Nella nuova scuola di renzi meno investimenti per LE Lim

Poca «banda» e troppo «ferro»:
ecco perché la scuola digitale arranca

Il governo punta a recuperare i ritardi sulla connessione a Internet veloce.
Mail Censis fa i conti: una vera digitalizzazione costerebbe 650 milioni l’anno

di Antonella De Gregorio, Il Corriere della Sera scuola 14.9.2014

Sarà la #voltabuona per #labuonascuola e #unadidatticanuova? O, a colpi di slogan e hashtag, l’istruzione post riforma farà il passo avanti e i tre indietro che fino ad oggi hanno inchiodato la scuola italiana all’analfabetismo digitale? Il tema è di non poco conto. Dopo anni di tentativi e piani per portare le tecnologie in classe, anche il governo Renzi parla di una robusta iniezione di digitale. Spostando, però, la barra del timone: «Il processo di digitalizzazione – ha detto il premier presentando il suo disegno per una nuova scuola - è stato troppo lento, non solo per mancanza di risorse pubbliche, ma anche perché si è investito in tecnologie «pesanti» (Lim e tablet, ndr), che hanno drenato risorse, ingombrato le classi, spaventato docenti non preparati». Ora si cambia: gli investimenti saranno dirottati su reti, connessione a Internet veloce, open data.

Cablare le scuole costa 7,9 euro al mese per ogni studente

Nessuna previsione di spesa, nel «libro delle intenzioni». Ma a fare i conti ci ha pensato il Censis: «Servono 650 milioni di euro all’anno, dei quali 184 milioni per la connettività, 274 milioni per la sicurezza e 192 milioni per infrastrutture e apparecchi tecnologici», ha scritto ieri l’istituto di ricerca, nel numero 8 del «Diario della transizione». Tradotto in costo medio, il Censis stima una bolletta per Internet veloce nelle scuole di 7,9 euro al mese a studente. Da finanziare con nuovi impegni di spesa sul bilancio dello Stato o delle amministrazioni territoriali, o con un maggior coinvolgimento dei privati. Pochi mesi fa era stata Glocus - il think tank presieduto da Linda Lanzillotta (Scelta Civica) che elabora analisi e valutazioni per il ministero - a quantificare in 400 milioni di euro la spesa per avere la connessione veloce in tutte le aule. Infrastrutture e banda larga sono «essenziali, come l’acqua e la luce», dice Marco Galvani, già consigliere sul digitale a scuola per il ministro Profumo, docente alla Sapienza di Roma e direttore area innovazione di Glocus. «Dovrebbero essere obbligatoriamente previste nei bandi per la costruzione di nuove scuole e finanziate con il piano di investimenti per l’edilizia scolastica».

Un’aula su due scollegata

Ma la strada sarà lunga: oggi solo il 10% delle scuole primarie e il 23% delle secondarie sono connesse a Internet con rete veloce (superiore a 30 Mbps). Le altre sono collegate a bassa velocità e spesso si naviga solo dalla segreteria o dal laboratorio tecnologico, se c’è. In un’aula su due, al web non si accede. L’uso di Cloud dedicati a insegnanti e studenti è frutto di sforzi pionieristici e volontari di alcuni insegnanti. E per quanto riguarda l’hardware, i tablet disponibili per uso individuale sono appena 14mila. Il registro elettronico – ha calcolato Skuola.net - è usato in classe dal 37% dei docenti, anche se a farne un uso misto (elettronico e cartaceo) sono il 70%. E nell’Agenda Digitale si legge che «il 90% dei contenuti in classe viaggia ancora su carta e solo il 16% degli studenti può avvalersi di un setting didattico innovativo». Non che si sia a digiuno di innovazioni e di sperimentazioni, ma quello che è stato fatto negli anni non è organico e non è completo. Si sono riempite le scuole di lavagne interattive (ce ne sono 72mila, a disposizione di circa 300mila classi, in 22mila scuole). Si sono attrezzate di tecnologia (computer e dispositivi mobili) 1.300 «Cl@ssi 2.0». Una trentina di scuole sono diventate «2.0»: hanno subito cioè una trasformazione radicale della didattica e dell’ambiente di apprendimento.

