ASPETTANDO IL VERDETTO DELLA CORTE DI GIUSTIZIA EUROPEA
L’esercito di riserva dei precari di Orsola Riva, Il Corriere della Sera scuola 28.3.2014
Sono tanti (140 mila), senza un posto fisso (lavorano a chiamata, una
volta qui, un’altra volta là: ovunque ci sia bisogno) e non hanno
diritto a scatti di anzianità e nemmeno alle ferie pagate. Sono i
precari della scuola: un esercito di donne e uomini, maestri e
maestre, professori, insegnanti di sostegno e personale ausiliario,
senza i quali le scuole semplicemente non potrebbero funzionare ma
che ogni anno vengono licenziati a giugno e riassunti a settembre
per risparmiare sui due mesi di stipendio che altrimenti gli
spetterebbero.
Sulla sorte di questi dannati della scuola è chiamata a decidere la
Corte di Giustizia europea che potrebbe condannare definitivamente
lo Stato italiano per infrazione del diritto comunitario. La
direttiva 1999/70/CE prevede infatti l’assunzione in via definitiva
per tutti quei dipendenti che hanno svolto almeno 36 mesi di
servizio anche non continuativo. Giovedì 27 marzo i giudici hanno
ascoltato le parti: l’avvocatura di Stato, i rappresentanti dei
lavoratori e la Commissione Europea. La sentenza non è attesa prima
di qualche mese. Ma se, come i sindacati si augurano, desse ragione
ai ricorrenti provocherebbe un terremoto in Italia. E se già al Miur
non dormono sonni tranquilli, ancor più preoccupati sono i
funzionari del Ministero dell’Economia per il timore che un verdetto
sfavorevole scarichi sulle casse statali un peso considerevole,
viste le pesantissime sanzioni che ci verrebbero comminate: si parla
di diversi miliardi di euro, arretrati compresi, senza pensare ai
costi per stabilizzare i precari. L’unica carta che il governo può
giocare a proprio favore è l’articolo 15 del decreto legge 104/13
(«L’istruzione riparte») che prevede nel triennio 2014-2016 la
copertura di circa 87 mila posti vacanti, fra docenti ordinari,
insegnanti di sostegno e assistenti tecnico-amministrativi
(personale Ata). Posti che andrebbero assegnati per metà ai precari
storici e per l’altra metà ai vincitori dei concorsi. E che certo
non possono bastare a riassorbire tutti i precari.
Ma torniamo alla «piaga» del precariato, come l’ha definita il
ministro. Quanti sono effettivamente i precari della scuola?
Centoquarantamila infatti sono «solo» quelli che lavorano. Ma in
realtà sono molti di più. Il gruppo più consistente è rappresentato
dai 180 mila «precari storici» delle graduatorie a esaurimento (Gae).
In queste liste provinciali, chiuse ormai da 6 anni (salvo
periodiche sanatorie), stanno coloro che hanno conseguito
l’abilitazione con le Ssis (le scuole di specializzazione
all’insegnamento secondario in funzione fino al 2008) o che hanno
vinto un concorso (l’ultimo, prima che il ministro Profumo decidesse
di bandirne uno nuovo nel 2012, risaliva al 1999). Data la loro
anzianità di servizio, rappresentano l’élite, o comunque il girone
meno diabolico, nell’inferno dei precari. A loro spettano infatti la
metà dei posti concessi per le immissioni in ruolo e la prima scelta
delle supplenze annuali e fino al termine delle lezioni. E questo
spiega anche perché gli insegnanti italiani siano così vecchi (più
della metà ha dai 50 anni in su, mentre gli under trenta sono appena
il 2,5%). Poi ci sono i precari non abilitati con almeno tre anni di
supplenze che hanno fatto domanda per i cosiddetti percorsi
abilitanti speciali (Pas). In tutto 66 mila persone che attualmente
stanno in terza fascia nelle liste di istituto da cui i dirigenti
scolastici scelgono i supplenti lunghi e brevi ma che grazie ai Pas
hanno la possibilità di acciuffare l’abilitazione in un anno senza
nemmeno dover sostenere una selezione all’ingresso. Gli ultimi della
fila sono i cosiddetti tieffini, coloro cioè che hanno conseguito
l’abilitazione con i tirocini formativi attivi (Tfa) a numero chiuso
e con test di accesso: costoro sono in molti casi neolaureati fuori
da tutte le graduatorie e da tutte le liste, in altri docenti di
terza fascia o docenti che hanno già un’abilitazione ma ne vogliono
prendere un’altra. Passini e tieffini si contendono il diritto di
precedenza nelle supplenze in nome gli uni dell’anzianità di
servizio gli altri del merito.
