È il Meroni di Lissone dove i ragazzi, Una scuola che funziona: addosso! Dovrebbe essere imitata: lo Stato le complica la vita di Matteo Rigamonti*, ItaliaOggi 3.7.2014
Per anni, ogni mattina, Andrea ha infilato in cartella il camice da
lavoro. Un grembiule di colore blu o marrone, di stoffa dura e
resistente, adatto ad affrontare un'impegnativa giornata di scuola.
Per anni quel camice, tra un'ora di italiano e un'altra di
matematica, ha preservato immacolati i suoi vestiti mentre si
esercitava con squadre, sgorbie e scalpelli nell'arioso laboratorio
di falegnameria. Ha questo di affascinante l'Isis-Ipsia Giuseppe
Meroni di Lissone (Monza Brianza): è un luogo dove, letteralmente,
si impara facendo, dove teoria e prassi vanno a braccetto, senza che
l'una o l'altra sia stimata di rango superiore. Esiste
un'intelligenza manuale che solo una boriosa tendenza culturale
italiana può ritenere inferiore. Invece si può imparare col libro,
ma anche con la lima. Seduti e chini sui manuali, ma anche in piedi
con le scarpe che sfregano tra i trucioli. Tutto si tiene nella
scuola di Lissone. E funziona. Come, a fine giornata, testimoniano
tanti camici sporchi. Certo, senza nulla lasciare al caso, perché
anche chi «impara facendo» ha sempre bisogno di un maestro, che, in
questo caso, non sta solo dietro la cattedra a impartire la lezione,
ma gira tra i banchi di lavoro, mostrando come manovrare sofisticati
macchinari di taglio a controllo numerico. Perché questo è il Meroni:
Istituto del legno, del mobile e dell'arredamento, dei servizi
commerciali aziendali e del turismo, della grafica e della
comunicazione e liceo artistico con indirizzo di design.
Andrea si è diplomato da meno di un anno e già lavora. Quando
ripensa ai giorni di scuola al Meroni, ne parla con orgoglio. «Ho
amici che stanno facendo l'università, ma mi dicono di non aver
nessuno che insegni loro come tradurre in pratica tutta la teoria
appresa sui libri». Andrea, invece, ha avuto questa fortuna, grazie
soprattutto a uno stage presso un artigiano locale. Uno stage di tre
settimane che la scuola ha fortemente voluto inserire nel piano
studi e che, nel suo caso, ha iniziato a dare i frutti sperati.
«Imparare facendo», già a partire dagli anni di scuola: è questo il
trucco. Anche Sofia, compagna di classe di Andrea, è diplomata da
meno di un anno e già lavora per un'impresa che si occupa di
arredamenti e interni. Ha sempre avuto il pallino per i negozi e
l'alta moda e, quando si trattò di scegliere dove svolgere lo stage,
seguì questa sua inclinazione, misurandosi in un'azienda
specializzata in arredamenti su misura: «Le prime volte che andavo
in negozio, quasi non sapevo nemmeno come rapportarmi con i clienti,
ma pian piano ho imparato a farlo senza più alcuna difficoltà. Non
tutti i miei coetanei, purtroppo, hanno avuto l'occasione di poterlo
imparare prima di finire la scuola». Storie come quelle di Andrea e Sofia sono la regola e non l'eccezione al Meroni di Lissone, una scuola che ha alle spalle 130 anni di tradizione ed esperienza nella formazione professionale dei tecnici del legno e che, nell'anno accademico in corso, conta 912 iscritti, per un totale di 39 classi e 6 diversi indirizzi. In particolare, è dal 2005 che gli alunni delle classi terze, quarte e quinte, godono dell'opportunità di svolgere periodi di alternanza tra scuola e lavoro. Si tratta di due settimane di stage in terza e tre in quarta, da svolgersi tra il primo e il secondo quadrimestre; più altre tre settimane in quinta, a settembre, cominciando una settimana prima dell'inizio delle lezioni. Per un totale di circa 330 alunni coinvolti ogni anno. A queste si somma la possibilità di partecipare a percorsi di orientamento al termine degli studi, finanziati per lo più grazie a iniziative regionali come la Dote Lavoro e il progetto Fixo, che sono volti ad aiutare i diplomati a trovare tirocini extracurriculari adatti ad affinare la loro formazione.