L’Ocse: siete in ritardo di 15 anni sul wireless

E’ dal 2007 che si cerca di ammodernare il modo d’imparare. Ma sin qui lo si è fatto con fondi insufficienti: il Piano Nazionale Scuola Digitale ha ricevuto finanziamenti, tra il 2007 e il 2011, per 110 milioni di euro; altri 20 (più 20 dalle Regioni) nella Fase Due (tra 2012 e 2014). A questi vanno aggiunti i 15 milioni del progetto «Wireless nelle scuole» (di cui beneficeranno 1.500 scuole, delle 3.800 che han fatto domanda), voluto dal ministro Carrozza nel 2013 e che si concluderà nel 2015; e il piano di formazione dei docenti: 600mila euro per la costituzione di 38 poli formativi nelle Regioni, che organizzeranno corsi partendo dalle esigenze del territorio. Sommando tutto, fa meno dello 0,1% della spesa pubblica per l’istruzione. l’Ocse ha stigmatizzato il gap infrastrutturale quantificando in 15 anni il ritardo rispetto a Paesi più convinti dell’importanza delle tecnologie, come la Gran Bretagna; mentre la Commissione europea ha sottolineato che il nostro Paese ha la più bassa disponibilità di accesso alla banda larga della Ue.

La rivoluzione dal basso dei libri autoprodotti e messi in rete

Di scuole più «connesse» beneficerebbero l’amministrazione, l’organizzazione del personale, i rapporti con le famiglie (pagelle, iscrizioni, prenotazione di colloqui); ma soprattutto la didattica. Che sta già cambiando, con rivoluzioni dal basso, come quella avviata a Brindisi, cinque anni fa, all’Itis Majorana, dove il preside Salvatore Giuliano iniziò a scrivere (e a far scrivere agli insegnanti) libri scolastici da mettere a disposizione degli istituti che aderiscono al progetto «Book in progress». Manuali da utilizzare in modalità ebook, con tanto di materiale audio, video e schede di verifica, o che si possono stampare per pochi euro. Oggi sono 200 le scuole coinvolte, 800 insegnanti. Un’intuizione che ha anticipato il contenuto della circolare dell’aprile scorso, che pone l’obbligo di adottare nuovi testi solo in formato digitale o misto – digitale e cartaceo - e invita le scuole a usare testi autoprodotti. Una previsione facile per i tecnoentusiasti alla Giuliano. Meno, per i tanti analfabeti digitali che salgono in cattedra. E qui entra in gioco uno dei mantra della riforma: formazione continua. Quella che assicurerà crediti per progredire nella carriera. E che dovrà essere, appunto, «continua, aperta, incentrata sulle figure dei mentor: docenti esperti che assumano ruoli di guida e coordinamento per i colleghi». Come accade al Majorana, che organizza anche summer school per aiutare i docenti a familiarizzare con le tecnologie. «Non occorre la patente europea del computer – dice Giuliano – ma imparare a usare i vari dispositivi nella pratica quotidiana». E neppure la banda larga, secondo lui, è indispensabile: «Se hai i contenuti puoi affrontare l’argomento anche senza una connettività enorme. È quando non ce l’hai che le cose si complicano».

Programmatori in erba

Nelle linee guida del Governo ci sono poi novità importanti per l’alfabetizzazione digitale: cruciale, c’è scritto, l’obiettivo di trasformare i ragazzi da semplici fruitori passivi a creatori di contenuti digitali. A questo si potrà arrivare con l’implementazione nelle scuole del progetto internazionale Code.org, che aiuterà i bambini, già dalle elementari, a sviluppare la logica, imparare cos’è un algoritmo, risolvere problemi complessi, e magari programmare semplici app o videogiochi. E anche nelle secondarie l’obiettivo è promuovere l’informatica per ogni indirizzo scolastico, dando a ogni studenti l’opportunità di «acquisire consapevolezza digitale»: che vuol dire usare in maniera critica social network e open data, usare materiale multimediale per raccontare una storia o costruire un’inchiesta, gestire le dimensione della sicurezza e della riservatezza in rete, o stampare in 3D.