Made in Italy

Ha fatto anche cose buone

 di Marco Cattaneo, Le Scienze blog 20.2.2014

Sì, lo so, c’è chi lo dice parlando di Mussolini, ma io francamente non ho ambizioni revisioniste. Parlo del Governo Letta. E nella fattispecie di Maria Chiara Carrozza, che ha praticamente chiuso la sua breve esperienza da ministro varando il Programma Nazionale per la Ricerca (PNR) 2014-2020.

Difficile che ne abbiate sentito parlare, in queste settimane. Anche perché ormai sembra che la politica, in questo paese, si sia ridotta a puro gioco di gestione del potere. E spesso l’informazione si limita al triste rendiconto degli scambi di slogan tra i protagonisti.

Ecco, invece il 31 gennaio scorso il governo ha approvato il PNR. Prima di scatenare un entusiasmo fuori luogo è meglio dire da subito che non ci sono miracoli in vista. Piccoli passi sì, però, nell’auspicio che il Comitato interministeriale per la programmazione economica lo approvi.

Tanto per cominciare c’è un dettaglio non da poco. Il precedente PNR era triennale. Questo invece diventa settennale, per essere in linea con il Programma Horizon 2020 dell’Unione Europea. Ma non solo. Un piano triennale per la ricerca non permette di guardare molto lontano, ci si limita alla gestione ordinaria. Poter guardare a un orizzonte (toh, che caso) di sette anni dà invece un po’ più di respiro.

Ma veniamo alla sostanza. Il piano previsto ha una dotazione complessiva di 6,3 miliardi di euro, vale a dire 900 milioni all’anno, suddivisi in numerose voci.
Tra le più interessanti vale la pena di segnalare le seguenti.

60 milioni di euro l’anno per il bando di almeno 1800 nuovi dottorati (sempre all’anno).
100 milioni all’anno per almeno 100 progetti riservati a chi ha conseguito il dottorato di ricerca da meno di sei anni (finanziamenti, insomma, che non si discostano di molto dagli starting grant dello European Research Council).
63 milioni all’anno riservati a chi ha conseguito il dottorato da meno di dieci anni e ha trascorso almeno un triennio all’estero oppure a vincitori di starting grant o advanced grant dell’ERC (e questo potrebbe garantire il cofinanziamento dei progetti, generalmente richiesto dall’Unione).
10 progetti della durata di 5-7 anni da circa 100 milioni a progetto, nell’ambito del programma Excellence with Impact.
200 milioni al’anno per progetti di ricerca triennali senza limiti di costi (programma RIDE, Ricerca Italiana d’Eccellenza).
185 milioni l’anno per finanziare il potenziamento del sistema di infrastrutture.

Ma ci sono anche 50-100 milioni l’anno in voucher in conto capitale per il supporto all’innovazione delle PMI, e altri 18 milioni in credito agevolato per finanziare progetti congiunti tra PMI e università o enti pubblci di ricerca.

(Per chi volesse leggere integralmente il PNR, lo si trova in calce al comunicato stampa del ministero del 31 gennaio.)

Non è un gran che, l’ho detto, ma non è nemmeno nulla. E forse è tutto quello che si potrebbe fare nella contingenza attuale, a meno che qualcuno non metta seriamente mano al ripartimento dei fondi della spesa pubblica. Ma per questo, per quanto mi riguarda, ci ho messo una pietra sopra. E mi limito a sperare che questo piccolo intervento non finisca in un cassetto del nuovo governo a fare la muffa per fare posto a velleitarie riforme epocali.
Se poi dovesse passare, staremo a vedere secondo quali criteri saranno distribuiti i finanziamenti. Perché non basta che ci siano. Devono andare anche a chi se li merita.