciò che era senza dubbio nello spirito della Legge ma che era stato, in parte, differito alle norme di attuazione e cioè il carattere progressivo delle iscrizioni in graduatoria e l'assoluta necessità, in presenza di graduatorie così pingui, di preservare i diritti acquisiti dai lavoratori via, via inseriti e in servizio nella scuola pubblica. Il sistema che ne scaturì fu quello ancora in vigore, anche se com'è noto esso è stato sostanzialmente ridimensionato e, per la massima parte, addirittura snaturato.

       Si trattava di un sistema organizzato per fasce. La prima di esse conteneva i vecchi abilitati del doppio canale che, oltre a godere di un compartimento stagno, mantenevano il diritto a figurare in due province. Per coloro che avevano maturato il diritto ad entrare nelle tradizionali graduatorie per soli titoli (abilitazione e 360 giorni nella scuola pubblica al 25 maggio 1999, data di entrata in vigore della legge) all'atto della pubblicazione delle 124 fu approntata una seconda fascia. La terza fascia conteneva quanti avessero maturato gli stessi requisiti all'atto della prima integrazione delle graduatorie (la scadenza fu il 22/06/2000) e la quarta fascia avrebbe compreso gli altri.

 

       Il nuovo millennio: tutto come un tempo. Anzi: molto peggio!

 

       Questo sistema avrebbe preservato senz'altro i lavoratori della scuola statale, unici ad essere scelti in base a graduatorie trasparenti e secondo principi pubblicamente contrattati e condivisi. Purtroppo, però, il cambio di maggioranza e la larga vittoria ottenuta dalla destra cambiarono radicalmente lo scenario distruggendo quanto era stato faticosamente costruito da decine di migliaia di persone.

       Il pretesto fu dato dalla sentenza n° 29796 del 2 aprile 2001 della Terza Sezione bis del TAR Lazio, presieduta dal Consigliere R. Scognamiglio.

       Pur nel doveroso rispetto dell'interpretazione data dai Produttori della sentenza  non si può fare a meno di sottolineare alcune motivazioni che sono alla base della stessa e che tendevano a ridimensionare pesantemente la professionalità, e la stessa dignità, dei lavoratori della scuola pubblica a vantaggio di chi opera nel privato. Assai significativo questo passo che non andrà mai dimenticato per capire i presupposti etici sui quali si è fondata la successiva strutturazione delle graduatorie permanenti: 

 

 "Al contrario, l'interesse del gestore privato di offrire un servizio che non pregiudichi il prestigio dell'istituto, che attiri nuovi clienti e che costituisca una soddisfacente remunerazione del capitale investito, induce all'arruolamento del personale migliore reperibile sul mercato (quali i giovani brillantemente laureati, che non hanno possibilità di trovare occupazione immediata nella scuola pubblica).

Altrettanto non può dirsi per la scuola pubblica nella quale, fino alla svolta impressa dalla legge 124 del 1999, abbondavano più i docenti sanati che quelli veramente meritevoli." 

 

       Il Ministero annunciò il ricorso al Consiglio di Stato mentre da più parti veniva chiesto, e con forza, un decreto che sanasse la situazione.

       Ma ci si mise di mezzo il 13 maggio...

       Sulle basi etiche espresse dalla sentenza, nel primo Consiglio dei ministri della casa delle libertà, fu emanato un decreto d'urgenza, il n° 255, che accorpava terza e quarta fascia.

       Occorrerà sempre ricordare che esso è stato il primo provvedimento del neonato governo e che simbolizza compiutamente lo stile decisionistico e i presupposti di marcata preferenza per la scuola privata che lo hanno caratterizzato fino alla fine. Il decreto fu tramutato nella Legge 333 del 2001. Essa, del resto, andò ben oltre le stesse motivazioni della sentenza la quale giudicava come valida distinzione tra pubblico e privato la differente valutazione del punteggio derivante dal servizio: questo, invece, rincarando la dose, venne addirittura equiparato a quello statale.

       Dal punto di vista giuridico la 333 si propose come interpretazione autentica a posteriori della 124, interpretazione, in realtà, dal punto di vista politico, totalmente arbitraria. Va precisato, infatti, che il Consiglio di Stato si era già espresso il 23 febbraio 2000, prima della pubblicazione del Regolamento dando il via libera alle fasce. La nuova maggioranza, però, si guardò bene dal ricorrere in appello per motivazioni tutte politiche. Le conseguenze per chi già lavorava nella scuola pubblica furono semplicemente devastanti!

       Soprattutto nelle grandi aree metropolitane ci furono scavalcamenti di centinaia, il molti casi, migliaia di posizioni. I dipendenti dello Stato furono retrocessi, alcuni perdendo l'immissione in ruolo (molte ne furono realizzate nei mesi successivi per gli anni scolastici 2000/'01 e 2001/'02 derivanti dagli accordi tra organizzazioni sindacali e governo dell'Ulivo che prevedevano circa 30.000 assunzioni all'anno nel triennio 2000-2003). Molti altri persero la stessa possibilità di continuare a lavorare! Se ne avvantaggiarono notevolmente le scuole private, vere destinatarie dei benefici del provvedimento.

       La situazione che ne derivò fu caratterizzata da alcuni punti di gravissima sofferenza per la natura democratica del reclutamento e per le stesse prerogative dello Stato, snaturate come mai era successo prima. Innanzitutto, principalmente per alcune classi di concorso, non fu più pensabile una collocazione utile a lavorare nella scuola statale senza passare attraverso il servizio nel privato.

       Sulla realtà retributiva media in queste ultime ognuno, nel chiuso della propria coscienza, può giudicare. Sta di fatto che le scuole paritarie sono, tuttora, una corsia preferenziale impareggiabile per transitare nel pubblico, con tutto ciò che ne consegue in termini di pressione contrattuale nei confronti dei dipendenti.

       La legge 186/2003 sullo stato giuridico degli insegnanti di religione cattolica aggravò questa situazione. La possibilità per gli IRC di partecipare alle procedure di mobilità, unita alla facoltà che l'ordinario diocesano ha di revocare loro, in qualunque momento, l'idoneità all'insegnamento produsse la possibilità di un'altra migrazione di insegnanti sui pochi posti messi a ruolo in qualunque altra materia e un conseguente ridimensionamento delle prerogative dello Stato (sancite dalla Costituzione) in materia di reclutamento nei ruoli pubblici.

