Modifiche alla Legge 104/1992:
mistificazioni bipartisan
di
Carlo Giacobini* da
Handy Lex,
24.3.2010
Uno degli impegni,
nel frastagliato fronte di ambiziose iniziative del Ministro Renato
Brunetta, è il contrasto agli abusi nella fruizione dei permessi
concessi ai lavoratori che assistono familiari con grave disabilità.
I famosi permessi ex Legge 104/1992.
Per due anni il
Ministro si è – coraggiosamente, va detto! – impuntato sulle sue
proposte di modifica, incontrando la virulenta opposizione di alcuni
parlamentari e del sindacato, in particolare del suo nemico storico,
la CGIL Funzione Pubblica.
Ed è proprio la voce del segretario di quest’ultima che si leva
nuovamente contro il Ministro, all’indomani dell’approvazione
definitiva del Collegato Lavoro (Atti del Senato 1167-B) che
modifica (all’articolo 24) le “vecchie” disposizioni della Legge
104/1992: “Il Collegato Lavoro opera una stretta incomprensibile
ai diritti dei lavoratori e dei loro familiari – ha tuonato
Carlo Podda di CGIL Funzione Pubblica –
indebolendo strumenti come la Legge 104 del 1992 che garantisce il
diritto di assistenza ai diversamente abili”.
Crediamo che Podda
non abbia letto con attenzione il nuovo provvedimento approvato a
larga maggioranza dal Parlamento o che i suoi analisti fossero in
ferie.
Gli fanno eco dal Ministero: “Si tratta di
regole di assoluto buon senso che mirano a garantire l’effettiva
fruizione di questo diritto esclusivamente al disabile che ne abbia
effettivamente bisogno. Impedendo finalmente a tanti furbi di
portare avanti un ignobile “mercato” dei vecchietti acciaccati da
accudire (sulla carta) a centinaia di chilometri di distanza, senza
alcun controllo”.
Mah... forse
nemmeno al Ministero hanno letto con attenzione il “pastrocchio” che
è stato appena approvato e celebrato come un trionfo.
Facciamo un po’ di ordine perché di dichiarazioni inesatte,
imprecise, fuorvianti, in questi giorni ne sono circolate
tantissime. Ad iniziare dai titoli di molti giornali, siti, portali
e blog: “Stretta sui permessi”, “Giro di vite sulla Legge 104”,
“Permessi più difficili”.
La Legge 104 è stata approvata nel 1992. Quasi vent’anni fa.
L’articolo che ha sempre richiamato l’interesse maggiore è il 33,
quello che prevede(va) la concessione di tre giorni di permesso ai
lavoratori che assistono un familiare convivente (non ricoverato in
istituto) parente e affine fino al terzo grado, il prolungamento
dell’astensione facoltativa di maternità fino al terzo anno di vita
del bambino, e la possibilità per i lavoratori con grave handicap di
avere due ore di permesso giornaliero (o tre giorni mensili). Altre
indicazioni riguardano l’aleatoria opportunità di richiedere
l’assegnazione di una sede di lavoro più comoda al proprio
domicilio.
Quell’articolo, però, ha talmente tante ricadute organizzative,
amministrative, retributive, previdenziali, pratiche da rendere
necessaria, negli anni, la produzione di una massa di circolari,
note e ritocchi normativi che attualmente consta di circa un
centinaio di provvedimenti. Senza contare le sentenze di vario
grado. Un marasma in cui è difficile orientarsi e grazie al quale è
facile subire o praticare abusi.
Ne sanno qualcosa
gli istituti previdenziali, in particolare l’INPS, costretti ad
inseguire le evoluzioni repentine e talvolta scombiccherate del
Legislatore e ad emanare circolari su circolari.
E viene il 2000: la “Ministra” Livia Turco si impegna visceralmente
per l’approvazione di una norma, un po’ naive, ma che sicuramente
coglie un disagio diffuso in chi tenta di conciliare i tempi del
lavoro e i tempi dell’impegno familiare. La Legge 53/2000 introduce
nuove forme di congedo parentale e preconizza una diversa
flessibilità lavorativa (a cui forse arriveremo). Predispone la
redazione di un Testo Unico sulle norme per la maternità e paternità
che verrà licenziato l’anno dopo (il Decreto 151/2001).
È una Legge importante la 53 anche per il nostro discorso.
