Buoni scuola made in Italy. di Giorgio Brunello e Daniele Checchi, da La Voce del 29/3/2005
Una letteratura crescente nell’economia dell’istruzione sottolinea l’importanza di aumentare le possibilità di scelta degli studenti e delle famiglie, allo scopo di migliorare la qualità della formazione scolastica erogata. L’idea è che una maggior possibilità di scelta generi un meccanismo di competizione tra scuole, sia private che pubbliche, al fine di attrarre gli studenti migliori. Verrebbe così a innescarsi un circolo virtuoso, in quanto le scuole che forniscono istruzione di qualità migliore sarebbero in grado di attrarre gli studenti più capaci (che sono anche disposti a pagare un prezzo di partecipazione più alto quando si tratti di scuole private), mentre le scuole meno dedite alla qualità sarebbero penalizzate.
La competizione tra scuole L’introduzione di buoni scuola rappresenta uno strumento per accrescere la pressione sul settore pubblico dell’istruzione, in quanto permette alle famiglie meno ricche di accedere al servizio privato in presenza di bassa qualità delle scuole pubbliche locali. Una maggiore concorrenza tra scuole può migliorare l’efficienza, ma ha come altra faccia della medaglia l’aumento della stratificazione del sistema scolastico sia sulla base delle abilità e delle preferenze individuali sia secondo le caratteristiche familiari degli studenti. Quanto più, ad esempio, gli studenti scelgono le scuole per la qualità percepita, e quanto più aumentano i divari tra le scuole, tanto più quelle scadenti si troveranno a fronteggiare una domanda di istruzione da parte di ragazzi disinformati o disinteressati alla qualità, o respinti dalle scuole migliori perché non sufficientemente capaci. Alcune di queste caratteristiche individuali sono chiaramente correlate con il background familiare. Anche in Italia l’attenzione pubblica sull’importanza della qualità del sistema formativo è cresciuta notevolmente negli ultimi anni, e alcune recenti misure di politica scolastica hanno seguito l’idea che una maggiore qualità ed efficienza delle scuole possano essere ottenute attraverso il potenziamento del settore privato dell’istruzione. Il presupposto di tale idea è che il settore privato, per definizione più efficiente in quanto orientato per lo meno al pareggio di bilancio se non all’utile, sia in grado di fornire una istruzione di qualità almeno comparabile a quella fornita dal settore pubblico. La scarsa evidenza disponibile sulla qualità fornita dalla scuola privata in Italia non sembra però confermare tale presupposto. In uno studio sugli studenti universitari si è notato infatti come la performance accademica di coloro che provenivano dalle scuole secondarie private risultasse sistematicamente inferiore a quella di coloro che avevano frequentato una scuola secondaria pubblica. Gli autori della ricerca hanno interpretato questo risultato suggerendo che le scuole private in Italia, dove già i licei raccolgono gli studenti più capaci, svolgono una funzione di recupero per i figli svogliati delle famiglie ricche. Altri studi, basati sull’analisi degli sbocchi lavorativi dei diplomati italiani, hanno confermato questa auto-selezione negativa nelle scuole private. A sostegno della tesi è utile osservare la tabella 1, da cui si evince che nella scuola privata primaria sono sovra-rappresentati gli studenti in anticipo sull’età d’ingresso. (1) Mentre nella secondaria superiore sono sovra-rappresentati in modo via via crescente gli studenti più vecchi, plausibilmente bocciati. Questo significa che la scuola privata accoglie in modo preponderante studenti bocciati dalla scuola pubblica, e cerca di tenerli all’interno del sistema scolastico. Un’opportunità accessibile prevalentemente ai figli delle famiglie più abbienti, che crea una disparità nelle possibilità di accesso/permanenza nel sistema scolastico che sarebbe utile colmare per ragioni di equità. Tuttavia, gli strumenti con cui raggiungere il risultato possono variare, e includono il potenziamento del sostegno scolastico in classe, l’introduzione di una offerta didattica aggiuntiva (pomeridiana o estiva), e l’utilizzo di buoni scuola che permettano anche alle famiglie più povere di usufruire del ruolo di recupero svolto dalle scuole private.
