Buona scuola, un solo asilo per tutti. Anticipazioni della rivoluzione annunciata dal governo: niente più separazione tra "nidi" e "scuole per l'infanzia". Da zero a sei anni un percorso unico gestito dalla pubblica Istruzione. Con educatori formati all'università Corrado Zunino, la Repubblica scuola 2.2.2015 Nella "Buona scuola", la metà che sarà affidata a una legge delega, entra la riforma delle scuole dell'infanzia. C'è una legge del Pd, prima firmataria Francesca Puglisi, responsabile per il partito dell'Istruzione, pronta in settima commissione al Senato e vicina al voto. Per velocizzarne l'approvazione salirà sul carro della grande legge delega. S'intitola "Disposizioni in materia di sistema integrato di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni (e del diritto delle bambine e dei bambini alle pari opportunità di apprendimento)": azzera la separazione - oggi esistente - tra asili nido (0-3 anni) e scuole dell'infanzia (3-6 anni). L'ottica sarà "zero-sei", l'unificazione del settore dell'educazione della prima infanzia, e il nido non sarà più un servizio a domanda individuale, ma generale. Tutto sarà incardinato sotto la responsabilità unica del ministero dell'Istruzione. Oggi noi abbiamo un sistema di educazione prescolare diviso in due segmenti separati, diversi per governo, norme, competenze professionali, condizioni lavorative degli operatori. Entrambi i segmenti, illustra la nuova legge, "sono attraversati da tensioni e spinte regressive" e rispondono alla domanda sociale con servizi per l'infanzia "senza condizioni minime di qualità" e continue fughe in avanti verso la scuola dell'obbligo. I nido, dal 1971, sono gestiti dalle amministrazioni comunali. Solo dal maggio 2009 la legge sul federalismo fiscale li ha riconosciuti come servizi fondamentali e quindi oggetto di finanziamento da parte della fiscalità generale, ma ancora oggi gravano quasi interamente sui bilanci dei comuni. Negli ultimi anni alcune amministrazioni locali, per reggere il definanziamento progressivo, hanno abbassato la qualità dei servizi gestiti direttamente o indirettamente. In altri casi, hanno aumentato le rette richieste alle famiglie. Il piano straordinario di interventi per lo sviluppo, varato nel 2006, e rifinanziato solo nel 2008 e 2009, ha fatto salire la quota bambini che si avvale di un servizio socio-educativo pubblico dal 9,5 per cento al 14 per cento. L'Unione europea aveva chiesto ai paesi aderenti il 33 per cento di posti nido entro il 2010, l'Italia ha rinviato l'obiettivo al 2020. Per la scuola dell'infanzia, invece, dove il 94 per cento dei pre-adolescenti italiani trova inserimento, le scuole gestite direttamente dallo Stato danno risposta al 60 per cento dei bambini, quelle paritarie pubbliche, cioè controllate dai comuni, al 12 cento. Il resto è affidato ad associazioni e privati. L'Europa chiede il 90 per cento di mano pubblica sui 3-6 anni, la legge delega punterà al 75 per cento. La compartecipazione economica delle famiglie, ancora, non dovrà superare il 20 per cento del totale. Gli educatori, dice ancora la legge Puglisi, dovranno essere formati all'interno di percorsi universitari e dovranno essere continuamente formati. Bambine e bambini dovranno poter coprire la distanza tra casa e scuola "in tempi ragionevoli", a piedi, con i mezzi pubblici, con un trasporto appositamente predisposto. Le aziende pubbliche e private, quale forma di welfare aziendale, potranno erogare alle famiglie che hanno figli in età compresa fra i tre mesi e i tre anni un buono denominato, un "Ticket nido" fino a 150 euro spendibile nel sistema dei nidi accreditati o a gestione diretta comunale. La nuova legge prevede un sostegno finanziario non solo per l'istituzione di nuovi servizi e scuole, ma anche per la loro successiva gestione e ridisegna meccanismi di finanziamento pubblico: il 50 per cento dei costi di gestione delle scuole dell'infanzia sarà a carico dello Stato, il restante resta alle Regioni e agli enti locali. Ci saranno 700 milioni per l'anno 2015, 900 milioni per il 2016, 1,2 miliardi per il 2017, 1,4 miliardi per il 2018, 1,5 miliardi a decorrere dall'anno 2019. Ragioneria dello Stato permettendo.
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