      La situazione venne ulteriormente destabilizzata dal conflitto, derivato dall'accorpamento delle fasce, tra gli aspiranti provenienti delle SISS e abilitati attraverso altre procedure abilitanti, principalmente per i docenti che avevano servizio diviso in più classi di concorso.

       Lo stesso atteggiamento del MIUR fu, del resto, improntato a una marcata mellifluità orientata a blandire ora questo ora quel gruppo di abilitati, attraverso promesse e annunci contraddittori e, di norma, frutto di solipsismo politico che ebbe anche conseguenze paradossali.

       Nell'aprile del 2003, per esempio, dopo un periodo di grande confusione su come risolvere le tensioni tra precari, in cui il Ministero tentò di sgravarsi della scelta addossandola al CNPI e durante il quale alcune soluzioni, completamente diverse le une dalle altre, vennero prospettate a breve distanza, il MIUR inviò al Consiglio una proposta poi recepita nel DM 40 del 16 aprile 2003 e dalle allegate Tabelle di valutazione dei titoli. Il bonus di 18 punti, ivi contenuto e accreditato alle abilitazioni diverse dalle SISS, non derivando da alcuna norma primaria, fu facilmente impugnato e messo in discussione da un'altra sentenza del TAR Lazio del 14 luglio. Il MIUR, dopo una flebile annuncio di reazione legale, rimandò a data da destinarsi la definizione della materia.

 

       La Legge 143/2004

 

       Eppure, per quanto fosse stato difficile il periodo seguito alla 333/2001 il peggio doveva ancora cominciare.

       Il Decreto che avrebbe dovuto sanare le polemiche e le tensioni ebbe una gestazione piuttosto lunga, vide la luce nell’aprile del 2004 e fu convertito definitivamente con la Legge 143 del 4 giugno 2004.

       I due aspetti che avevano portato, con la spinta dal basso, a quel provvedimento furono il mutamento della valutazione dei titoli di abilitazione e l’approvazione di una nuova tornata di corsi abilitanti attualmente ancora in svolgimento, dopo ben due anni e mezzo.

       Purtroppo, però, una legge fortemente richiesta per porre un argine al contenzioso dilagante e alle tensioni dovute alla pessima gestione delle graduatorie degli anni immediatamente precedenti conteneva due elementi di gravissima instabilità che erano destinati a destabilizzare lo stessa natura del doppio canale: la valutazione dei titoli universitari a pagamento e quella in misura doppia dei servizi prestati nelle scuole di montagna, in quelle delle piccole isole e nelle sedi penitenziarie.

 

       I mercanti nel Tempio

 

       E’ difficile dare le dimensioni dell’esproprio cui decine di migliaia di persone sono state soggette (e lo sono tuttora, proprio mentre vengono scritte queste pagine) ogni volta che hanno sborsato l’equivalente di due terzi di uno stipendio (o anche più, considerato che molti stipendi da insegnante sono part-time e che gli attestati in oggetto costano dai 750 ai 1.500 euro e oltre) per acquisire titoli valutabili nelle graduatorie pubbliche.

       Qualunque valutazione si voglia fare a proposito di questo vero e proprio fenomeno di massa un paio di considerazioni sono doverose.

       La prima è che buona parte di questi titoli sono stati offerti on-line, con scarsi investimenti da parte degli organizzatori, ricavi straordinari ma anche un feed-back formativo tutto da dimostrare. Il dibattito concernente la necessità della formazione e dell’aggiornamento in itinere degli insegnanti non aveva certamente come modello corsi di perfezionamento di quel tipo, tanto più se forniti a costi così esorbitanti e senza la presenza di formatori in aula.

       La seconda è che questo tipo di formazione ha interessato soltanto le fasce più deboli, contrattualmente parlando, costrette proprio dal sistema perverso creato da quella legge a gareggiare per qualche posizione in più a forza di denaro sonante. Si ricordi bene che, nei vecchi concorsi per soli titoli le tabelle di valutazione erano molto più asciutte e questi attestati non erano valutabili. Essi figuravano, fino al 1995, solo nelle vecchie graduatorie per incarichi e supplenze ma in misura ben ridotta: se ne potevano valutare solo due e valevano un paio di punti ciascuno. Lo sviluppo della compra-vendita generalizzata di punteggio è stato dovuto alla possibilità di arrivare, invece, fino a trenta punti (per un totale – allucinante - di quindici corsi valutabili) ed è un frutto avvelenato del governo di centro-destra.

       E’ anche vero, del resto, che fenomeni di fronda e di boicottaggio, da parte della categoria, rispetto a quel sistema sono stati quasi inesistenti.

       A conti fatti un affare dalle dimensioni incredibili: centinaia di milioni di euro!

       Un vero fiume di denaro finito in chissà quali tasche...

 

       Precari di mare e precari di montagna

 

       L’aspetto della nuova tabella prevista dalla 143 che generò massima instabilità fu, però, la valutazione in misura doppia del servizio prestato nelle piccole isole, nelle sedi penitenziarie e nelle scuole montane citate in un elenco contenuto in una legge risalente addirittura al 1 marzo del 1957, la n° 90.

       Quella Legge, scritta in un’Italia diversa dall’attuale, con un sistema logistico molto più limitato, aveva cercato di favorire le piccole comunità e limitatamente alle sole scuole elementari. Inoltre, nell’elenco citato, figuravano località oggi per niente disagiate. La norma che la ricalcava si rivelò immediatamente assurda!

       Ma allora perché mai fu scritta? A chi venne l’idea? Chi pagherà per i torti subiti, per i diritti lesi, per i disagi patiti? E perché consideriamo che essa fosse così destabilizzante?

       Partiamo dall’ultima domanda, segnalando tre tra le principali ragioni. Innanzitutto essa è stata – ed è, perché gli effetti si sentiranno anche nel prossimo aggiornamento – vessatoria poiché ha costretto docenti con molti anni di servizio a scegliere sedi disagiate per non perdere la possibilità del ruolo.

