Cosa conta di più per avere successo
nella vita? Il 48° Rapporto Censis

Amelia De Angelis, La Tecnica della Scuola 6.12.2014

Se si chiede agli italiani quali siano le variabili che contano di più per avere successo nella vita, vale a dire quali siano i fattori più significativi nei meccanismi di ascesa sociale, il 51% fa riferimento al fatto di avere una buona istruzione e il 43% ritiene che bisogni lavorare duro. Questo quanto si evince dal 48° Rapporto Censis sulla situazione socio-economica del nostro paese presentato lo scorso 5 dicembre.

Si tratta indubbiamente di percentuali elevate che, almeno di primo acchito, non possono non sorprendere positivamente ma che, in realtà, se analizzate nel contesto europeo, perdono gran parte della loro valenza. Basti pensare infatti- si sottolinea nello stesso Rapporto- che il fattore istruzione, ad esempio, raggiunge ben l’82% in Germania e il lavorare sodo, il 74% nel Regno Unito, in entrambi i casi, valori sensibilmente più alti di quello nazionale.

Ma quali sono gli altri fattori di ascesa sociale considerati importanti dagli italiani? Bene, il 29% della popolazione ritiene che per avere successo sia necessario semplicemente avere le conoscenze giuste (contro, ad esempio, il 19% registrato in Inghilterra) e il 20%, invece, che sia più importante appartenere alla famiglia “giusta”, vale a dire ad una famiglia quantomeno benestante (opinione condivisa in Francia solo dal 5% della popolazione). Il fattore intelligenza, infine, è considerato necessario solo dal 7% degli italiani, percentuale che addirittura costituisce il valore più basso registrato nell’Unione Europea.

Insomma, per avere successo nella vita in Italia, l’intelligenza serve ben poco e sempre meno servono istruzione e lavoro sodo. Il posto “giusto” non si immagina occupato dalla persona più capace e competente ma da quella che si è potuta avvalere delle conoscenze e delle “spinte” giuste, con efficienza e senza troppi scrupoli. È questa un’idea deleteria che accresce irrimediabilmente il divario tra la scuola e la sua utenza, svilisce la motivazione durevole all’educazione e soprattutto non orienta l’azione sociale alla costruzione di un mondo migliore. Se questo è il modello che noi adulti sosteniamo nella vita, lo “spirito del nostro tempo”-poco attento alle questioni etiche e preoccupato solo della riuscita “visibile”, dei segni esteriori del successo- come si può pensare che la scuola ne resti fuori? Come possiamo illuderci che ciò che noi stessi docenti portiamo all’interno delle aule non sia espressione di questa visione deteriore condivisa? L’Italia che il Censis descrive non solo è l’Italia che è ma anche quello che vuole essere, che, in qualche modo, ha deciso di diventare. Partiamo quindi da quello che oggi l’Italia è, ma interroghiamoci anche su quello che, in tutta onestà, vogliamo che in futuro sia.