Al via la discussione sul Disegno di legge Santerini sul DDL: nessuna delega in bianco
La sfida centrale è quella di modellare gli ambienti di apprendimento. Tuttoscuola, 31.3.2015
Milena Santerini, deputata del gruppo ‘Per l’Italia’, è membro della VII Commissione Cultura e Istruzione della Camera, che si appresta a discutere il Disegno di legge di attuazione della ‘Buona Scuola’, finalmente approdato a Montecitorio. Santerini è però anche una autorevole esperta di scuola, docente di Pedagogia alla Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica di Milano, autrice di importanti saggi in materia di educazione interculturale e politiche dell’inclusione. Come parlamentare ha recentemente promosso l’ampia indagine conoscitiva che la Commissione Cultura ha dedicato alla dispersione scolastica, una tematica da lei a lungo studiata come ricercatrice. È proprio anche tenendo conto di questa sua duplice competenza, scientifica e politica, che Tuttoscuola le ha rivolto alcune domande.
Una riforma come quella messa in campo dovrebbe, oltre che sanare l’enorme patologia dei precari in attesa di inserimento in ruolo, scegliere una prospettiva di attacco e agire di conseguenza. Altri paesi hanno affrontato il compito delle riforme di sistema scegliendo gli obiettivi centrali: per alcuni, ad esempio, è stata prioritaria la lotta alla dispersione, per altri l’adeguamento ai risultati dei test a livello internazionale, per altri ancora l’autonomia scolastica con il raggiungimento, però, di precisi obiettivi confrontabili e verificabili. Una riforma di questa portata meriterebbe quindi un confronto ampio e profondo con la migliore cultura pedagogica e didattica. La ricerca evidence based fornisce oggi tanti elementi che possono e devono essere considerati da chi attua le riforme ma che appaiono oggi troppo trascurati o
addirittura sconosciuti.
L’adeguamento dei curricoli, per esempio, richiederebbe di considerare la tendenza che, a livello internazionale, dimostra l’opportunità di attenersi al principio teach less, learn more. La scelta di ‘gonfiare’ il curricolo con troppe discipline o saperi rischia di andare in direzione opposta. Altrettanto ignorato l’orientamento, anche questo condiviso a livello internazionale, verso il concetto di ‘competenza’ inteso come conoscenze in situazione.
E’ chiaro come non esista un metodo didattico o una strategia unica per l’insegnamento efficace. Negli ultimi decenni ha trovato spazio e credibilità nella scuola l’approccio costruttivista in opposizione a quello cognitivista, che presentava una concezione astratta e formale del funzionamento del pensiero. Il costruttivismo ha invece affermato l’ida di una “conoscenza situata” cioè connotata dall’attività pratica e dall’ambiente culturale in cui l’apprendimento avviene. Sia nell’orientamento costruttivista che in quello più tradizionale istruzionista (diretto e frontale) si trovano molteplici modelli di istruzione: l’apprendimento per imitazione/simulazione, per esplorazione, collaborazione/cooperazione tra pari e così via. Ciascuno di questi modelli deve essere coordinato con le relative strategie (lezione, simulazione,
apprendimento cooperativo, problem solving e altri). Ora, alcuni di questi modelli presentano una efficacia maggiore rispetto ad altri ma soprattutto devono essere adattati alle circostanze: età, tipo di insegnamento, situazione di partenza degli alunni, clima della classe etc.
Una sfida centrale è quella di modellare gli ambienti di apprendimento. L’ambiente è ormai palesemente il punto di incontro e sintesi tra una pedagogia trasmissiva basata sull’istruzione lineare e quella naturale dell’apprendimento spontaneo. Separare questi due elementi non avrebbe senso: l’ambiente “costruito” non è altro che la possibilità di far evolvere gli alunni in modo libero ma allo stesso tempo dentro la cornice culturale che i docenti preparano per loro. Oggi, uno dei più importanti è l’ambiente digitale e occorre agire perché divenga il nuovo veicolo dell’apprendimento come un tempo lo era la classe su misura di educatori come Montessori, Freinet ed altri. Non basterà quindi digitalizzare le scuole senza una revisione delle metodologie di insegnamento e una mutata concezione del rapporto tra insegnare e apprendere.
Occorrerebbe partire da qui - dalla riflessione sui ‘nuovi’ bambini, adolescenti e giovani, e sui ‘nuovi’ insegnanti dentro ‘nuovi’ ambienti in un mondo che cambia - per definire il riordino dei cicli (il taglio di un anno?), la revisione del curricolo in coerenza con le classi di concorso e le mutate esigenze del mondo attuale, i modelli di formazione degli insegnanti, il tempo-scuola, i curricoli, fino ad arrivare al trattamento degli insegnanti. La sfida di una maggiore organicità delle misure prese per la scuola è ancora aperta e dipenderà in particolare dalla possibilità di agire sui numerosi temi della legge delega: il curricolo, la formazione iniziale, l’abilitazione, la governance ed altri. È qui che si gioca il volto della scuola italiana del futuro. Non si può chiedere una ‘delega in bianco’ su questi temi fondamentali, escludendo una vera consultazione del Parlamento su questi temi. Sarebbe un’occasione persa e un danno per tutti. |