       Inoltre, anche a volersi sobbarcare le difficoltà logistiche spessissimo è capitato che nelle disponibilità annuali sedi ‘supervalutate’ non fossero presenti; ma in dette sedi non sono stati di certo conferiti solo incarichi annuali. Il doppio punteggio valeva – e varrà – anche per le supplenze brevi. E quanti docenti non dotati di incarichi perché in posizioni basse si sono ritrovati a scavalcare molti colleghi solo perché sono hanno ricevuto supplenze nelle scuole interessate?

       Non sarà mai possibile saperlo.

       Infine la supervalutazione non teneva in alcun conto l’effettivo disagio patito dai docenti. Tanto per fare un esempio: chi viaggia dalla ‘terraferma’ verso una piccola isola compie uno sforzo in più, spende di più; ma chi abita su una piccola isola e vi lavora? Che sforzo compie? Attraversare la strada per andare in classe comporta uno sforzo aggiuntivo tale da giustificare una supervalutazione?

       Ai posteri l’ardua sentenza…

       Per la verità il doppio punteggio parve abnorme perfino ad alcuni esponenti della maggioranza che l’aveva voluta tanto che, pochi giorni dopo averla approvata, anche dagli stessi ambienti di centro-destra vennero opinioni possibiliste riguardo alla sua cancellazione che si sarebbe potuta contenere in un decreto legge (il famigerato ‘decreto omnibus’). Ma non furono ascoltate. Così come non furono ascoltati gli appelli dell’opposizione di centro-sinistra che, a cominciare dagli Onorevoli De Simone, Sasso, Capitelli e Manzione, chiedevano, a gran voce, di cancellare quello scempio.

       Il risultato fu che gli unici aggiustamenti contenuti nel DL n° 186 del 27 luglio 2004 furono la limitazione della retroattività al solo anno scolastico 2003/2004 e la definizione di scuole montane come quelle poste al di sopra dei 600 metri.

       Si tralascia la vasta pubblicistica, nonché (a malincuore) le punte di comicità pura raggiunte in quei giorni per decidere – tanto per fare un esempio - se le succursali poste sopra i 600 metri di scuole la cui sede centrale era sotto i 600 metri erano da considerarsi supervalutabili o meno. C’era anche chi – genialmente, bisogna riconoscerlo - si chiedeva se una classe ‘montana’ posta al primo piano fosse da considerarsi davvero tale nel caso in cui, nello stesso stabile, il pianterreno fosse sotto la quota famosa o se, ripristinando l’uso della pedana sotto la cattedra, si potesse puntare al raggiungimento dell’altimetria necessaria…

       Ci sarebbe da ridere, se tramite quelle scelte assurde, non fossero stati scippati posti di lavoro e immissioni in ruolo, macinate carriere, saccheggiato diritti, messe in difficoltà famiglie e se non si fosse creato del panico dovuto agli esiti giudiziari di quella assurda vicenda.

       Esiti che sono storia dei nostri giorni. La Corte Costituzionale, infatti, con la Sentenza n° 11 depositata il 26/01/2007 ha giudicato incostituzionali alcuni aspetti di quella Legge con effetti che, al momento della stesura del seguente Quaderno, sono tutti da chiarire.

       Possiamo, invece, chiarire, una volta per tutte, le responsabilità politiche del più grave scempio di diritti che si sia mai verificato nel settore del reclutamento degli insegnanti.

       E’ un fatto - innegabile! - che la maggioranza di allora ha pervicacemente perseguito la destabilizzazione delle priorità e dei diritti acquisiti nel tentativo di delegittimare lo stesso meccanismo delle assunzioni tramite graduatoria. Il tentativo, fatto da qualcuno, di classificare come “tutti colpevoli, nessuno colpevole” è difficile da catalogare terminologicamente nei limiti del politically correct.

       E’ spiegabile che qualche protagonista di quella torbida vicenda, all’epoca sui banchi della maggioranza, si nasconda dietro la foglia di fico del qualunquismo: non è francamente comprensibile, invece, che chi non vi ha avuto parte direttamente rimesti nel torbido negando la stessa evidenza degli atti parlamentari, che si invita a rileggere (una volta per tutte) e di cui si acclude qui, a perenne memoria, qualche stralcio, con particolare riferimento al ruolo dell’opposizione:

 

MANZIONE (Mar-DL-U). Signor Presidente, so che siamo nella fase della ghigliottina, ma dal momento che il relatore ed il rappresentante del Governo stanno modificando il proprio parere in corso di esame, vorrei sapere quale sia la motivazione che li induce a far cio`.

Mi permetto di far osservare che l’emendamento presentato dal senatore Asciutti non ha lo stesso tenore e capacita` di incidere di quello da me presentato. L’emendamento 8.0.200/1, infatti, sterilizza soltanto la retroattivita` per la normativa introdotta recentemente per le scuole di montagna, che costringe i docenti a subire un’ingiusta decurtazione dei titoli, perche´ quella normativa si applica anche al periodo in cui i docenti non ne erano a conoscenza. Esso – ripeto – si limita a sterilizzare – e concludo, signor Presidente – una norma che tutti hanno detto di voler correggere: la signora sottosegretario Aprea in quest’Aula il 1º luglio, il ministro Giovanardi alla Camera in sede di question time.

Purtroppo, l’emendamento del senatore Asciutti non ha lo stesso effetto.

E`bene lo sappiano il relatore e il Governo, perche´ si tratta di un impegno che era stato assunto pubblicamente.

Senato della Repubblica – 17 – XIV Legislatura 634ª Seduta (pomerid.) Assemblea - Resoconto stenografico 13 Luglio 2004

PRESIDENTE. Il relatore intende brevemente motivare?

MALAN, relatore. Signor Presidente, intanto e` una correzione, perche´ il parere contrario non era stato motivato. In secondo luogo, si ritiene piu` equo che non ci sia retroattivita`, ma che la disposizione abbia efficacia a partire dall’anno scolastico in corso, quello cioe` in cui entreranno in vigore le norme in esame.

MANZIONE (Mar-DL-U). Domando di parlare.

PRESIDENTE. Ne ha facolta`.

