Scuola: il doppio limbo degli insegnanti delusi
e di quelli che insegnanti non saranno mai

Il Paese soffre: tra professori sottopagati e demotivati e tantissimi giovani
che provano ad entrare nel mondo della scuola senza riuscirci

 di Ilenia Gullo, orticalab 14.2.2014

In principio fu Paola Mastrocola. Paola è un’insegnante come tante altre, ma a distinguerla è il fatto di essere stata la prima a lamentarsi “per iscritto” del mondo della scuola, sempre più lontano dalle esigenze dei suoi protagonisti. Nel suo libro, “La scuola spiegata al mio cane”, la Mastrocola si lamenta di quanto sia «difficile oggi fare l’insegnante di lettere. […] le sorti della scuola devono importare a tutti. […] La scuola oggi è un meraviglioso mondo di propaganda, […] ma lei è profondamente assente. Non si parla veramente di lei, oggi: non una parola su cosa dovrebbe insegnare, su quel che dovrebbe trasmettere».

A seguire il suo esempio sono stati in tanti, ma in questo periodo le “lettere” di sfogo di insegnanti insoddisfatti sono in numero sempre crescente. Giusto un paio di giorni fa sono comparse sul web due lettere, una pubblicata dal Fatto Quotidiano [http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/11/lettera-di-un-maestro-a-chi-deve-scegliere-una-scuola-in-un-paese-anormale/876482/] e un’altra da Fanpage [http://www.fanpage.it/lettera-aperta-ai-miei-studenti-lo-sfogo-di-un-insegnante/]. In comune sempre lo stesso aspetto: la “denuncia” di una scuola che non va.

«Non so se i vostri insegnanti ve l’hanno detto ma questo è un Paese dove non troverete lavoro». Alex Corlazzoli, maestro e giornalista, nella sua lettera ha sottolineato quanto sempre di più la scuola non prepari alla cruda realtà in cui i ragazzi saranno catapultati al termine dei loro studi. Ha parlato dei bamboccioni, dei choosy, dei neet, della disoccupazione e degli open day.

«Amavo tanto questo lavoro, lo svolgevo con entusiasmo e creatività, con passione e la giusta dose di caparbietà. Ora no, lo svolgo solo per senso del dovere». Giuseppina Tobaldi, docente di storia e letteratura presso un istituto tecnico, descrive ai suoi studenti il «degrado culturale» che affronta giornalmente la scuola italiana: tagli che sempre di più mortificano gli educatori della cultura e slogan che prendono «solo per il culo» inventati da chi dovrebbe essere il garante del diritto allo studio.

Il loro sfogo è necessario. Ma non dimentichiamo che accanto a questi insegnanti, quasi sicuramente in prima fascia e a tempo indeterminato, c’è soprattutto lo sfogo di una generazione intera di giovani che sognavano di fare i docenti, ma che con buone probabilità non ci riusciranno mai.

Già, perché se Corlazzoli afferma la verità quando dice nella sua lettera che «un tempo dicevano di scegliere la scuola tenendo conto delle passioni […] ma questo è un Paese dove non troverete lavoro», è altrettanto vero che fuori dalle porte delle scuole ci sono proprio questi giovani che non lo trovano davvero il lavoro, che proprio per seguire le loro passioni avevano ben pensato di scegliere un percorso di studi che li portasse a divenire insegnanti.

E se la Tobaldi (una voce tra le tante) ha l’ardire di dichiarare che «se niente sarà cambiato presenterò le dimissioni dai miei incarichi e rifiuterò di svolgere anche una sola ora di recupero pomeridiano o altre attività extra», sorge spontaneo chiedersi se quanti la pensano come lei hanno capito realmente quanto i giovani, per i quali offrono il loro servizio, siano sempre più protagonisti di una “emergenza educativa”.
Insomma, se iniziano a mancare le intelligenze vivaci che caratterizzavano le classi intellettuali di un tempo sarà pure colpa di qualcuno, o no?

E la prof.ssa Tobaldi (e gli altri che la pensano come lei) dovrebbe anche ricordare che c’è una triste realtà che conta migliaia di giovani che aspirerebbero a fare quelle ore - che lei rifiuta - anche in maniera del tutto gratuita, solo per avere accesso al mondo della scuola: sono dei brillanti neolaureati che in fondo invidiano la malinconica realtà degli insegnanti sottopagati, quelli che giustamente incrociano le braccia rifiutandosi di fare più ore del dovuto.

Questi giovani sono quelli che fanno parte della “generazione del TFA delle attese”. Chi ha avuto accesso al primo ciclo di TFA, completandolo, attende ancora un posto, anche solo una supplenza di pochi giorni. Chi invece non è riuscito ad accedervi, e non per demerito ma perché al tempo del concorso non era ancora laureato, vive in un limbo senza fine. In pochi infatti sanno che il D.M. del 25 marzo 2013 n°81 al comma D dell’art.4 presenta una clausola che distrugge i sogni e le aspettative di quanti abbiano recentemente conseguito la laurea e che volevano diventare insegnanti.

In quel decreto, infatti, il Miur ha stabilito che i laureati dopo il 19 luglio 2013 non potranno più iscriversi alla terza fascia delle Graduatorie di Istituto e non potranno, in attesa di ulteriori concorsi nelle scuole, nemmeno iniziare ad accumulare punteggio insegnando presso le scuole private. http://www.orizzontescuola.it/news/modifiche-alla-iii-fascia-delle-graduatorie-istituto-si-avvia-diventare-ad-esaurimento A quanti avevano rincorso la propria passione nel volere diventare insegnanti è rimasta un’unica speranza: l’abilitazione attraverso il secondo ciclo di TFA ordinario. Il problema è che si continua solo a vociferare sulla sua uscita, ma soprattutto che ancora ad oggi (dopo il tweet di ieri del ministro Carrozza) non c’è nessuna novità. E se il Governo cade, cadrà rovinosamente anche la speranza di un nuovo concorso.

Insomma, quello che emerge è che la cultura vive sempre di più sotto lo spettro di una guerra tra poveri. Poco importa il sondaggio indetto dal Ministro Carrozza intitolato “La scuola che vorrei”, un nuovo slogan per reinterpretare un problema desueto: la scuola che abbiamo oggi è solo una desolante visione di quello che dovrebbe essere una carente istruzione per i cittadini di domani. E a questo punto le domande sorgono spontanee: e se il vero problema della scuola fossero proprio gli insegnanti troppo attenti a contare le ore e non più avvezzi alla qualità del proprio lavoro? Di chi sarebbe la colpa? Solo del Governo e dei tagli? Un INVALSI che valuta solo i livelli di apprendimento degli studenti italiani non basta: e se iniziassero anche ad essere valutati gli insegnanti?

Cari docenti d’Italia - che vi chiamate Corlazzoli o Tobaldi, non perdete tempo a scrivere delle lettere in cui vi lamentate delle condizioni di una scuola che sta stretta a voi o ai vostri alunni, che vi paga poco o vi sfrutta. Investite questo tempo per ricreare le condizioni favorevoli per una scuola nuova, che possa creare i presupposti che facciano rifiorire tra gli alunni quelle intelligenze che potrebbero farci immaginare un futuro migliore. La Mastrocola, dieci anni e più prima di voi scriveva che «la scuola si è alchemicamente legata alla crisi economica ed è diventata l’emblema dello scontento generale»: fate in modo che non sia più così, e che la scuola italiana torni ad essere una delle eccellenze nazionali. Noi in attesa del TFA in questo momento non vi possiamo aiutare, ma speriamo un giorno di lottare insieme a voi.