Caro Renzi, un diritto,
quello dei “Quota 96”, è ancora un diritto?
La
Tecnica della Scuola 9.3.2014
Il prof Giuseppe
Grasso, tra i promotori del Comitato civico “Quota 96”, in attesa
del consiglio dei ministri che dovrebbe risolvere il caso di questi
lavoratori della scuola, scrive una lettera aperta al presidente
Renzi, che noi volentieri mettiamo in evidenza
Ci avevano insegnato, egregio Presidente del Consiglio, che in una
moderna democrazia non dovrebbe mai venir meno la salvaguardia delle
libertà individuali, che l’agire dello stato dovrebbe essere sempre
vincolato (e conforme) alle leggi vigenti. E ci avevano insegnato
pure che l’esercizio arbitrario del potere dovrebbe essere
contrastato con un progressivo controllo dell’organizzazione e del
funzionamento dei poteri pubblici. Sappiamo che lo stato è costruito
giuridicamente non solo o non tanto per eliminare il potere quanto
per sottoporlo alla razionalità, all’impersonalità e all’oggettività
della legge. Oggi, però, quel potere si è andato concentrando nelle
mani di una sovranità politica e di casta che ha fatto carta
straccia dei diritti fondamentali dei lavoratori, che si è beffata
di ogni rivendicazione popolare giustificandosi in nome di
costruzioni giuridiche arbitrarie quando non mistificatorie. Manca,
a onor del vero, un punto di riferimento essenziale che sappia far
rispettare il quadro generale delle tutele o le altre norme di
garanzia universale. La liberalizzazione del mercato del lavoro, le
politiche del rigore e dell’austerità volute da Monti, gli attacchi
contro la sanità pubblica e soprattutto contro la scuola, il taglio
dei salari fatto con freddezza talora chirurgica, tutto ciò e altro
ancora attesta una tendenza politica più generale che mira a
cancellare welfare e tutele a livello europeo per continuare ad
assicurare lauti profitti alla borghesia. Tenga sempre bene e mente
quando governa, caro Renzi, queste parole di Roberta De Monticelli:
«Come per noi, anche per Dio c’è un limite, una soglia, una
barriera: non è vero che tutto è permesso. Non è permesso a nessuna
volontà ciò che è ingiusto».
La Corte
Costituzionale ha da poco dichiarato l’incostituzionalità
dell’attuale legge elettorale, come sappiamo bene, solo perché
alcuni privati cittadini ne hanno denunciato le patenti
contraddizioni a suon di ricorsi. Non dimentichiamo che ha
dichiarato incostituzionale anche il prelievo forzoso sulle pensioni
a cinque zeri, tema che rimane uno di quelli più sentiti (e
dibattuti) dall’opinione pubblica. Aggiungiamo che l’alta Corte ha
evitato bellamente, grazie a una serie di vizi formali, di
pronunciarsi nel merito del diritto dei pensionandi della scuola di
Quota 96 che chiedevano allo stato l’applicazione di un diritto
sancito dalla legge ma disatteso dalla riforma Fornero: quello di
tener conto della specificità della scuola riguardo all’uscita dal
lavoro. Sappiamo però che i diritti civili e quelli giuridici,
spesso, non vanno di pari passo. Nel consiglio dei ministri di
mercoledì prossimo, caro Renzi, dovrebbero prender forma il piano
del lavoro, il piano casa e gli interventi per la ristrutturazione
edilizia delle scuole italiane da lei tanto sonoramente sbandierati.
Però l’unica cosa di sinistra che lei avrebbe dovuto fare per
ristabilire un minimo di giustizia sociale e garantire il patto fra
le generazioni, cioè la flessibilità in uscita, non è fra le
priorità del suo governo. Ed è un vero peccato. Perché l’Italia,
nonostante i problemi strutturali, è un paese in cui bisogna
investire per dare spazio ai giovani e al turn over.
La gente comune fatica per arrivare a fine mese, spesso facendo un
doppio o un triplo lavoro; e anche chi ha un lavoro dignitoso, fosse
anche con quarant’anni di contributi sulla schiena, non è che se la
passi tanto bene. Il fatto è che la distribuzione della ricchezza
nazionale è tutta nelle mani di un ristrettissimo gruppo di manager
statali o privati i quali non hanno alcun interesse di pagare il
prezzo di una sua re-distribuzione socialmente e politicamente più
equa per tutti. Ha finito per trionfare la vecchia ricetta montiana
secondo cui le tasse sono necessarie al paese anche se hanno
peggiorato la congiuntura economica. Dice però qualche intellettuale
illuminato che la «crisi economica» è soprattutto una «crisi morale»
e non c'è speranza di venirne a capo se non la collochiamo al posto
giusto. Il calpestìo dei diritti, intanto, è divenuto sempre più
odioso e sistematico. Appena un anno fa la sua collega di partito
Manuela Ghizzoni lamentava la diffidenza che i politici ispirano nei
cittadini. Perché troppe volte hanno dato esempi non fulgidi
rispetto alla missione della politica che dovrebbe essere quella di
lavorare per il bene comune, per i diritti di tutti, anziché per le
proprie consorterie. Il Palazzo, come lo chiamava Pasolini, non dà
certo il buon esempio con le tantissime immunità e regalie che va
consumando ai danni dei meno abbienti, in un periodo in cui la
disoccupazione ha peraltro raggiunto livelli allarmanti. E il
popolo, che scalpita da tempo inascoltato e strepita intimando alla
moralità, non ne può davvero più. Annaspa attonito e miscredente in
cerca di una giustizia che non c’è. Perché un diritto, in un paese
dov’è in scena l’eterno talk show della menzogna e della
prevaricazione, non è più un diritto o, perlomeno, non è più un
diritto esercitabile o esigibile. Ci verrebbe allora da dirle,
parafrasando Riccardo Lombardi, che oggi è tempo di essere
pessimisti e che bisogna lasciare l’ottimismo a tempi migliori.