MANZIONE (Mar-DL-U). Signor Presidente, non mi convince quanto detto dal relatore. Evidentemente non conosce la materia e avrebbe dovuto sentire il collega Asciutti, che era d’accordo con la mia versione.

Comunque, affinche´ ognuno si assuma la propria responsabilita` (anche il Governo), chiedo la votazione nominale con scrutinio simultaneo, mediante procedimento elettronico, dell’emendamento 8.0.200/1, in modo che i colleghi sappiano che stanno compiendo un’ennesima ingiustizia nei confronti dei precari. (Senato della Repubblica, Seduta pubblica 634 del 13 luglio 2004)

 

TITTI DE SIMONE. Signor Presidente, desidero richiamare brevemente l'attenzione dei colleghi sia sull'emendamento in esame, sia sul mio successivo emendamento 8-quinquiesdecies.3, che abbiamo presentato sulla medesima materia, ovvero l'annosa questione dei punteggi per le graduatorie.

Si tratta di una questione che è stata oggetto, negli ultimi tempi, anche di un provvedimento, discusso a giugno in questa sede, che ha ulteriormente confuso la situazione dei precari storici inseriti nelle graduatorie permanenti.

Noi vogliamo sottolineare la questione del precariato. Onorevoli colleghi, so che tra noi molti sono sensibili a tale tema, non solo tra i gruppi dell'opposizione, ma anche tra quelli della maggioranza. La questione del precariato della scuola è assai seria e rischia di creare una situazione di caos nel sistema, a partire dal prossimo anno scolastico.

Diamo una valutazione e cioè che il Governo abbia voluto proseguire su una linea sbagliata, funzionale ai principi, all'idea, alla filosofia di fondo della riforma Moratti - che non condividiamo -, che vuole un sistema di reclutamento precario proprio per avere le mani libere per poter tagliare e ridurre (è la famosa razionalizzazione del sistema che, di fatto, sta impoverendo la scuola pubblica).

In ogni caso, qualunque sia la nostra opinione sulla cornice di fondo della riforma Moratti, si pone una questione molto precisa che molti di noi, in quest'aula, conoscono: vi sono stati interventi che hanno complicato e danneggiato profondamente la condizione di migliaia di docenti precari storici della scuola pubblica che, da dieci o dodici anni, lavorano e sono una risorsa preziosa per il sistema. Essi sono stati scavalcati nelle graduatorie dai nuovi precari. A causa di un sistema caotico che li ha penalizzati, hanno visto sottrarsi quella certezza di diritto che avevano acquisito. Abbiamo, dunque, constatato il maturarsi di uno squilibrio. Non vi sono immissioni in ruolo sufficienti; le briciole che qui si paventano non saranno, ovviamente, mai sufficienti a risolvere il problema drammatico del precariato, a fronte di centinaia di migliaia di posti vacanti nella scuola.

Noi vi chiediamo un intervento di buonsenso. Al Senato è stato approvato un emendamento sul provvedimento che abbiamo approvato alla Camera, abolendo la retroattività del punteggio doppio di montagna. Noi, però, non lo riteniamo un intervento sufficiente. Abolire, infatti, la retroattività su un elemento di squilibrio forte ed anche di disparità ed introdurre regole nuove su un meccanismo che sta funzionando da molti anni e sulla base del quale molte decine di migliaia di lavoratori della scuola hanno impostato la loro esistenza le loro scelte professionali è un danno enorme.

Pertanto, noi pensiamo che abolire solo la retroattività per il doppio punteggio di montagna sia assolutamente insufficiente e vada eliminato tale elemento di disparità e di disequilibrio, che può creare - e crea - diseguaglianze molto profonde.

Vi è un'altra questione: noi pensiamo che la valutazione del servizio specifico che abbiamo inserito, con un nostro emendamento, qui alla Camera, vada fatta seriamente oppure non ha senso di esistere. Se aboliamo la retroattività sul servizio specifico - e lo valutiamo anche per i docenti di ruolo, perché possa essere utilizzato per i passaggi di cattedra o di ruolo - è evidente che lo scopo che ci eravamo prefissi, ossia offrire un elemento di equilibrio al precariato storico - poiché è stato tartassato, purtroppo, da molti provvedimenti - non riusciremo a raggiungerlo.

Pertanto cerchiamo di correggere, con buonsenso, ciò che è stato fatto. Vi chiediamo di assumervi questa parte di responsabilità, per dare certezza di diritto, trasparenza e giustizia a tanti lavoratori precari docenti della scuola che oggi se le vedono sottratte (Applausi dei deputati del gruppo di Rifondazione comunista). (Dalla Seduta della Camera dei Deputati n° 499 del 27 Luglio 2004)

 

ALBA SASSO. Signor Presidente, il nostro è un emendamento di assoluto buonsenso. Vorrei ricordare, infatti, che abbiamo sostenuto più volte che la legge n. 143 del 2004 è un provvedimento «colabrodo», perché, da una parte, pone rimedio ad alcune situazioni ma, dall'altra, ne guasta altre.

Vorrei rivolgermi, a tal proposito, al sottosegretario di Stato per l'istruzione, l'università e la ricerca. Onorevole Aprea, lei sa bene che le graduatorie, e soprattutto le tabelle di valutazione dei titoli, non possono essere stabilite per legge, poiché i risultati prodotti sono quelli che vediamo. È un po' come un sistema di pesi: se uno sale, l'altro scende; se si aiutano alcuni, poi si creano dei controinteressati. La verità è che voi, con questa gestione delle graduatorie degli insegnanti, da tre anni a questa parte avete creato un caos. Onorevole Aprea, vorrei ricordarle che le scuole apriranno tra un mese, ma i provveditorati (detti CSA) si trovano in una situazione di difficoltà, poiché devono riesaminare circa 14 mila domande.

Suggeriamo, allora, un intervento semplicissimo. In primo luogo, proponiamo di prorogare al 31 agosto il termine di cui all'articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 3 luglio 2001, n. 225, convertito, con modificazioni, dalla legge 20 agosto 2001, n. 333, ferma restando la decorrenza economica e giuridica dal 1o settembre. Proponiamo, inoltre - e mi rivolgo a tutti colleghi -, la soppressione della lettera h) del punto B.3) della tabella di cui all'articolo 1, comma 1, della legge 4 giugno 2004, n. 143, concernente il punteggio aggiuntivo per la montagna, che tanta confusione ha creato a danno degli insegnanti precari.

