Istruzione, rapporto UE

Pasquale Almirante, La Sicilia 16.11.2014

Siamo tra gli ultimi Paesi Ue per qualità ed efficacia di insegnamento, a tutti i livelli, e a dirlo è il rapporto pubblicato dalla Commissione europea (Education and Training monitor 2014). È vero, dicono, che qualche progresso nell'ultimo anno c'è stato, ma insignificante, se si guardano gli obiettivi di Lisbona, dove l'Europa aveva posto la scadenza del 2020 per raggiungere standard unanimi per quanto riguarda abbandono scolastico, percentuale di laureati, inserimento nel mondo del lavoro, investimenti in istruzione e formazione.

Ma gli studi confermano che l'Italia arranca e che per certi versi non è affidabile. I passi che il nostro Paese fa per agganciare quegli obiettivi sono troppo corti, né per altro verso sembra curarsene nonostante proposte di riforma che poco puntano non solo nella formazione degli insegnanti, ma anche nel loro aggiornamento e nella loro valorizzazione, a parte confusionarie idee di incentivare il merito. E così si torna a sapere, perché lo si sapeva, che in termini di abbandono scolastico, mentre la percentuale auspicata è del 10%, noi siamo ancora al 17%, rispetto a una media Ue del 12%. Si tratta di una delle percentuali più alte d'Europa e seconda solo a Grecia col 23%, Malta al 21%, Portogallo al 19% e Romania al 18%. Sicuramente nei dati Ue non si dice che la media degli abbandoni è per lo più dovuta ai numeri altissimi del Sud Italia (al Nord per lo più la media è uguale a quella europea), dove i livelli sono più che preoccupanti soprattutto nelle aree più depresse e a meno densità occupazionale.

Ma anche a livello di lauree si è visto che il 22,4% degli italiani è provvisto di un titolo accademico, mentre il target europeo sarebbe del 40%, con una media europea del 36,9%, mentre in Irlanda e Lussemburgo è del 51%. Italia e Romania hanno le performance peggiori dell'Europa.

Che fare per risolvere queste condizioni? Fu problema già affrontato con i finanziamenti comunitari a partire dal 2002: fondi sociali europei, la scuola per lo sviluppo, ma che per lo più servirono a implementare progetti dei cui esiti e delle cui verifiche nessuno si è occupato, mentre la mancanza di lavoro e di opportunità impongono a tante famiglie di dirottare i figli nelle officine (o altrove) piuttosto che a scuola.