Scuola italiana: di Beppe Severgnini, Italians, Il Corriere della Sera 9.6.2014 Gentile Severgnini, in attesa delle doverose dimissioni del Ministro dell’Istruzione a seguito della “sfiducia” espressa nei suoi confronti dal “Popolo della scuola” (oltre un milione di docenti e personale ATA) in occasione delle recenti elezioni europee, leggo i proclami della prof.ssa Giannini sulla valutazione. Il grido di battaglia è sempre lo stesso: “Ce lo chiede l’Europa”. Anche il dibattito è sempre uguale: chi è nato prima, l’uovo o la gallina? Fuor di metafora, urge una riforma totale della Scuola della Repubblica Italiana e si vuol partire dal giudicare il “merito” di chi ci lavora. A fronte di istituti fatiscenti, classi-pollaio che sfiorano e/o superano i 30 alunni, docenti messi alla gogna nell’ultimo ventennio “mignottocratico” e corrotto, i responsabili ministeriali dello sfascio si ergono a giudici e carnefici dei soldati che non si sono fatti uccidere docilmente nello “Chemin des dames”. Il crollo delle iscrizioni all’università nasce nella Scuola Materna, alle Elementari e alle Superiori. Siamo un paese ricco di talenti destinati all’emigrazione mentre i “figli di…” ricevono in dote titoli accademici e posti di responsabilità immeritati, così come nel medioevo si ereditavano titoli nobiliari, castelli e servitù. Occorre una vera “riforma epocale”, a partire dalla ricollocazione in altre amministrazioni dello stato dei docenti non più motivati all’insegnamento, al pensionamento di quelli over 60 o con quarant’anni di servizio. Anche i sindacati sono ormai affetti dalla “sindrome di Roncisvalle”, cioè dalla battaglia di retroguardia a difesa dell’esistente, comprese le mele marce (numericamente poco rilevanti ma mediaticamente devastanti), e non propongono idee innovative che ci consentano di uscire dalla palude.
E i soldi? Rispondo da cittadino della Regione Sardegna: per decenni
nella nostra isola i “nuovi corsari” sono sbarcati, hanno razziato
fondi pubblici per realizzare progetti di sviluppo fasulli e si sono
dileguati con i forzieri colmi di miliardi di lire o milioni di
euro. Si dice che lo Stato disponga di oltre 150 miliardi di euro
all’anno anche per finanziare imprese che poi, magari, delocalizzano
e licenziano i nostri giovani. Si potrebbero assumere nuovi docenti
e ricercatori giovani anziché finanziare “nuovi corsari canuti”? Antonio Deiara, pentagrammando@virgilio.it |