Per leggere le prime proposte del governo rivolte agli studenti
bisogna superare la metà delle 136 pagine del volume «La Buona
Scuola». Dove si trova un rafforzamento del piano formativo,
soprattutto per le lingue straniere, e un maggiore collegamento tra
scuola e lavoro. È un segnale emblematico di come anche l'esecutivo
in carica - allo stesso modo dei suoi predecessori - consideri
l'istruzione innanzitutto un problema di “welfare” scolastico. Al
punto da porre in cima al progetto di riforma la stabilizzazione di
oltre 148mila insegnanti precari. Parte da qui Confindustria per
immaginare invece un cambio di prospettiva che aiuti a considerare
l'istruzione soprattutto una questione culturale e organizzativa.
Per incentivarlo, l'associazione delle imprese avanza le sue 100
proposte, che saranno presentate oggi alla Luiss nel corso della
«Prima giornata dell'Education» e che si articolano in quattro
grandi capitoli: valutazione, merito, autonomia e competenze.
Le differenze con la «buona scuola»
E se le parole chiave sono le stesse dell'esecutivo le ricette
proposte vanno spesso in direzione opposta. Ad esempio quando si
propone di innovare la didattica riducendo le materie e puntando
sulle «competenze trasversali». Mentre nelle linee guida non si va
oltre il rafforzamento della pratica musicale e dello sport alla
scuola primaria e il ripristino della storia dell'arte nel primo
biennio di tutti i licei. La stessa distanza si trova sulle lingue.
Con l'organizzazione di viale dell'Astronomia che chiede di
diffondere l'insegnamento in lingua straniera delle discipline
curriculari alle “ex elementari” fino all'università e il ministero
dell'Istruzione che preferisce invece concentrarsi sull'estensione a
tutto il primo ciclo della metodologia «Clil» (insegnamento in
lingua straniera di una materia non linguistica).
Passando agli altri capitoli d'intervento il quadro non muta.
Confindustria chiede che nella scuola italiana si diffonda
finalmente una cultura del merito e della valutazione, rilanciando
il ruolo dell'Invalsi e, in riferimento all'università, dell'Anvur.
Mentre in tutta Europa già si valutano scuole e docenti, da noi
siamo ancora fermi al palo. E anche la direttiva ministeriale che dà
attuazione al Dpr 80 del 2013 sul sistema nazionale di valutazione
delinea un processo dalla partenza lenta. Quando servirebbe invece
una decisa accelerazione.
Placement e orientamento
Un'altra necessità del nostro sistema formativo - sottolineano le
aziende - è quello di potenziare i servizi di placement e di
orientamento. Senza dimenticare il tema dei temi: il collegamento
con il mondo del lavoro. Scuola e atenei continuano infatti a
formare profili poco in linea con le reali esigenze delle aziende. E
qui le imprese possono dare un contributo importante: per questo
bisogna favorire la loro presenza negli Its (le super scuole di
tecnologia post diploma) e incentivare le esperienze di alternanza e
di Erasmus nelle imprese. Proseguendo sulla strada del decreto
Carrozza che ha introdotto l'apprendistato per gli studenti negli
ultimi due anni delle superiori.
Uno strumento su cui Enel ha di recente deciso di scommettere, come
spiega la presidente Patrizia Grieco: «Il decreto Carrozza
rappresenta un primo significativo passo in avanti di cui Enel ha
voluto subito “approfittare” per investire nei giovani che
frequentano gli ultimi due anni degli istituti tecnici e che, grazie
a questo programma, acquisiranno una professionalità essenziale per
il business dell'azienda». Sottolineando come «il valore aggiunto
più importante per l'azienda risieda nell'innovazione di idee, di
stimoli, di processi che solo le giovani generazioni (e più in
generale la diversità sia essa di genere, di razza o di età) possono
apportare nella vita di un azienda. Dobbiamo avere il coraggio -
aggiunge – di tornare a scommettere sui giovani, sulle loro
intelligenze, sulla loro capacità di rischiare e di vedere un futuro
migliore. Solo così potremo tornare ad essere veramente
competitivi».
Alternanza obbligatoria
Confindustria guarda con favore all'annuncio del governo di
stabilizzare le risorse e rendere obbligatorie le esperienze di
apprendimento on the job negli ultimi tre anni degli istituti
tecnici e professionali per almeno 200 ore. Ma auspica che, al tempo
stesso, si potenzino pure i laboratori. Sulle sinergie tra
istruzione e imprese si sofferma anche Stefano Paleari. Il
presidente della Conferenza dei rettori parte da due numeri: «Negli
ultimi cinque anni l'Italia ha perso il 25% di produzione
industriale e il 10% dei laureati. E un Paese non può crescere se
spegne i suoi motori». Da qui la sua richiesta all'esecutivo di
«riaccenderli in simultanea» attraverso manovre radicali come la
creazione di «una no taxation window per chi porta la produzione
industriale in Italia e di uno stop all'ondata di tagli che ha
colpito il mondo dell'istruzione». Fermo restando - conclude - che
la carta migliore da giocare è un continuo collegamento tra i due
mondi. Senza che «nessuno sia il follower dell'altro» e con una «co-leadership
che accompagni un cambiamento rapido».
Più autonomia
Per fare questo - è la tesi contenuta nelle 100 proposte - bisogna
anche evitare l'iper centralismo del Miur, dando effettiva autonomia
a scuole e università. Autonomia - chiosa Giorgio Rembado - che è
«ferma ai blocchi di partenza». Per il numero uno dell'Associazione
nazionale presidi le «cose da fare» in questa direzione sono
parecchie: «Dal cambiamento della governance degli istituti al
passaggio delle competenze in materia di organizzazione e gestione
direttamente alle scuole. Che sono, lo voglio ricordare, degli enti
autonomi. E in quanto tali – conclude – dovrebbero avere una serie
di compiti propri, a cominciare dall'assunzione del personale».