Parere Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali Direzione generale della tutela delle condizioni del lavoro Prot. 15/0001920 del 5 maggio 2004. "Influenza dei permessi ex art. 33 della Legge n. 104/92 sulla 13° mensilità e sulle ferie spettanti."
Nota: il presente parere è stato emesso dall'Ufficio VI - Tutela delle lavoratrici e dei lavoratori in situazioni particolari e di difficoltà Si riscontra la nota - di pari oggetto - n. 523 del 25.2.2004. Con essa, codesta Associazione - rappresentando l'orientamento, tutt'altro che univoco, assunto, in proposito, da varie amministrazioni pubbliche - chiede espressamente quale sia l'attuale orientamento di questo Ministero circa l'incidenza dei permessi ex art. 33 L. 104/1992 sulla c.d. tredicesima mensilità nonché sulle ferie spettanti agli interessati. Al riguardo, si osserva quanto segue. Recenti norme hanno adeguato l'ordinamento giuridico interno a quello comunitario, innovando in materia. Precedentemente, la differente prassi amministrativa seguita veniva motivata con la vigenza, ancora in epoca recente, della norma sul relativo trattamento economico e normativo, contenuta nel combinato disposto degli artt. 43, comma 2, e 34, comma 5, D.Lgs 151/2001. In forza della quale, i relativi periodi "sono computati nell'anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie e alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia". Fatte salve, a norma dell'art 1, comma 2, del medesimo D.Lgs 151/2001, "le condizioni di maggior favore stabilite da leggi, regolamenti, contratti collettivi, e da ogni altra disposizione." Invece, eventuali decurtazioni di ferie e tredicesima mensilità, per effetto dell'incidenza negativa dei permessi retribuiti ex art. 33 L. 104/1992, risultano, ora, inammissibili e potrebbero configurare, addirittura, specifiche discriminazioni. Infatti, con Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216 - recante: "Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizione di lavoro" (G.U. n. 187 del 13.8.2003) - il principio di parità di trattamento - applicabile "a tutte le persone sia nel settore pubblico che nel privato" - è stato esteso anche nei riguardi dei portatori di handicap. In particolare, l'art. 3, comma 1, lett. b), D.Lgs 216/2003 definisce l'ambito di applicazione di tale principio con espresso riferimento alle "aree" delle "condizioni di lavoro" e, in particolare, della "retribuzione". Né vi è dubbio come nella tutela delle "condizioni di lavoro" rientri, a tutti gli effetti, l'istituto delle ferie annuali retribuite, espressamente garantito dall'art. 36, ultimo comma, della Costituzione. Una diversa conclusione sarebbe, oltre tutto, in palese contrasto con gli obiettivi, posti dalla Legge - quadro 104/1992, di tutela, recupero sociale ed integrazione professionale del disabile, laddove, rispetto ad assenze finalizzate a ciò, sarebbe incongruo ritenere che le relative agevolazioni possano, peraltro, comportare la compressione del diritto, costituzionalmente garantito, a fruire di ferie retribuite, al fine di reintegrare - anche con pause, di cadenza annuale, dal lavoro - l'energia psico-fisica del lavoratore interessato. Ferie, oltre tutto, irrinunziabili. Per quanto concerne l'ulteriore questione prospettata nel quesito, alla c.d. tredicesima mensilità viene, correttamente, riconosciuta natura d'indennità di carattere retributivo. Invero, le relative decurtazioni - se operate a carico di lavoratore disabile che abbia fruito dei permessi ex art. 33, comma 6, L. 104/1992 - costituirebbero discriminazioni dirette per il portatore di handicap, che risulterebbe ex art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs 216/2003 persona "trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un'altra in situazione analoga". Mentre - se operate a carico degli altri aventi diritto - costituirebbero discriminazioni indirette per il disabile che venga da costoro assistito. E la nozione di discriminazione indiretta viene caratterizzata, dall'art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs 216/2003, dal fatto che "una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone (...) portatrici di handicap (...) in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone". Si consideri, inoltre, come le agevolazioni ex art. 33 della legge-quadro 104/1992 si ricolleghino a quei doveri inderogabili di solidarietà sociale, menzionati dall'art. 2 della Costituzione. Tanto più che le norme contenute nel D.Lgs 216/2003 vanno interpretate - anche alla luce dell'attuale art. 117 Cost. - in base alla presunzione di conformità alla Direttiva 2000/78/CE del Consiglio (G.U.C.E. del 2.12.2000). E, in particolare, al 6°, 8°, 11°, 12°, 16°, 23° e 29° "Considerando". Sicché, alla sopravvenuta vigenza di norme - di origine comunitaria - e alla correlativa abrogazione di quelle interne con esse incompatibili deve ricondursi la revisione dell'orientamento sinora seguito. Ciò per effetto del D.Lgs 9 luglio 2003, n. 216, entrato in vigore, fatto non casuale, nel corso dell'anno europeo delle persone con disabilità. Ritenendo diversamente, sarebbe illegittimamente disconosciuta l'efficacia abrogante del principio antidiscriminatorio, introdotto dal D.Lgs 216/2003 - per incompatibilità ex art. 15 preleggi tra le nuove disposizioni e le precedenti - rispetto alle già menzionate norme sul Trattamento economico e normativo, contenute nel T.U. D.Lgs 151/2001. Né la contrattazione di settore potrebbe, ragionevolmente, introdurre norme collettive restrittive al riguardo. Si resta a disposizione per eventuali ulteriori chiarimenti.
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