Il "quasi-mercato" dei professori. di Giorgio Brunello e Adriana Topo, da La Voce del 24/1/2006
È un fatto acquisito che la scuola italiana – fatta eccezione l’università - combini un livello di spesa pubblica perlomeno pari allo standard dei paesi Ocse con un insieme di risultati del tutto scoraggianti, sia in termini di abbandono scolastico che di punteggi ottenuti in test internazionali sulle competenze maturate. (1) Mentre molti sottolineano come il legame tra risorse spese e risultati sia spesso flebile, c’è comunque un consenso crescente sul fatto che la qualità degli insegnanti e dell’insegnamento svolga un ruolo cruciale nel determinare gli esiti scolastici. (2) Cosa fanno gli altri Attrarre, mantenere, e motivare insegnanti di qualità non è un compito facile, e più di un paese in ambito Ocse ha già cominciato a fare passi importanti in questa direzione, attraverso schemi di valutazione degli studenti e, indirettamente, dei docenti, e incentivi che premino gli insegnanti più meritevoli e penalizzino quelli meno efficaci. Negli Stati Uniti esistono diverse esperienze – in Kentucky, Texas, Carolina del Sud - che hanno introdotto sistemi di incentivazione individuale (collegata a misure della performance del singolo docente) e di gruppo(basata sui risultati medi della scuola di appartenenza). Altri ne sono stati sperimentati con successo in Israele, e sistemi che legano la retribuzione del docente a una qualche misura di produttività esistono anche in Francia, Germania, Australia e Corea. Mentre si possono esprimere perplessità su schemi di incentivo di tipo meramente monetario, perché possono distorcere l’azione dei docenti in direzioni non desiderate, o perché si basano su indicatori di produttività individuale spesso difficili da misurare con precisione, nel complesso, il ruolo di tali strumenti nel migliorare le prestazioni degli insegnanti è ritenuta positivo. Un confronto Italia-Regno Unito Come viene affrontato questo delicato tema nel nostro paese? Per capire, è utile un parallelo con un’esperienza vicina, quella inglese. Agli inizi degli anni Novanta, la pubblica amministrazione italiana, e quindi anche la scuola, è stata coinvolta in una importante riforma, che tra le altre cose ha assoggettato il rapporto dei dipendenti pubblici alle regole del diritto privato: cioè al contratto individuale e, soprattutto, collettivo. Nell’ottica della riforma, questo passaggio avrebbe dovuto aumentare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche. In Inghilterra, invece, a partire dal 1991, la contrattazione collettiva sulle retribuzioni degli insegnanti è stata sostituita da un meccanismo in cui il Governo decide sui trattamenti economici dei docenti avvalendosi di un organismo consultivo indipendente, lo School Teachers Review Body, nel quale anche le organizzazioni degli insegnanti sono rappresentate. Il "quasi – mercato" dell’istruzione inglese fa perno su un esplicito meccanismo di classificazione delle scuole in base alla performance degli studenti iscritti – le cosiddette "league tables" – e sull’utilizzo di test standardizzati sul territorio nazionale, che i ragazzi sostengono a 7, 11, 14 e 16 anni. Nel 1998 il Governo laburista ha poi introdotto, nonostante le resistenze sindacali, una forma esplicita di incentivo monetario per i docenti inglesi. È il cosiddetto Performance Threshold: docenti meritevoli che si trovino in certe condizioni di anzianità possono accedere, sulla base di una valutazione esterna e interna, a un consistente premio retributivo, vicino al 20 per cento dello stipendio annuo, e a una scala di incrementi retributivi differenziata rispetto a quella normale. Studi molto recenti hanno fatto una prima valutazione di questa politica, concludendo che gli esiti sui risultati degli studenti sono stati positivi. (3) In Italia, il contratto collettivo prevede sia la corresponsione di uno stipendio "tabellare", fondato sostanzialmente sull’anzianità