Precari Pa, la Corte Ue censura le norme italiane. Il Sole 24 Ore 7.1.2014
La legislazione italiana sui contratti flessibili della Pa finisce nel mirino
della Corte di Giustizia europea, che a dicembre ha deliberato due provvedimenti
(una ordinanza ed una sentenza) che potrebbero mettere in discussione tre lustri
di provvedimenti tampone per risparmiare sulle spese del personale pubblico. E,
secondo i sindacati, costringere l'Italia a rivedere in fretta la normativa
interna sui precari pubblici ma soprattutto aprire la strada all'assunzione a
tempo indeterminato di oltre 230mila stabilizzazioni tra scuola (oltre 130mila
unità), Sanità (30mila) ed Autonomie (80mila). Ma il ministro D'Alia replica
alla Cgil: «Il Governo è già intervenuto per superare il precariato, impossibili
stabilizzazioni di massa».
Precari spesso "storici", spiegano, assunti in violazione della
Direttiva 1999/70/CE sui paletti al lavoro determinato nel pubblico
impiego. Secondo i principi della giurisprudenza comunitari,
l'ordinanza Papalia (causa C-50/13) e la sentenza Carratù (Causa
C-361/12), entrambe del 12 dicembre scorso, sono decisioni su casi
specifici (un maestro "a tempo" della banda municipale contro il
Comune di Aosta, un dipendente temporaneo vs Poste Italiane), che si
riflettono però sui casi simili, anche in termini di applicazione da
parte dello Stato e della giustizia italiana.
Nel primo caso, la Corte di Giustizia Ue ha dichiarato
«l'illegittimità della legislazione italiana in materia di
precariato pubblico, accertando che l'Italia e la normativa interna
non riconoscono e non garantiscono ai lavoratori pubblici precari le
tutele e le garanzie previste dal legislatore europeo». Sotto
accusa, in particolare, la norma italiana che - nel caso di utilizzo
abusivo da parte del datore di lavoro pubblico di una serie di
contratti a tempo determinato - preveda per il lavoratore
danneggiato solo il diritto di chiedere un risarcimento del danno
subito previa la (difficilissima) dimostrazione di aver dovuto
rinunciare a migliori opportunità di lavoro, e senza possibilità di
trasformazione del lavoro precario in lavoro stabile. Secondo la
Cgil, che sottolinea la rilevanza dei risvolti della sentenza «sia
nei confronti della tutela dei lavoratori a tempo determinato, sia
nei confronti della giurisprudenza resa sul punto dalla Corte di
Cassazione», un'indicazione netta all'Italia per «una revisione
epocale» della normativa di riferimento. «La sentenza della Corte di Giustizia Europea non giunge certo come una novità, visto che il governo nel frattempo è già intervenuto con il decreto 101, convertito in legge, che ha come obiettivo proprio il superamento definitivo del fenomeno del precariato» precisa Gianpiero D'Alia, ministro per la Pa e la Semplificazione in una nota. |