Ma dove sono finiti Lucio Ficara, La Tecnica della Scuola 23.8.2014
Tra gli
insegnanti serpeggia tanto malcontento, l’elenco delle proteste è
lungo ed articolato. I docenti delle scuole pubbliche italiane di
ogni ordine e grado si sentono vessati, demotivati, tartassati,
sbeffeggiati, inascoltati, malpagati, sfruttati, dequalificati,
snobbati, svalorizzati, incompresi, stressati, mai poi la protesta
si limita a poco più di qualche sfogo sul web. Le scuole cadono a pezzi con il pericolo di farsi male anche fisicamente, lo stipendio dei prof e anche del personale scolastico, tra i più bassi d’Europa, viene puntualmente bloccato, il fondo accessorio è stato già ridotto della metà, all’aumento sostanziale di alunni di questi anni, corrisponde un preoccupante calo del numero complessivo degli insegnanti, che diminuiscono per effetto dei tagli dovuti al graduale aumento degli studenti per classe e per l’entrata a regime della riforma Gelmini. Per non parlare del ripetuto tentativo di aumentare l’orario di servizio degli insegnanti, fino ad un massimo di 36 ore settimanali rispetto alle attuali 18, ma a parità di salario. Insomma ce ne è abbastanza per partecipare in maniera convinta e corposa ad uno sciopero di comparto. Ma purtroppo la realtà dei fatti e i numeri statistici ci dicono che gli insegnanti , pur avendone motivo, non partecipano agli scioperi. Perché gli insegnanti sono così refrattari a partecipare agli scioperi? Forse sarà per il fatto che percepiscono lo sciopero come se fosse un arma “spuntata” che non produce alcun effetto e fa perdere circa 70 euro di trattenuta in busta paga? D’altronde è un dato di fatto incontestabile che nelle assemblee sindacali di questi ultimi 5 anni, molti insegnanti hanno criticato l’eccessiva vicinanza del sindacato alla politica, colpevolizzando lo stesso sindacato di un’ eccessiva concertazione e di scarsa rivendicazione. Gli insegnanti vorrebbero un sindacato più di attacco capace di rivendicare con azioni forti tutte le istanze dei lavoratori della scuola. La domanda che si pongono le migliaia di docenti che seguono con interesse l’attività politico-sindacale è: “ma dove sono finiti gli scioperi della scuola di un tempo?”. Quegli scioperi molto partecipati dove le scuole chiudevano e se era il caso gli scrutini venivano bloccati? Si trattava di scioperi che avevano i propri effetti e mettevano in crisi i governi. Ecco cosa vorrebbero gli insegnanti la fine di una concertazione che non esiste più nei fatti e il ritorno alla rivendicazione. In buona sostanza è parere diffuso tra i docenti che se si vuole tornare a fare crescere la cosiddetta “curva del movimento degli scioperi” che rappresenterebbe il principale indicatore della temperatura politico-sindacale del Paese, bisognerebbe rompere gli accordi sottoscritti nel 1999 dal Miur e dai sindacati in applicazione della legge 83 del 1990 in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati. Solamente così si potranno rivedere gli scioperi di un tempo che hanno fatto vacillare il dominio politico del governo di turno, conquistando diritti importanti. Sempre secondo molti insegnanti la riuscita di uno sciopero è dovuta anche all’unione di tutti i sindacati che invece oggi sono divisi nell’essere più concertativi l’uno rispetto all’altro. Se le regole degli scioperi resteranno quelle di oggi, ad aderire ad uno sciopero saranno sempre e solo pochi docenti per scuola, che tra l’altro rischiano di fare la figura dei nulla facenti capaci solo a scioperare. Studieremo la prossima curva di movimento dello sciopero per capire se c’è una inversione di tendenza ma il pessimismo è tanto e la concertazione regna sovrana. |