Caro Renzi ci stupisca,
al Miur chiami un prof o un ds

 La Tecnica della Scuola 15.2.2014

“Alle favole gli Italiani non credono più da tempo”. Il prof Giuseppe Grasso, fra i fondatori del Comitato civico “Quota 96”, lancia un appello a Matteo Renzi, il prossimo presidente del consiglio, affinchè chiami all’Istruzione una persona “sapiente” di scuola, un continente vasto ma frastagliato di troppe isole


E non ci credono alle favole, da quando i ministri preposti all’Istruzione hanno saputo confezionare, in nome delle banche e dell’austerità, solo falsi proclami, sottovalutando il dramma tutto nostrano dell’edilizia scolastica che cade a pezzi, prestando il fianco alla stolida vulgata sulla considerazione sociale degli insegnanti e non prendendo provvedimenti risolutivi in merito alle assunzioni dei precari.

 vero che il sistema mediatico non ha aiutato granché per una corretta informazione sul mondo dell’educazione e ha contribuito semmai ad avallare certi cliché infondati come, per esempio, il fatto che a scuola s’impara poco mentre si coltivano l’insipienza e il privilegio di casta. Crediamo sia ora di smetterla con l’atteggiamento mistificatorio del paghiamoli poco e facciamoli lavorare di più questi insegnanti. Per questo chiediamo oggi a Matteo Renzi, futuro candidato a governare il nostro paese, di non cadere nella solita trappola della demagogia politico/culturale, di non fare le solite promesse sulla scuola, vittima incolpevole di catastrofi centenarie e di un esagerato feticismo della privatizzazione, di destinare a questo settore, fra i più mortificati della pubblica amministrazione da politiche dissennate di tagli, una cospicua fetta della ricchezza nazionale.
Oggi, nella maggior parte dei paesi europei civilizzati, la scuola è vista come il motore, non come il fanalino di coda dell’economia. Un vanto di cui purtroppo non possiamo fregiarci. Nel nostro paese non si vuole proprio sentire da quest’orecchio. La sordità di una certa parte del Pd abbastanza orientata sul montismo è la stessa che ha impedito di investire in edifici scolastici, in formazione e in cultura, è quella che ha fatto sì che i docenti diventassero i cultori di una sorta di babysitteraggio totale, cioè che venissero trattati come rotelle intercambiabili per ogni bisogna. L’attuale sindaco di Firenze dovrebbe avere la lungimiranza di ridefinire le spettanze della scuola in modo da reindirizzarla verso una nuova e più seria politica di investimenti.
L’attuale segretario del Pd ha da sempre speso parole munifiche nei riguardi della scuola e non può trincerarsi dietro nessun alibi di comodo o di facciata. Deve assumersi le sue responsabilità perché la rinascita di cui va parlando passa inderogabilmente per il mondo della scuola e dell’istruzione, un mondo che si sta imbarbarendo sempre più vuoi per le pessime condizioni in cui vi si lavora vuoi per il mancato rilancio di qualsivoglia incentivo sul piano economico. Permetta dunque ai docenti italiani, una volta per tutte, di transitare dal ceto impiegatizio cui sono stati relegati a ben altro ruolo sociale.

Apra i loro cuori e li riempia di voglia di far bene anziché lasciarli impantanati nella morta gora delle solite mansioni che non fanno altro che svilirli. Luigi Einaudi così scriveva in modo paradigmatico nel 1913: «Gli insegnanti, il cui orario settimanale è andato via via aumentando, sono diventati delle “macchine per vendere fiato”. Ma “la merce fiato” perde in qualità tutto ciò che guadagna in quantità. Chi ha vissuto nella scuola sa che non si può vendere impunemente fiato per 20 ore alla settimana. La scuola a volerla fare sul serio logora. E se si supera una certa soglia nasce una “complicità dolorosa ma fatale tra insegnanti e studenti a far passare il tempo”. La scuola si trasforma in un ufficio, o in una caserma, col fine di tenere a bada per un certo numero di ore i giovani; perde ogni fine formativo».

Ci permettiamo di dare un consiglio spassionato al futuro Presidente del Consiglio. Lasci stare i soliti pezzi da novanta nell’assegnazione della carica del ministro dell’Istruzione, metta da parte una visione angustamente commendatizia quando passerà alle scelte operative. Non lo vada a cercare negli atenei più prestigiosi o autorevoli e lasci fare invece a chi nella scuola ci lavora quotidianamente sacrificando impegno, dedizione e rigore. Non lo prelevi da questa o da quella università solo per poter dire che si tratta di persona moralmente specchiata e magari carismatica. Finirebbe per diventare, come sempre è accaduto, la mosca cocchiera del potere politico/finanziario e non incarnerebbe le aspettative né i bisogni del popolo della conoscenza. Suonerebbe ancora una volta, per soprammercato, come una scelta sarcasticamente perversa, come l’ennesima imposizione voluta dall’alto che non rappresenta affatto il paese reale.

Per questo ci permettiamo di proporre a Renzi, se avrà un po’ di coraggio e di ambizione in più, di pensare a un maestro, a un professore o a un preside per tale difficile e spinoso compito. Sarebbe un segnale di immenso valore politico, di grandissima portata storica. Ma forse pretendiamo troppo… E allora gli chiediamo di non continuare a épater le bourgeois con le stesse trovate fragorose e con gli annunci eclatanti che puntano su personaggi pubblici per raccogliere poi solo e sempre consensi apparenti. Oggi, per imprimere davvero una svolta al sistema e per restituire fiducia ai cittadini nelle istituzioni, servirebbe proprio un gesto di questo tipo. Ci stupisca, se ce la fa, messer Renzi. E soprattutto non si rimangi la parola data. È lei che ha detto che c’è bisogno di «serietà» in politica. La scuola è stanca di sentire una tanto monotona giaculatoria.

Ah, dimenticavo: non trascuri di sanare, una volta a capo del prossimo governo, la questione dei lavoratori della scuola di Quota 96… Il suo partito lo va sbandierando da ben due anni. E gli spiriti più maligni non la smettono di gettare un’ombra inquietante su tale macroscopico inadempimento.

Giuseppe Grasso