Attività opzionali: una novità, anzi no

Reginaldo Palermo, La Tecnica della Scuola 26.1.2015

Si parla di curricolo personalizzato come se si trattasse di una straordinaria novità, ma in realtà l'idea era già contenuta nella legge Moratti e venne fortemente ostacolata dalle scuole stesse.

“L’orario annuale delle lezioni nei percorsi liceali è articolato in attività e insegnamenti obbligatori per tutti gli studenti, attività e insegnamenti obbligatori di indirizzo, attività e insegnamenti obbligatori a scelta dello studente e attività e insegnamenti facoltativi”.

E ancora: “Al fine di realizzare la personalizzazione del piano di studi sono organizzati, attraverso il piano dell’offerta formativa e tenendo conto delle richieste delle famiglie e degli studenti, attività ed insegnamenti, coerenti con il profilo educativo, culturale e professionale”.

I due passaggi citati potrebbe essere contenuti in uno dei prossimi provvedimenti attuativi del Piano “Buona Scuola”: da diversi giorni, infatti, si sta parlando, con sempre maggiore insistenza, della possibilità per gli studenti di costruirsi un proprio percorso di studi personalizzato.

Il commento quasi generalizzato è che questa “novità” potrebbe davvero servire a migliorare la qualità dell’insegnamento nella secondaria di secondo grado e anche le competenze degli studenti.

Ma si tratta proprio di una novità?

A dire il vero proprio per nulla, tanto che i due passaggi proposti sono già contenuti nell’ articolo 3 del decreto legislativo226/ 2005 emanato in attuazione della legge 53/2003.

La novità, insomma, risale a una decina di anni fa e stava già scritta nella legge Moratti. Ma la disposizione è stata abrogata dal DPR 89/2010 e quindi i percorsi “opzionali” ne sono usciti molto ridimensionati.

D’altronde, all’epoca della Moratti, la “novità” era stata contrastata non poco nelle scuole; c’era anzi chi sosteneva che la possibilità di scegliere insegnamenti opzionali avrebbe trasformato la scuola in un vero e proprio “supermercato” dell’offerta formativa.

Ora, a distanza di 10 anni, sembra che i tempi siano maturi per introdurre nella scuola superiore un modello organizzativo che è assai diffuso in molti Paesi europei e che, stando alle ricerche internazionali, sembra fare davvero la differenza.