Ma quanto «pesano», quanto contano, alla fine, i precari nel
funzionamento delle scuole? Quest’anno su 728.325 docenti si contano
120.339 supplenti: 108.284 assunti fino al 30 giugno e solo 12.055
«con le ferie pagate» (contratto al 31 agosto). Ai 120 mila
insegnanti bisogna poi aggiungere 18.979 Ata: in tutto 139.318
persone (senza contare i 40-50 mila supplenti temporanei chiamati
dai dirigenti scolastici a coprire i buchi di organico imprevisti).
Nel linguaggio burocratico della pubblica amministrazione questi 140
mila rappresentano l’«organico di fatto» della scuola,
quell’esercito di riserva che ogni anno a luglio si aggiunge, con
decreto del Miur, all’«organico di diritto» per sopperire alle
esigenze variabili delle scuole. A differenza dei colleghi di ruolo,
non lavorano mai (o quasi mai) nello stesso istituto, con
conseguenze drammatiche per loro e una ricaduta forse anche peggiore
per bambini e ragazzi ai quali non riescono a garantire la
necessaria continuità didattica. Se poi si pensa che la forbice fra
organico di fatto e di diritto è massima per gli insegnanti di
sostegno (49.741 supplenti su 101.391), che cioè proprio chi avrebbe
più bisogno di un rapporto stabile con il proprio insegnante si
ritrova in balia della girandola dei supplenti, si vede bene quanto
costi caro il precariato non solo ai diretti interessati ma anche ai
nostri figli. Perché alla fine, le vere vittime dei risparmi fatti
sulla pelle dei precari sono proprio loro: i ragazzi. Lo dimostrava
già uno studio sul turnover dei docenti redatto qualche anno fa
dall’ex presidente dell’Invalsi Paolo Sestito. Ogni anno un
insegnante su cinque è un nuovo arrivato nella scuola in cui si
trova ad operare (o perché è un precario licenziato a giugno e
riassunto in altro istituto a settembre o perché è un docente di
ruolo che ha chiesto il trasferimento). Il risultato è lo stesso: la
girandola dei prof incide negativamente sui livelli di apprendimento
dei ragazzi. Sono loro, alla fine, a pagare il costo più alto.
Come sanare la piaga del precariato? Contraria a una stabilizzazione
in blocco di tutti i precari che taglierebbe fuori un’intera
generazione di insegnanti giovani e motivati, il ministro Stefania
Giannini ieri al Senato ha proposto una soluzione diversa: uno
smaltimento lento, nell’arco di dieci anni. «I precari - ha detto il
ministro illustrando le linee programmatiche sulla scuola in
commissione Cultura - vanno riassorbiti in un’ottica di lungo
periodo che si abbini ai concorsi a cattedra. E lo strumento
fondamentale per fare ciò è un piano di medio termine per il
reintegro dei precari e il loro inserimento all’interno degli
organici funzionali che permetta una gestione più snella delle
supplenze e l’aumento dell’ offerta formativa». L’«organico
funzionale», disposto per legge due anni fa (ministro Profumo) e mai
decollato perché non si trovarono le risorse necessarie,
eliminerebbe lo sdoppiamento fra organico di diritto e organico di
fatto, svuotando quest’ultimo a vantaggio di un organico di istituto
stabile. Le singole scuole (o le reti di scuole) potrebbero fissare
il numero di insegnanti necessari per i successivi tre anni e in
base a esso elaborare finalmente il piano dell’offerta formativa con
certezza di risorse. «Percorrere questa strada- ha ammesso la
Giannini - comporta un impegno finanziario notevole ma attraverso
una “due diligence” seria sui costi che sosteniamo oggi per le
supplenze brevi e per l’integrazione dei disabili potremmo arrivare
a un bilanciamento finanziario». «Più posti fissi, ma non si taglino fuori i giovani»
LE STORIE/1 «Precaria anche nei pensieri»
LE STORIE/2 «Quei figli che non ho potuto avere»
LE STORIE/3 «Così perdi il privilegio di sognare»
LE STORIE/4 «Sarò matta ma mi sposo»
L’Italia dei professori maltrattati |