Vi assicuro, onorevoli colleghi, che si tratta di un emendamento veramente di buonsenso, ed invito pertanto l'Assemblea a votare a favore. (Dalla Seduta della Camera dei Deputati n° 499 del 27 Luglio 2004)

 

PIERA CAPITELLI. Signor Presidente, il testo approvato dal Senato cerca di attenuare alcuni degli effetti più devastanti della legge, recentemente approvata, sui punteggi che regolano le graduatorie permanenti, ma questo non sarà sufficiente ad eliminare gli aspetti discriminatori ed ingiusti che ancora rimangono nella valutazione dei titoli di servizio. (Dalla Seduta della Camera dei Deputati n° 499 del 27 Luglio 2004)

 

       Tutti questi appelli rimasero lettera morta con le conseguenze cui stiamo assistendo in questi giorni, a due anni e mezzo di distanza.

       Varrà davvero la pena di ricordare, inoltre, che dai banchi dell’opposizione si cercava di interpretare il gravissimo malcontento che si stava manifestando in ambito sindacale e nella categoria in considerazione del carattere comunque retroattivo delle nuove norme ma, primariamente, delle conseguenze facili da prevedere per chiunque tranne, a quanto pare, per chi si era ostinato a volere a tutti i costi quella nuova tabella di valutazione.

       Il 2 luglio 2004 i sindacati Confederali e diversi coordinamenti di docenti manifestarono, a Viale Trastevere, contro gli aspetti deteriori della 143: non si era mai visto un esecutivo così sordo e ottusamente autoreferenziale.

       Uno dei pochi aspetti positivi di quella Legge fu la previsione di un piano pluriennale di assunzioni, passato grazie a un emendamento dell’opposizione.

       Di quel piano, naturalmente, non si vide neanche l’ombra nei due anni successivi…

 

       La situazione attuale

 

       Il seguito di questa vicenda è davvero storia recente.

       Diciamo subito che, mentre il primo atto in assoluto del Governo Berlusconi – il primo in assoluto, non ci stancheremo mai di ripeterlo - era stato lo sdoganamento del sistema pubblico di reclutamento tramite la 333/2001, la prima presa di posizione dell’Unione interveniva, al contrario, a risanare alcuni degli aspetti più dannosi del quinquennio precedente. Il 26 luglio 2006 la VII Commissione Cultura della Camera approvava il seguente Ordine del giorno:

 

La VII Commissione,

tenuto conto innanzitutto delle indicazioni emerse nel corso delle audizioni informali di rappresentanti delle associazioni di insegnanti precari svolte dalla commissione cultura nella seduta del 15 giugno 2006;

premesso che:

il precariato nella scuola ha ormai raggiunto livelli insostenibili che, in assenza di radicali interventi correttivi, sarebbero destinati a crescere ulteriormente, con gravissimo danno sia per i diritti di decine di migliaia di precari, sia per la stessa funzionalità del sistema scolastico pubblico;

le dimensioni del fenomeno hanno conosciuto una crescita esponenziale nella passata legis1atura a causa del blocco, totale o parziale, del turn over e delle politica di tagli indiscriminati agli organici del personale portata avanti dal precedente Governo;

il numero di immissioni in ruolo programmato dal precedente governo è del tutto insufficiente a garantire le ordinarie esigenze di funzionamento delle istituzioni scolastiche ed è, ancora una volta, di gran lunga inferiore al numero di posti e cattedre resi liberi dai pensionamenti, sia per il prossimo anno scolastico, sia a maggior ragione per quelli successivi, nei quali è previsto l'avvio del pensionamento di una intera generazione di docenti;

nella passata legislatura è stata definita - per la prima volta con una legge invece che con un atto amministrativo - una nuova tabella di valutazione dei titoli per la compilazione delle graduatorie permanenti, attualmente in vigore, dalle quali si attinge per il 50 percento delle immissioni in ruolo e per il conferimento delle supplenze;

le modifiche introdotte rispetto alle norme fino allora vigenti, limitandosi a quelli dalle conseguenze più pesanti, hanno riguardato:

l'eliminazione del criterio dei nuovi inserimenti in uno scaglione successivo all'ultimo, sostituito da quello dell'inserimento “a pettine"

il raddoppio del punteggio per il servizio prestato nello scuole "di montagna”, degli istituti penitenziari e dello piccole isole;

l' equiparazione del servizio prestato nelle scuole paritarie private a quello delle scuole statali, sia ai fini de1 punteggio, sia ai fini del possesso dei requisiti di servizio, con la conseguente abolizione della quarta fascia (accorpata con la terza);

l'accentuazione della disomogeneità nella valutazione del punteggio d'abilitazione a seconda delle procedure abilitanti seguite, già presente nella normativa precedente, con un trattamento privilegiato degli abilitati SSIS;

la valutazione di master e corsi di perfezionamento, cumulabili fino a raggiungere ben 30 punti, dando il via ad un mercato di titoli non sempre qualificanti con un peso economico notevole per i precari, costretti a conseguirli per non essere scavalcati da altri colleghi.

Il risultato di tali interventi è stato un radicale sconvolgimento delle graduatorie che ha reso incerte le aspettative e i diritti di decine e decine di migliaia di docenti precari che per anni, in condizioni di minori tutele salariali e contrattuali, avevano consentito al sistema scolastico di far fronte alle proprie necessità;

Considerato che:

il ricorso massiccio al lavoro precario nella scuola, sia per i docenti che per il personale ATA, risponde ad una logica di risparmio che, alla luce di una attenta analisi dei valori economici in gioco, in ragione del costo nettamente inferiore del personale neo immesso in ruolo che prenderebbe il posto del personale che va in pensione dopo aver raggiunto i livelli più alti della scala retributiva, si dimostra falsa ed illusoria nei suoi presupposti;

occorre invertire questa tendenza puntando decisamente sul superamento del precariato e sulla stabilità degli organici quale premessa per lo sviluppo qualitativo del sistema scolastico pubblico partendo dal principio che le assunzioni fatte sulla base delle attuali graduatorie permanenti sono viziate da profonde ingiustizie e da sostanziale illegittimità e che ciò non può essere riprodotto;

occorre altresì, in previsione delle operazioni di conferimento delle supplenze per il prossimo anno scolastico, dare un segnale politico chiaro al vasto e complesso mondo dei precari sugli indirizzi che il governo intende seguire per risolvere i problemi evidenziati in premessa;

impegna il governo:

1.         ad incrementare significativamente e progressivamente il numero di immissioni in ruolo previsto tenendo conto dei massicci pensionamenti già in atto;

2.         in considerazione dei posti vacanti, a predisporre un piano straordinario di assunzioni nell’arco di un triennio intervenendo anche sui criteri di definizione degli organici in relazione alle reali esigenze di funzionamento delle scuole;

3.         ad intervenire con un provvedimento che, prima dell’inizio delle operazioni di conferimento delle supplenze per il prossimo anno scolastico, abroghi la lettera h) (raddoppio del punteggio di montagna ecc.) del punto B.3 della tabella di valutazione dei titoli, allegata alla Legge 143/04,  nonché elimini la possibilità di valutare master, corsi di perfezionamento o di specializzazione o, almeno, ne limiti fortemente il numero;

4.         a predisporre con la massima urgenza un provvedimento che delegifichi la tabella di valutazione e ne riconduca la definizione ad un atto amministrativo e che, fermo restando quanto indicato al punto 3, fissi i riferimenti generali, assumendo il principio che deve essere fortemente valorizzato il servizio prestato sullo specifico insegnamento per il quale si concorre.

 

De Simone, Sasso, Rusconi, Poletti, Costantini, Li Causi, Ghizzoni, Benzoni, Guadagno detto Vladimir Luxuria, Martella, Tranfaglia, De Biasi

 

       Un buon inizio, poco da dire.

       Purtroppo, però, la nuova maggioranza ha commesso due gravi errori sui quali occorrerà riflettere abbondantemente affinché non venga generato nuovo inutile malcontento.

       Il primo è stato l’attendismo riguardo agli aspetti più urgenti della modifica alle tabelle della Legge 143: l’abolizione della supervalutazione e la limitazione dei titoli culturali valutabili doveva essere realizzata immediatamente, già nell’estate del 2006 e prima dell’attribuzione dei nuovi incarichi o della partenza di nuovi master.

       Nessuno ha capito di preciso perché si è voluto rimandare tutto alla Finanziaria perpetuando, per un altro anno, motivi di sofferenza che covavano già da troppo tempo.

       L’errore più grave, però, è stato proprio scegliere la Legge Finanziaria per dirimere una materia nella quale occorreva un intervento specifico e tempestivo.

       Era inevitabile che in una legge di bilancio non ci fossero gli spazi di riflessione necessari. Al punto che – e questo è stato il momento più drammatico – alcuni settori parlamentari avevano pensato che si potessero sanare le difficoltà cui erano state sottoposte le graduatorie pubbliche ponendo un termine temporale alle stesse e facendo precedere questo termine da un sostanzioso piano di assunzione.

       Questa ipotesi ha suscitato, immediatamente, un grande allarme e ha incontrato forti dissensi motivati dal diffuso scetticismo sulla possibilità che il piano pluriennale sia effettivamente delle dimensioni prospettate ma anche dalla sicurezza (numeri alla mano) che, pur se effettivamente realizzato, quel piano non darà la certezza a tutti gli insegnanti in attesa della stabilizzazione. E questo vale anche per docenti con parecchi anni di servizio e non solo per chi è in attesa senza aver mai lavorato nella scuola.

       Il movimento di protesta, grazie anche all’intervento energico di una parte del sindacato, ha ottenuto il risultato di mutare la paventata decadenza delle GP in trasformazione in Graduatorie a Esaurimento la cui ultima integrazione verrà realizzata, stante l’attuale situazione legislativa, nella primavera del 2007.

       Viene fatta salva la possibilità di aggiornamento, nei prossimi anni, dei titoli e dei servizi di chi è già inserito, nonché l’inserimento con riserva di tutte le procedure abilitanti attualmente in fase di svolgimento.

       Va segnalata, peraltro, come nota sociologica, la capacità che il Web ha avuto negli ultimi anni, e in particolare gli ultimi mesi, nell’aggregare persone e nel creare movimenti di pensiero in maniera veloce e funzionale anche nel settore scolastico. E’ un fatto, ormai, che le rivendicazioni riescano a spostarsi dal terreno virtuale di Internet fin dentro i palazzi della politica. Una buona notizia, senza ombra di dubbio.

 

       Uno sguardo al futuro: oltre la Legge 53

 

       L’assetto normativo attuale riguardante le Graduatorie dei precari offre un’occasione storica. Nel luglio del 2001, pochi giorni dopo l’insediamento del governo di centro-destra, migliaia di persone che erano in procinto di essere stabilizzate, si ritrovarono fuori della scuola. Oggi, invece, dopo alcuni mesi di governo di centro-sinistra e nonostante l’incidente di percorso della prima stesura della Finanziaria, esistono i presupposti perché tutto il precariato docente abilitato venga assorbito in tempi non biblici.

       Il grande numero di pensionamenti previsto per i prossimi anni presuppone la possibilità effettiva di un altrettanto alto numero di assunzioni e, con graduatorie a esaurimento e tabelle di valutazione ricondotte a un accettabile livello di decenza e stabilità, le prospettive di immissione in ruolo diventano reali anche nelle classi di concorso che scorrono più lentamente.

       Il problema consiste, semmai, nel cercare di evitare che il fenomeno del precariato docente si riformi, tanto meno nelle dimensioni conosciute negli ultimi anni. E’ evitare che decine di migliaia di persone vengano risucchiate nella spirale delle supplenze e di una precarietà che diventa condizione permanente, al punto da rappresentare quasi un habitus mentale con tutti i risvolti psicologici ed esistenziali che questo comporta.

       Purtroppo, però, già si evidenziano punti di sofferenza che rischiano di riproporre antichi e dolorosi problemi in tempi brevi.

