Def, cosa c’è per scuola e innovazione

Confermati 2 miliardi per l’edilizia e 600 milioni per la ricerca.
Largo anche alla valutazione e all’insegnamento di materie non linguistiche in inglese.
Spazio per wi-fi negli istituti e dottorato industriale

di Simone Cosimi, Wired.it 9.4.2014

Il Def, il Documento di economia e finanza approvato ieri da un rapido Consiglio dei ministri, è un atto programmatico. Importante, perché rientra nell’armonizzazione dei bilanci europei. Non a caso dev’essere trasmesso alle autorità di Bruxelles dopo il passaggio in Parlamento previsto poco prima di Pasqua, il 17 aprile. Ma i cui contenuti possono in fondo essere smentiti in meglio – come ha detto di augurarsi lo stesso Matteo Renzi – o in peggio dall’andamento dell’economia reale nei prossimi mesi. È dunque un documento molto tecnico, in buona parte finanziario, nel quale tuttavia non mancano alcuni elementi legati per esempio a scuola e innovazione.

Molti erano già stati annunciati dal ministro dell’Istruzione Stefania Giannini nelle scorse settimane. Altri addirittura impostati dal precedente governo Letta, altri ancora frutto della volontà del nuovo esecutivo. In quanto programmatico, il Def non può entrare nel dettaglio di alcuni provvedimenti, che dunque vengono solo accennati ma tracciano comunque la strada. Come per un nuovo contratto per l’istruzione pubblica destinato a velocizzare il reclutamento di insegnanti e dirigenti nonché a diversificarne la carriera. Il passaggio più importante è tuttavia quello dedicato ai due miliardi di euro stanziati per gli interventi di edilizia scolastica. Soldi a cui potranno attingere Comuni e Province (che in realtà non avranno più questa competenza). A cosa serviranno? Messa in sicurezza, efficienza energetica, rischio antisismico e nuove scuole. Sono fondi che arriveranno da canali diversi come Inail, mutui della Banca europea per gli investimenti e vecchi e nuovi fondi Ue. È anche prevista l’attuazione dell’Anagrafe dell’edilizia scolastica, per sapere come stanno i posti in cui bambini e ragazzi studiano e trascorrono gran parte delle loro giornate.

Un altro aspetto essenziale è quello del rapporto dell’istruzione con il mondo del lavoro. Al netto della Garanzia giovani, ormai in partenza per contrastare l’esplosione dei Neet (giovani che non studiano, non lavorano e non fanno tirocinio), il Def prevede un aumento delle ore trascorse in azienda durante il periodo scolastico. Ma anche un piano di rafforzamento dell’istruzione tecnica, sulla scia del modello degli Itis. Un po’ alla Obama e alla De Blasio, che dei poli tecnici e informatici d’eccellenza, le Pathways in Technology Early College High School, hanno fatto una sfida. Il documento del governo prevede anche misure per i ricercatori, per esempio con l’introduzione del dottorato industriale sostenuto da un credito d’imposta da 600 milioni in tre anni, anche questo già comunicato in precedenza, nel famoso mercoledì da leoni delle slide. Credito anche per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Quanto alle startup, a parte il poco approvato dai precedenti piani Letta, c’è il rinnovo della scommessa sui Contaminations Lab del ministero dell’Istruzione e la spinta agli spin-off universitari.

Non mancano poi alcuni obiettivi di massima, le cui strategie sono tutte da implementare con dispositivi specifici. Diffusione massiccia della lingua inglese dalla primaria all’università secondo il Clil, il metodo Content and Language Integrated Learning di fatto già applicato da quattro anni nei licei linguistici. In pratica, si insegneranno discipline non linguistiche in lingua straniera: matematica, storia, filosofia, informatica. Che è un passo sacrosanto e, questo sì, di respiro europeo nel senso positivo del termine. Spazio anche alla diffusione del wifi negli istituti oltre a generici rilanci dell’“integrazione delle tecnologie digitali” in ambito didattico. Ultimo punto, la scelta di risorse open source come strumenti informatici soprattutto a livello superiore.

Darà invece filo da torcere il capitolo dedicato alla valutazione. Nel Def si indica infatti la necessitò di dare “piena attuazione, a partire dall’inizio del prossimo anno scolastico, del Regolamento per l’applicazione del Sistema Nazionale di Valutazione delle istituzioni scolastiche. Valutazione e incentivi alle università migliori (Anvur)”. Si punta insomma al merito per raffrontare i nostri istituti, che rimediano sempre pessimi giudizi Ocse-Pisa, a quelli europei e accodarsi alla linea dei test Invalsi introdotti nel 2008 per gli studenti di terza media.