L’articolo 19 finalmente rimuove un vincolo un tantino odioso che
riguarda, in particolare, le mamme casalinghe: dopo la 53, i
permessi vengono concessi al lavoratore genitore della persona con
handicap grave anche nel caso l’altro genitore non ne abbia diritto,
come appunto nel caso di casalinga/o, disoccupata/o, lavoratore/trice
autonomo/a.
Ma non è tutto:
viene abrogato (articolo 20) anche il vincolo di convivenza fra il
lavoratore e la persona da assistere. L’obbligo di convivenza,
quindi, è stato abrogato 10 anni fa e non ora, come ha asserito
qualche fonte governativa.
In cambio di quel
vincolo, il Legislatore ne fissa un altro, pur senza definirlo o
declinarlo: l’assistenza deve essere continua ed esclusiva.
Un briciolo di
garanzia in più e un monito circa la reale finalità della norma: i
permessi sono una misura a favore delle persone disabili, e non una
forma di compensazione per il lavoratore. Tema che poi sarà caro
anche e Brunetta e che sottoscriviamo appieno.
Su quei due concetti filosofano in molti, ma le indicazioni
operative, che procedono per approssimazione e assestamenti,
provengono dai due maggiori istituti previdenziali (INPS e INPDAP).
Fanno quello che
possono anche loro, però: se da un lato l’indicazione di principio è
chiara – deve esserci un’effettiva assistenza – sotto il profilo
operativo è particolarmente difficile fissare tutte le fattispecie.
L’INPS addirittura
si inventa – diciamo che “si inventa” poiché l’indicazione che
propone, pur di buon senso, è assolutamente priva di fondamento
giuridico – che i concetti di “assistenza continuativa ed esclusiva”
debbano intendersi come “sistematicità ed adeguatezza”.
Con questo quadro normativo e di continua produzione di atti
amministrativi (circolari) si giunge al 2008. Il neo ministro
Brunetta rileva e sottolinea quello che è sotto gli occhi di tutti:
attorno ai permessi lavorativi ci sono anche elusioni ed abusi.
Il contrasto a
questi abusi viene associato alla battaglia contro i fannulloni che
raccoglie il favore di buona parte dell’opinione pubblica, ma anche
la durissima contrarietà di altre parti. Nel frattempo il Ministro
avvia un monitoraggio dell’uso dei permessi parentali, sindacali e
per l’assistenza a parenti di cui poi diffonde i dati.
In un clima di
forte tensione viene presentata la proposta che ora è stata
approvata definitivamente dal Senato (Atti del Senato 1167-B,
approvato il 3 marzo 2010, in attesa di pubblicazione in Gazzetta
Ufficiale).
Già
sull’originario testo di proposta, come già detto, si alzano da una
parte le accuse di voler restringere i diritti delle persone con
disabilità, dall’altro si levano gli scudi in difesa dagli abusi e
dall’eccesso di spesa.
Gli obiettivi
espressi sono due: ridurre la platea dei beneficiari; contrastare
gli abusi attribuendo facoltà di controllo al datore di lavoro
pubblico o privato che sia.
Vediamo come sono stati perseguiti i due obiettivi.
Ridurre la platea dei beneficiari... La nuova legge prevede che, in
assenza di ricovero della persona con handicap grave da assistere,
potranno godere dei tre giorni di permesso mensile retribuiti e
coperti da contributi: il genitore; il coniuge; il parente o
l’affine entro il secondo grado (es.: nonni, nipoti in quanto figli
del figlio, fratello).
Fin qui è vero: la
platea è ridotta rispetto alla norma precedente.
Da far notare che
i “nonni”, i “vecchietti acciaccati” – di cui, secondo il Ministero,
si farebbe mercato per poter godere dei permessi – rimangono
saldamente inclusi fra i familiari cui si può prestare assistenza
godendo di quei benefici.
Il nonno, infatti
è parente di secondo grado. Come la suocera è un affine di primo
grado e il fratello della moglie affine di secondo grado.
La nuova norma esclude dalla concessione dei permessi i parenti e
gli affini di terzo grado. Vogliamo ricordare chi sono? Ad esempio i
bisnonni o i figli dei figli dei figli (bisnipoti).
Ma il nuovo testo
è clemente anche in questo caso: i permessi potranno essere concessi
ai parenti ed affini di terzo grado in casi particolari.
Primo caso: quando
i genitori o il coniuge della persona con handicap siano deceduti o
“mancanti”. Quindi, ad esempio, nell’insolito caso che il bisnonno
sia vedovo, o nell’ancora più insolito caso che i genitori del
bisnonno (trisnonni) siano prematuramente mancati all’affetto dei
loro cari.