       Innanzitutto diciamo subito che la blindatura delle graduatorie da sola non basta. Secondo un sondaggio proposto, nei giorni scorsi, da Scuolanostra è percezione diffusa che essa, per mettere al riparo da altre situazioni critiche, debba essere affiancata dall’effettiva realizzazione ed estensione del piano pluriennale previsto dall’ultima Legge Finanziaria ma anche da una gestione oculata del processo di riforma del reclutamento. Ecco i risultati del sondaggio:

 

       La trasformazione delle Graduatorie Permanenti in Graduatorie a Esaurimento è sufficiente a tranquillizzare i docenti precari?

 

Si è sufficiente

7,9 %

Solo se connessa a un'oculata gestione della riforma del reclutamento

18,6 %

Solo se connessa all'ampliamento del piano di assunzioni previsto dalla Finanziaria 2007

21,4 %

Solo se connessa sia all'ampliamento del piano di assunzioni che a un'oculata gestione della riforma del reclutamento

52,1 %

 

       Uno dei primi problemi riguarda i tempi di realizzazione del processo. Già nell’anno in corso, in molte province e per molte classi di concorso, ritroviamo impiegato, anche su posti vacanti, personale non ancora abilitato. Questo fenomeno non interessa solamente le regioni dell’Arco Alpino (tradizionalmente più recettive), né soltanto le discipline tecnico-matematiche, ma anche province meridionali e per classi di concorso artistiche e del settore artigianale ma anche per quelle dell’area linguistica e di quella esecutivo-professionale.

       E’ ragionevole pensare, quindi, che, se i tempi di gestione della “fase di transizione” si allungheranno, ci ritroveremo presto con un alto numero di docenti, con servizio pluriennale e non abilitati.

       Ciò aprirebbe un’altra fase emergenziale difficile da gestire. Già adesso le comprensibili rivendicazioni da parte del personale interessato cominciano a farsi sentire e occorrerà presto dare ad esse una risposta.

       Attualmente parlare di riforma del reclutamento significa parlare della Legge 53/2003, la cosiddetta riforma Moratti.

       Peraltro l’informazione, nella stessa categoria, che la Legge citata, all’Articolo 5, concerne anche la formazione iniziale, e quindi le nuove assunzioni, è ancora poco diffusa.

       Eppure uno degli ultimi atti parlamentari in materia di istruzione del centro-destra è stata l’approvazione del Decreto Legislativo 17 ottobre 2005, n° 227, contenente la “Definizione delle norme generali in materia di formazione degli insegnanti ai fini dell'accesso all'insegnamento, ai sensi dell'articolo 5 della Legge 28 marzo 2003, n. 53”.

       Ma cosa stabilisce quel decreto?

       Innanzitutto viene rimaneggiata, ma, di fatto, riproposta, la pratica dei concorsi per titoli ed esami. Inoltre la formazione, compresa quella destinata ai docenti della scuola dell’infanzia e primaria, viene demandata alle università, attraverso la laurea magistrale e i corsi accademici di secondo livello.

       Gli aspetti più controversi, però, sono sostanzialmente due.

       Il primo consiste nell’eliminazione del concetto di ‘graduatoria’ pubblica a favore di quello di ‘Albo regionale’ (Art. 5). Questa dicitura apre le porte a uno dei cavalli di battaglia dell’impostazione aziendalista di della destra, e cioè l’idea che il rapporto privatistico, tra personale e dirigente scolastico, possa spingersi, sul modello anglosassone, a una gestione diretta del reclutamento da parte del singolo, con un livello di discrezionalità tutto da definire.

       La sintesi ideologica di questa circostanza è perfettamente spiegata dall’On. Angela Napoli (Alleanza Nazionale) nelle motivazione introduttive al Disegno di Legge n° 749, sul reclutamento degli insegnanti e l’istituzione dell’ordine dei docenti, presentato il 12 giugno del 2001 (pochi giorni dopo la vittoria elettorale: anche questa tempestività la dice lunga sull’importanza strategica che il governo Berlusconi dava alla materia, soggetta a un vero e proprio attacco concentrico e immediato):

 

“L’ordine ha il compito di difendere la specificita` dell’insegnamento, e funge da interlocutore con il Governo, il Parlamento e gli istituti scolastici, per quanto riguarda il contratto, le assunzioni, la mobilita` e la licenziabilita`: allo scopo, è depositario dell’albo nazionale dei docenti, costantemente aggiornato. Ad esso faranno riferimento le scuole, ogni volta che contempleranno la necessita` di variare il loro organico. E', nella sostanza, il luogo dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro […] La presente proposta di legge risponde all’esigenza di fornire strutture di riferimento nazionali, nel momento in cui le  singole scuole diverranno autonome; evita la polverizzazione di momenti fondamentali come l’assunzione; elimina le mille burocrazie locali, che costituiscono remora all’autonomia ed alibi per le inefficienze statali; pone sullo stesso piano i privati e lo Stato, nel delicato settore del personale docente.”

 

       Tralasciamo, perché eccedente dalle finalità di questo Quaderno, la chiara tendenziosità a riguardo dell’attribuzione alla pratica sindacale di un ruolo residuale con tutti i derivanti risvolti contrattuali.

       Ci riguarda, invece, in questa sede, che in Italia c’è una circostanza che pare la destra abbia completamente dimenticato: lo stipendio dei docenti lo paga lo Stato e il consiglio di istituto non è un consiglio di amministrazione, ma un organo elettivo di gestione di risorse pubbliche, vincolato, peraltro, dalle delibere del collegio dei docenti. Il dirigente, negli istituti statali, è un datore di lavoro ‘atipico’, che non paga di tasca propria. Questo dipende, lo si ricordi, dal fatto che il modello italiano di autonomia scolastica è stato orientato all’autodeterminazione progettuale, all’efficienza amministrativa, a una gestione fortemente condivisa delle risorse, improntata alle specificità territoriali e non certo a snaturare il carattere pubblico e trasparente della conduzione. Ed è in virtù di ciò che la competenza particolare del reclutamento viene, come è ovvio, annoverata dal Regolamento dell’Autonomia tra quelle escluse dall'attribuzione alle scuole e riservate a un ambito territoriale più ampio di quello della singola istituzione, in quanto richiedente “garanzie particolari in relazione alla tutela della libertà di insegnamento” (Cfr. Art. 15 del D.P.R. 8 marzo 1999, n. 275).