di servizio, sia la corresponsione di "eventuali assegni ad personam". Questi ultimi potrebbero in teoria preludere all’introduzione di una forma di incentivazione individuale. In realtà, il contratto di comparto non dà alcuna ulteriore indicazione circa le condizioni per l’erogazione di tali assegni, perché la norma non specifica limiti o criteri per l’attribuzione. Quindi gli assegni ad personam, seppure in astratto ammessi dalla contrattazione a livello nazionale, nella pratica non possono essere oggetto di un accordo fra la singola scuola e il singolo insegnante. (4) Mentre la contrattazione collettiva può avere un ruolo importante nel fornire alcune garanzie di base e nello stabilire minimi retributivi uguali per tutti, essa mal si presta a disegnare incentivi individuali o di istituto e sistemi di valutazione basati su criteri il più possibile oggettivi. La contrattazione collettiva non è il luogo adeguato perché il ruolo fondamentale del sindacato è quello di ridurre e possibilmente eliminare le differenze nelle condizioni lavorative degli iscritti, sia all’interno di una scuola che tra scuole. Lo dimostra l’esperienza del 1999, quando si era tentata l’introduzione di un sistema premiante, mai decollato, a favore dei docenti che si dimostrassero più qualificati nel corso di una prova concorsuale. (5) Riteniamo che una migliore efficienza ed efficacia nella gestione della scuola italiana necessiti di "quasi – mercati", di meccanismi cioè che consentano di ridurre le posizioni di rendita, premiando le istituzioni più capaci e penalizzando quelle che lo sono di meno. Come mostra l’esperienza inglese, la contrattazione collettiva dovrebbe fare un passo indietro, e concentrarsi sulla determinazione di condizioni di base eguali per tutti. Oltre tali condizioni, altri elementi dovrebbero contare: la legge della domanda e dell’offerta di discipline scolastiche, la competizione tra istituti per le risorse, la diffusione dell’informazione sulla qualità di tali istituzioni, e la scelta consapevole e informata dei genitori. (6)
NOTE (1) Si veda ad esempio l’indagine Pisa 2003 dell’Ocse. (2) L’Ocse ha recentemente passato in rassegna l’evidenza empirica internazionale sul tema. Si veda Oecd, "Teachers Matter", Parigi, 2004. (3) Si veda ad esempio il lavoro di Atkinson, A., Burgess, S., Croxson, B., Gregg, P., Propper, C., Slater, H. e Wilson, D., 2004, "Evaluating the impact of performance related pay for teachers in England", Cmpo Working paper 113, Bristol (4) Infatti, se è vero che l’articolo 2, comma 3, del decreto n. 165 ammette trattamenti economici individuali, lo stesso articolo impone che le "condizioni" per la stipulazione siano predeterminate in via generale e astratta. Il contratto collettivo di comparto 2001-2005 prevedeva all’articolo 22 (intenti comuni) la costituzione di una commissione di studio, con il compito di aprire la strada all’introduzione di meccanismi di carriera professionali, connessi in qualche modo a un sistema di valutazione del sistema scolastico che valorizzi le specifiche professionalità. Ciò nonostante, il recente rinnovo della parte economica del contratto collettivo di comparto non ha introdotto nulla in merito alla valorizzazione della professionalità del singolo docente, limitandosi a ripartire con effetto retroattivo aumenti legati alla mera anzianità di carriera ed erogando al personale docente, come quota aggiuntiva, una indennità una tantum pari a 81 euro, proporzionata al servizio reso nel 2004 da ciascuno. (5) Si veda il contratto collettivo nazionale per il comparto scuola del 1998 2001, art. 22 "Trattamento economico connesso allo sviluppo della professione docente". (6) Per una discussione più approfondita si veda Brunello, G. e Topo, A., 2006, La disciplina del rapporto di lavoro degli insegnanti: esperienze a confronto, in via di stampa su "Rivista italiana di diritto del lavoro".
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