Scuola, il "duello" delle 36 ore

Mila Spicola, l'Unità 16.7.2013

In questi giorni si sta dicendo tutto e il contrario di tutto sul contratto dei docenti, sull’orario di lavoro dei docenti e sulle perplessità scatenate dalle dichiarazioni del sottosegretario Reggi. Dico anche io la mia, pur avendola già detta più volte. Ma la ridico per coloro che non la conoscono.

L’orario dei docenti è roba complessa, prima che complicata, come complesso è parlarne. Mi si scusi la lunghezza dunque. Sono riflessioni non sistematizzate.

Premessa necessaria: io credo profondamente che qualunque idea o proposta, buona o non buona, ricevibile o irricevibile, prima ancora di sederci a tavolino e valutarla, accettarla, rifiutarla, emendarla, debba passare dallo sblocco degli scatti stipendiali, che è necessario e dovuto a tutti i docenti.

Azione che costa, tantissimo, perché siamo la categoria del pubblico impiego più numerosa d’Italia. Dunque mi rendo conto della pesantezza di ciò che affermo, ma lo penso, ne sono convinta e lo ribadisco: nessuna idea può prescindere dallo sblocco degli scatti stipendiali, perché, se parliamo di professione docente, tale blocco e la povertà dei nostri stipendi rispetto alla media straniera (a fronte di un carico di lavoro identico, se non maggiore) è la vera ferita aperta nel corpo docente. Non possiamo chiedere cambiamenti, mutamenti, impegni, se prima non si allinea il salario alla media europea.
Sì, lo so, costa meno allo Stato, intanto, riuscire a dare qualcosina in più a “coloro che lavorano di più”: ma sarebbe come nascondere la polvere sotto al tappeto reca tante incognite.

Potremmo praticarla, in realtà, però con le dovute cautele. Non vorrei che il tutto si risolvesse nel gratificare con qualche euro i più pochi docenti e lasciar immutata la condizione dei più. Anche perché, chi è il docente che lavora di più? E cosa fa di più? Cioè è necessario entrare nel merito del lavoro docente, stabilire mansioni e funzioni, diversificarle e qualificarle continuamente, in modo certo e professionale.

Perché il punto della questione, e molti di noi lo ha chiarissimo: e se fossero, come già accade, quasi tutti a impegnarsi più del dovuto tutti i giorni? Io ad esempio ho 250 allievi, non ho funzioni strumentali proprio per seguir gli allievi. Come mi valorizza e incentiva lo stato nel sopportare il carico di lavoro pesantissimo che ho? Mi incentiva la volontà, l’amore per il mio mestiere e per i ragazzi, ma non lo Stato. Almeno ad oggi.

E se nella scuola si gratificassero solo quelle poche e scarcagnate funzioni strumentali, espletante in modo residuale, tra una lezione e un’altra o correndo tra un corridoio, quando già è suonata la campanella, o perennemente disturbate dal personale ata mentre si fa lezione, nel caso dei vicari o dei preposti al plesso? Questa è la professionalizzazione e la qualificazione della scuola? Pagare un pò di più non un surplus di servizio, ma, posso dirlo, un disservizio. Per quanto le colleghe siano bravissime, diciamocelo, son sempre coi capelli in aria. Dunque gratifichi le funzioni strumentali, e i docenti che stanno a scuola, o anche a casa si smazzano per innovare la propria didattica, o, più semplicemente, per fare scuola e farla bene? Quelli esclusi? Se non lo si fa, se si escludono dalle gratificazioni quella gran massa di docenti, quasi tutti, che si impegnano ben oltre il dovuto, tenendo in piedi le scuole in condizioni criticissime, accadrebbe ciò che è già accaduto altrove: al suono della campanella c’è la famosa penna che cade e tutti a casa. “Perchè sai che c’è: a me chi me lo fa fare di lavorare di più se poi la gratificazione tocca solo a pochissimi e diventa uno schiaffo morale a ciò che faccio?”. E allora, la rivoluzione industriale insegna: diversificazione dei compiti, qualificazione delle funzioni, definizione dei criteri per individuarle e valutarle. Perché se non ci son criteri e si rimane nella discrezionalità attuale, vero grande limite nell’organizzazione interna delle singole scuole, non si è risolto un bel nulla.