Fioroni chiede aiuti per il sistema paritario, di Alessio Nappi, Pavone Risorse 5.1.2014 Nell’articolo pubblicato dalla Tecnica della Scuola, in data 5 gennaio 2014, l’esponente del PD, Giuseppe Fioroni, già ministro della pubblica istruzione, lancia l’allarme: “Se non si affronta seriamente la questione per un terzo dei bambini in età pre-scolare è a rischio un diritto costituzionale”. Parole sacrosante che, tuttavia, hanno scatenato in rete l’offensiva di chi, in quella partita ideologica che si gioca tra scuola privata e scuola statale, sta dalla parte della scuola di Stato. Vorrei far notare, al di là delle comprensibili ragioni che spingono molti a difendere la scuola statale dai tagli continui, che, almeno in questo caso, le parole di Giuseppe Fioroni non possono che apparire sacrosante. È, piaccia o meno, un dato di fatto non discutibile che in moltissimi comuni italiani lo Stato sia completamente assente, avendo – semmai – delegato il privato, in particolar modo le parrocchie, a svolgere quella fondamentale funzione pubblica che è la formazione. Proprio in ragione dei continui tagli alle scuole, le rette finiscono inevitabilmente con l’aumentare, superando in molti casi i 200 euro. Il numero dei bambini costretti a non frequentare i quattro anni della scuola dell’infanzia è in costante aumento; in moltissimi casi le famiglie permettono ai propri figli di frequentare esclusivamente l’ultimo anno, nel quale i giovanissimi allievi iniziano a svolgere le fondamentali fasi di pre-lettura e pre-scrittura, che stanno alla base di ogni apprendimento possibile. Lo scrivente vive proprio in quel Veneto, di cui nell’articolo in oggetto si parla, in cui il 70% delle scuole dell’infanzia è gestito da istituti privati, per lo più dalle parrocchie, e conosce perfettamente le difficoltà, sempre maggiori, di far quadrare il bilancio da parte di realtà scolastiche, che restano in piedi anche grazie al fondamentale contributo volontario delle famiglie. Se – mi si permetta l’esempio personale – alcuni genitori non avessero speso parte del proprio tempo, ai nostri bambini sarebbe stato impossibile avere un piccolo parco giochi, un giardino nel quale poter correre, una biblioteca dalla quale apprendere l’importanza della lettura. Siamo ad una distanza siderale da ogni forma di privato voglioso esclusivamente di far profitto. Siamo, soprattutto, nel cuore di una comunità che vive intorno ad una piccolissima scuola, capace, da sola, di creare relazioni ed amicizie. Pensare, pertanto, che l’educazione e la formazione siano private e non pubbliche significa ragionare in maniera ideologica, del tutto dimentichi di una situazione storica, che vede lo Stato assente (non giustificato, mi permetto di aggiungere), ma in particolare significa non considerare ciò che è essenziale, ossia la difficoltà, da parte di molte famiglie, di permettere ai propri figli quello che è, o – almeno – dovrebbe essere, un diritto costituzionale: se, infatti, una retta mensile arriva a costare 200 euro, in un solo anno la spesa ammonta a 2.000 euro, che diventa di 8.000 per i complessivi quattro anni. Se, poi, i figli sono più di uno, allora le difficoltà si sommano e il diritto alla formazione è messo pesantemente in discussione. Alla luce di quanto sopra, invito tutti a ragionare in maniera non ideologica, perché qui non si tratta di vincere una partita tra privato e pubblico, ma di permettere ai bambini di frequentare la scuola, perché – come recita il Talmud babilonese – “il mondo vive nel respiro degli scolari”. |