Poi qualche
circolare ci spiegherà cosa si intende per “mancante”.
Se queste ipotesi non si verificano, c’è una seconda eccezione: i
permessi possono essere concessi al parente o affine di terzo grado
quando i genitori o il coniuge della persona con handicap abbiano
più di 65 anni oppure siano affetti da patologie invalidanti.
Quindi nel caso in
cui la moglie o il genitore del bisnonno siano ancora in perfetta
forma mentale o fisica e abbiano un’età inferiore ai 65 anni, i
permessi ce li possiamo scordare. In caso contrario, i permessi ci
possono essere concessi anche se non viviamo con il bisnonno e con
lui vivono i figli, i fratelli e i nipoti (oltre alla moglie con
invalidità del 33%).
Questa sarebbe la restrizione della platea dei beneficiari. Facile
intuire la percentuale di lavoratori che perderà il diritto alla
pensione.
Questo immane sforzo normativo, durato quasi due anni, è però
vanificato da un’abrogazione, che non può che essere un incidente di
percorso.
Nel goffo
tentativo di rimetter ordine nelle diverse disposizioni, il nuovo
testo àbroga dalla normativa i requisiti di assistenza esclusiva e
continuativa richiesti, in precedenza, nel caso il lavoratore non
fosse convivente con la persona con disabilità.
L’obbligo di
convivenza era stato superato dall’articolo 20, comma 1, della Legge
8 marzo 2000, n. 53 a condizione, come già detto, che sussistesse la
continuità e l’esclusività dell’assistenza. Ma ora quel comma viene
parzialmente abrogato. Pertanto, oltre a non esserci obbligo di
convivenza, nessuna fonte prevede più le altre due condizioni.
Questo significa che, dal momento della pubblicazione della nuova
legge, tutti lavoratori a cui è stata negata la concessione dei
permessi perché non garantivano la continuità dell’assistenza
(magari abitavano a 300 chilometri dal familiare), avranno titolo
per richiedere nuovamente l’agevolazione, essendo stato rimosso quel
vincolo.
A parere di chi scrive, se non intervengono ulteriori modifiche, la
platea dei potenziali beneficiari non può che aumentare.
Veniamo al secondo obiettivo: i controllo anti-furbi. Grazie alla
nuova norma il lavoratore decade dai diritti ai permessi lavorativi,
qualora il datore di lavoro o l’INPS accertino “l’insussistenza o
il venir meno delle condizioni richieste per la legittima fruizione
dei medesimi diritti”.
È precisata la “pena” ed è ribadita la facoltà (obbligo) di
controllo da parte del datore di lavoro.
Ma in base alla nuova norma quali sono le condizioni che il datore
di lavoro può – ora?!? – verificare?
1. che la persona
da assistere non sia ricoverata in istituto (come fa?);
2. che la persona
sia in possesso del certificato di handicap grave (ne chiede copia);
3. che la persona
sia legata da vicolo di parentela, affinità o coniugio;
4. che non ci
siano altri lavoratori che stiano fruendo degli stessi permessi per
la stessa persona.
Sono controlli formali che non colpiscono certo le elusioni o gli
abusi tanto demonizzati. Quanto questo sia evidente lo si capisce
chiedendosi quali sono i controlli che invece il datore di lavoro
non può (più) fare:
1. verificare la
continuità dell’assistenza; non è più rilevante se il lavoratore
abita a 500 chilometri dalla persone da assistere;
2. verificare
l’esclusività dell’assistenza e cioè se la persona disabile da
assistere vive in un nucleo diverso da quello del lavoratore,
assieme ad altre persone in grado di garantire l’assistenza;
3. verificare se
il lavoratore gode già di altre due o tre o quattro permessi per
altrettante persone con disabilità.
Come è agevole
intuire, questi controlli sono tutt’altro che stringenti. E di certo
non tutelano i reali destinatari della norma, cioè le persone con
disabilità.
Ad ognuno di noi, una volta saputo come esattamente stanno le cose –
al di là degli articoli che riprendono, senza verifiche, ora le
veline ministeriali ora le esternazioni degli oppositori – questa
storia avrà insegnato qualche cosa e permesso di costruirsi un punto
di vista.
È già un risultato, visto che di certezze, questo pastrocchio
normativo, non ne può dare.
Carlo Giacobini
Direttore Responsabile della rivista
HandyLexPress
www.handylex.org