Caro Renzi, oltre alle scuole
si potrebbe aggiornare l’insegnamento?

di Eduardo Carraturo, Wired.it 26.2.2014

Il programma di azioni del nuovo governo Renzi sembra molto ampio e diversificato, con interventi mirati non solo agli orizzonti più immediati ma anche a quelli un po’ più lontani. Per questo motivo era impossibile non inserire fra i campi di interesse la scuola, vero e proprio indicatore della qualità dei futuri cittadini e della loro condizione lavorativa.

Nelle dichiarazioni mi è parso di intravedere un insieme di proposte mirate a rinsaldare il sistema scolastico, con un focus (sacrosanto) verso la qualità degli edifici e l’introduzione di metodi più efficaci per la valutazione dell’efficacia di insegnamento. La mancanza di un vero e proprio feedback agli insegnanti è infatti una delle lacune che hanno afflitto le nostre scuole per molto tempo, impedendo di distinguere e premiare chi veramente ha lavorato con competenza e contribuendo alla formazione rispetto a chi arriva a fine mese  facendo il minimo sindacale. L’effetto di questo si può vedere nel costante livellamento verso il basso della formazione nelle scuole medie e superiori, con un tasso di promozioni molto elevato e sempre crescente (dato che mal si concilia con l’effettiva qualità dei diplomati in italia e della scarsa spendibilità del titolo sul mercato).

La motivazione che si sente spesso  per giustificare questo fenomeno – “la bocciatura è uno stress per i ragazzi e un costo per il sistema” – non sta in piedi.  Se uno studente ha trovato difficoltà o è demotivato potrebbe essere molto più utile una valutazione negativa, costringendolo ad un impegno maggiore o anche a rivedere i propri interessi di studi, piuttosto che un laissez faire, che non incentiva alcun miglioramento. Se far ripetere un anno ha un suo costo questo deve essere visto come un investimento per la corretta formazione e per garantire che sia rispettato il livello culturale minimo.

Le azioni proposte sono quindi molto utili ma potrebbero essere palliative se si considera il sistema scolastico nella sua interezza. Programmi ridondanti e molto spesso approssimativi, con docenti non idonei o non aggiornati per gli insegnamenti più specifici (ad esempio, perché spesso le ore di informatica sono tenute dagli insegnanti di matematica?). Ma più di questo risultano sempre di più evidenti danni di un processo di svilimento progressivo delle scuole “tecniche” in favore dei licei. Nel corso degli anni è invalso il concetto per cui solo la formazione dei licei (preparatori per le successive università) sia meritevole di considerazione, mentre tutti gli indirizzi più pratici sono una scelta di ripiego per chi non è altrettanto capace.

Nella mia esperienza ho avuto modo di constatare che questa disparità non solo non ha alcun senso, ma è profondamente deleteria. L’idea che le scuole superiori siano solo un trampolino per il proseguimento della carriera accademica le penalizza e ed è un deterrente per il raggiungimento dell’eccellenza. In un tessuto sociale e produttivo come il nostro incentivare le competenze tecniche di alto livello dovrebbe essere tra le priorità del sistema scolastico. Chi viene formato per diventare un perito agrario o un ragioniere dovrebbe avere la garanzia di una qualità di insegnamento di un futuro laureato in economia, ingegneria o scienze politiche e sicuramente merita lo stesso rispetto e considerazione. La società attuale, e senza dubbio quella futura, ha bisogno di tutti i tipi di professionisti, formati al meglio delle conoscenze e con una base comune di conoscenze fondamentali che permettano di interagire pienamente e liberamente all’interno del contesto sociale.

Per il futuro quindi, oltre a pensare di mettere in dotazione un tablet per studente (che risparmierà di stampare e portare sulla schiena tomi voluminosi), sarebbe utile ripensare a quello che si scrive sui tablet e come si insegna.