       In altre parole il passaggio dall’epoca delle graduatorie e dei punteggi a quella dei ‘liberi professionisti’ della docenza aprirebbe risvolti addirittura di natura costituzionale che vanno tenuti bene in considerazione prima di abbandonarsi all’avventurismo legislativo, alla deregolamentazione del settore in nome di un preteso sistema meritocratico, tutto da dimostrare, peraltro, se è vero che discrezionalità e clientelismo sono sempre andati, da che mondo e mondo, a braccetto…

       Il Decreto attuativo dell’Art. 5 della riforma, però, pone anche altre gravi incognite.

       All’Art. 6, difatti, esso prevede “Contratti di inserimento formativo al lavoro”, di durata annuale.

       Questo anno assomiglia molto all’anno di prova degli attuali neo-immessi in ruolo, con annesse assunzione di responsabilità in ordine alla didattica, nomina di un tutor e relazione finale. A differenza delle attuali assunzioni, però, questo sistema presenta caratteristiche che rischiano di portare a una nuova fase di crescita inarrestabile del precariato:

1)   Esiste un rapporto molto poco chiaro tra il “numero programmato” degli ammessi ai corsi di formazione previsto dall’art. 2, comma 1, e le effettive (e fluttuanti) esigenze di organico. Chi decide quanti ‘abilitandi’ devono essere ammessi ai corsi e in base a quali criteri oggettivi? E se le assunzioni vengono bloccate per uno o più anni  verranno bloccati anche i percorsi di formazione? Si ricordi che, tra il 2001 al 2006, le assunzioni sono state fermate per ben due anni e per un altro anno esse sono state ridotte a meno della metà del turn-over. Intanto le Scuole di specializzazione hanno continuato, nonostante tutto, a produrre aspettative che soltanto l’ultima Finanziaria, probabilmente, mette in condizione di soddisfare, e nel giro, è facile prevedere, di diversi anni. Nello stesso periodo si potrebbero accumulare, se la programmazione non sarà seria e rigorosa, centinaia di migliaia di nuovi abilitati. Chi metterà d’accordo i Ministri dell’istruzione e quelli dell’Economia? Finora non è mai successo che fossero realmente in sintonia sui numeri e anche per il prossimo futuro è tutto da decidere.

2)   Il percorso previsto dal DL 227 diventa, se possibile, ancora più tortuoso di quello applicato finora. La formazione universitaria e l’anno di inserimento, infatti, sono propedeutici non al contratto a tempo indeterminato ma soltanto all’accesso a un concorso per titoli ed esami come previsto dall’Art 1, comma 5.

 

       In parole povere dopo (almeno) cinque anni di università e un altro di prova in aula si apre la fase, densa di incognite, dell’attesa dell’indizione delle procedure concorsuali (ogni tre anni?...), della preparazione, delle prove, degli scritti, degli orali, delle commissioni, delle sottocommissioni, della discrezionalità e delle difformità valutative, ecc., ecc, ecc…

       Esattamente ciò che, per quaranta anni, tutti i movimenti dei docenti hanno cercato di scongiurare e che tutti i governi hanno detto di voler riformare in nome dell’efficienza, della razionalità, della giustizia, e via discorrendo.

       Dalla Legge 53 esce un sistema di reclutamento che garantisce una sola cosa: il precariato non sparirà. Anzi: è destinato ad aumentare.

 

      I pericoli per gli attuali lavoratori a tempo determinato

 

       L’Art. 5 non presuppone, però, incognite soltanto per i docenti di domani. Il pericolo più grosso lo corrono i docenti di oggi.

       Nessuno finora ha, infatti, spiegato quali cattedre verranno messe a disposizione degli abilitandi per l’anno di formazione. Quelle in organico di diritto? Quelle in organico di fatto? Cattedre virtuali?

       La risposta, per quanto ci riguarda, è semplice: esse verranno sottratte agli incarichi annuali attualmente conferiti.

       In altre parole, nel nuovo sistema e fino a quando non saranno esaurite le graduatorie permanenti, la diminuzione di posti di lavoro per i docenti incaricati deriverà non solo dal 50% dei posti dato a ruolo ai neo-laureati ma anche dalle cattedre conferite per contratto di formazione.

       Si tratta di posti di lavoro che contribuiscono, in maniera decisiva, al bilancio e alla sussistenza di decine di migliaia di famiglie.

       Uno scenario insostenibile.

       Presto – molto presto – questo nodo verrà al pettine. Toccherà a questo Governo, con l’aiuto delle organizzazioni sindacali, trovare una soluzione che aiuti  passare a un sistema nuovo senza creare tensioni.

       Da alcuni settori della maggioranza sono venute rassicurazioni rispetto al superamento dell’Art. 5 della riforma, del quale, finora, si è parlato davvero troppo poco.

       Occorre intervenire affinché gli aspetti più irrazionali del DL 227 non portino a una situazione ingestibile e bisogna farlo subito. Tra due o tre anni sarebbe troppo tardi.

       Un concorso successivo all’anno di formazione comporta la certezza matematica del riformarsi del precariato e allunga in maniera del tutto inutile un iter che è già di per sé più tortuoso rispetto a quelli di altri paesi europei.

       Inoltre occorrerà la massima coerenza nella gestione numerica. Il surplus di risorse di cui gli atenei hanno goduto finora grazie alla gestione del reclutamento (e dei titoli valutabili) non è motivazione sufficiente per contribuire a creare attese inutili, a frustare speranze, a macinare vite.

       Il numero programmato per le lauree magistrali e i corsi accademici di secondo livello deve essere subordinato all’effettiva realizzazione delle immissioni in ruolo, strettamente connesso con le esigenze di organico e non eccedente, rispetto ad esse, neanche di una sola unità.

       Succederà questo? Sarà realmente razionale la gestione della fase di transizione in tutti i suoi aspetti qualitativi e quantitativi? Dopo anni di caos in molti temono di no.

       E’ compito delle forze più avvertite e responsabili del mondo politico e sindacale fare in modo che queste preoccupazioni si rivelino infondate.

 

             26 febbraio 2007