Tabella 1
Fonte: Ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, Scuola non statale: indagine conoscitiva – a.s. 2001/02, Roma 2003, tabella 35
La moda dei buoni scuola in Italia Alla luce dei riferimenti sulla qualità, non sembra quindi che il ricorso alla scuola privata sia uno strumento essenziale per favorire la competizione nel sistema scolastico italiano. Negli anni recenti abbiamo assistito a una espansione dei finanziamenti pubblici a favore della scelta scolastica delle famiglie. Ad esempio, il precedente Governo di centrosinistra aveva assegnato alle Regioni fondi per coprire i costi di trasporto e di fornitura pasti, e aveva fornito finanziamenti parziali alle scuole private su progetti finalizzati (legge nazionale n. 62/2000). Alcune Regioni avevano poi utilizzato fondi propri derivati dalla tassazione per aumentare i trasferimenti alle famiglie, utilizzando criteri differenziati a seconda dell’orientamento ideologico dei locali governi in carica. L’attuale Governo di centrodestra ha introdotto con la legge Finanziaria 2003 un fondo a parziale rimborso delle spese di iscrizione nelle scuole private. (2) A fianco di queste iniziative nazionali, tra il 2001 ed il 2003 ben nove Regioni italiane hanno varato leggi di sostegno alla spesa scolastica delle famiglie, e tutte tranne una hanno anche stanziato fondi allo scopo. Tuttavia, le modalità di erogazione dei fondi differiscono sostanzialmente, e sembrano riconducibili a due modelli distinti. (3) In un primo caso, adottato da Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Liguria, Puglia e Sicilia, il sostegno alle famiglie prende la forma di un buono scuola a rimborso parziale delle spese sostenute. La percentuale di rimborso è notevolmente diversa da Regione a Regione (si va dall’80 per cento del Friuli al 25 per cento della Lombardia e della Sicilia), ed esiste spesso un tetto massimo di rimborso, che può variare anche a seconda dell’ordine di scuola frequentato. La previsione di un livello minimo di franchigia ha permesso in molti casi di escludere dall’accesso a questi fondi le famiglie che mandano i propri figli alla scuola pubblica. Infine, l’erogazione dei buoni scuola è subordinata al rispetto di tetti di reddito familiare (seppur elevati), ma è indipendente dalla performance scolastica degli studenti. Il secondo modello, adottato da Emilia e Toscana, è riconducibile alla tipologia della borsa di studio: è erogato agli studenti meritevoli (che mantengono una performance scolastica elevata) purché provenienti da famiglie con basso reddito. Non esiste franchigia, e quindi viene assegnato indipendentemente dal livello di spesa sostenuto dalle famiglie, senza distinzione tra scuola pubblica o privata. Se confrontiamo questi schemi attuativi con la letteratura teorica di riferimento, notiamo che uno schema di buoni scuola ideale dovrebbe tener conto sia delle capacità degli studenti che delle possibilità finanziarie delle famiglie, in quanto coloro che si vogliono aiutare sono innanzitutto i figli brillanti provenienti dalle famiglie povere. Se ad esempio le scuole private fornissero istruzione di qualità superiore, sarebbe socialmente ottimo permettere agli studenti migliori l’accesso indipendentemente dal reddito.
I buoni scuola ideali. E quelli reali Un buono scuola desiderabile dovrebbe quindi essere condizionato alla performance dello studente - come misura indiretta delle sue capacità -, al reddito familiare - come misura indiretta della possibilità di investimento nell’istruzione del figlio -, e alla qualità della scuola privata alla quale vuole accedere lo studente - come garanzia che il sostegno finanziario pubblico venga effettivamente impiegato presso scuole di qualità. L’ammontare del rimborso dovrebbe inoltre coprire l’intero ammontare della retta, in modo da non escludere studenti davvero meritevoli. Nessuno degli schemi attualmente esistenti in Italia si ispira a questi principi. Il primo modello ignora sia la performance degli studenti che la qualità della scuola privata frequentata, e si riduce a essere un indifferenziato, e poco incisivo, trasferimento di risorse alle famiglie medio-ricche. Il secondo modello, consistente in una erogazione in cifra fissa, e di ammontare relativamente modesto, non riesce a raggiungere le famiglie che risultano effettivamente vincolate dal reddito. Buoni scuola così disegnati sono destinati a essere inefficaci dal punto di vista del miglioramento della qualità del sistema educativo nel suo complesso, in quanto non inducono spostamenti significativi di studenti da un tipo di scuola a un altro. Essi non risolvono i problemi finanziari delle famiglie povere, né rappresentano un incentivo per gli studenti a migliorare la loro performance. Sono infine inefficaci per le scuole, in quanto l’assenza di valutazione della qualità della formazione erogata non introduce una concorrenza positiva tra di esse. Complessivamente, l’unica funzione che questi buoni scuola sembrano poter esercitare è quella di un trasferimento finanziario alle scuole private, mascherato come finanziamento alle famiglie per aggirare il divieto costituzionale.
(1) Precedentemente alla legge 53/2003 non era ammessa l’iscrizione alla scuola pubblica prima del compimento del sesto anno d’età, mentre le scuole private potevano ammettere i cosiddetti "primini". (2) Legge nazionale n. 289/2002. (3) Una tabella comparativa delle legislazioni regionali (in lingua inglese) è presente nella versione integrale di questo lavoro (ftp://ftp.iza.org/dps/dp1475.pdf).
|