Ciò non esclude affatto la possibilità di proseguire con gli studi
di formazione professionale superiore o in università, soprattutto
architettura e ingegneria. Spesso, però, sono le aziende del
territorio a cercare direttamente i diplomati del Meroni per fare
loro una proposta, magari dopo aver già avuto l'occasione di
conoscerli durante le esperienze in alternanza. E non è raro nemmeno
che qualche studente si prodighi per replicare gli stage in azienda
già durante la pausa estiva, sia per crescere professionalmente sia
per pagarsi le prime vacanze.
Eugenio Perego, docente da vent'anni al Meroni e responsabile delle
attività in laboratorio e organizzazione degli stage, ci racconta
che «negli ultimi dieci anni i nostri diplomati hanno tutti trovato
un impiego nei primi sei mesi dal conseguimento del diploma, anche
dopo che è scoppiata la crisi. E le aziende del territorio
vorrebbero avere i nominativi dei nostri studenti già prima del
termine del quinto anno». Le aziende coinvolte nei programmi di
alternanza sono le famose piccole e medie imprese a conduzione
familiare, tanto bistrattate eppure tanto essenziali alla nostra
economia. Ma non mancano anche nomi più altisonanti, anche se,
prosegue Perego, ciò che conta è che l'esperienza dello stage,
ovunque sia, segni una maturazione del ragazzo, professionale e
umana. «E le assicuro che, quando tornano, sono tutti entusiasti,
perché hanno messo in pratica ciò che hanno imparato a scuola».
Senza contare, poi, che, «il fatto di trovarsi per la prima volta a
dover fare i conti con una normale giornata lavorativa di 8 ore, li
responsabilizza. Lo stage, infatti, è la prima occasione in cui i
ragazzi si trovano, in un certo senso, da soli, anche se sono sempre
seguiti da un tutor di riferimento». Un metodo intelligente, una scuola pubblica che funziona. E che fa lo Stato? La ostacola. Il Meroni, come tutti gli istituti professionali, ha subìto a suo tempo l'ingiustificato taglio delle ore di laboratorio da 9 a 5, contestualmente alla riduzione dell'orario di lezioni da 40 a 32 ore settimanali. Come chiunque in Italia voglia spingere l'acceleratore sull'alternanza tra scuola e lavoro, anche il Meroni si imbatte in una serie di complicazioni burocratiche da mettersi le mani nei capelli. Se gli stage funzionano, aiutano gli studenti a imparare, magari aprono loro qualche possibilità di impiego, perché lo Stato non sprona le aziende a impegnarsi in tal senso? Se lo chiede il preside del Meroni, Roberto Pellegatta, rammaricato per la poca lungimiranza del nostro paese che, «a differenza di ciò che succede in Germania, ma anche in Francia, Portogallo, Olanda e Danimarca, non corrisponde alcuna forma di incentivo alle imprese per sostenere l'alternanza». «In Germania, dove l'alternanza è valorizzata al massimo», prosegue Pellegatta, «la disoccupazione giovanile è al 7%; da noi, invece, è superiore al 40&e oltre 2 milioni di giovani non studiano né lavorano». Queste sono le conseguenze di un sistema che non valorizza l'originalità e la ricchezza della sua scuola pubblica, nemmeno – e questo è il “delitto” più grave – laddove essa funziona e dà risultati. Senza contare, aggiunge Pellegatta, che «anche lo schema di decreto interministeriale tra Istruzione, Finanze, Politiche sociali e Lavoro su apprendistato e alternanza rischia di rivelarsi, purtroppo, l'ennesima delusione, perché aumenta, le difficoltà (obblighi e vincoli, prescrizioni e documenti) delle aziende e il centralismo dello Stato. Ribadendo, ad ogni rigo, che ogni tentativo di percorsi in alternanza tra scuola e lavoro può avvenire senza oneri per la finanza pubblica».
* Matteo Rigamonti *da Tempi.it |