DOMANDE sbagliate nei questionari della seconda tornata
di selezione per i corsi Tfa, necessari per ottenere l’abilitazione
all’insegnamento. A luglio i test sono andati avanti dopo le
contestazioni del 2012. Le segnalazioni dei nuovi strafalcioni hanno
intasato l’email del Miur.L’esperto valutatore andava di fretta.
Frustrato, forse, dalla sottopaga ministeriale. Sarebbe bastato un
controllo, non proprio la Treccani. Wikipedia era sufficiente.
Sarebbe bastato per non elaborare un quesito a risposta multipla —
una domanda, quattro risposte possibili, una sola esatta — in cui il
valutatore chiedeva per conto del ministero dell’Istruzione la
definizione della Guerra dei trent’anni. Definizione giusta, tra le
quattro, però non c’era. Introvabile. Sta accadendo anche questo
nelle settimane della seconda tornata di selezione per accedere ai
corsi Tfa (Tirocinio formativo attivo), corsi necessari per ottenere
l’abilitazione all’insegnamento (22.478 candidati). I nuovi test di
luglio sono andati avanti nonostante le contestazioni della prima
tornata, quella del 2012. E le segnalazioni degli strafalcioni bis
hanno subito intasato le caselle di posta elettronica del Miur, e
dei sindacati della scuola.
La Guerra dei trent’anni, dicevamo. Passaggio ostico e
inevitabile in terza liceo. La domanda al candidato prof della
classe di concorso A037, Filosofia e Storia, era semplice e
definitiva: “Cos’è la Guerra dei trent’anni?”. Già. La risposta
esatta era contenuta nella prima casella, la A: “Un conflitto che
oppone stati cattolici e stati protestanti in una guerra civile e
religiosa europea...”. Perfetto. Solo che poi la stessa risposta A
(quella scelta dal Cineca per conto del Miur) aggiungeva: “Fra 1645
e 1675”. Gli anni erano sì trenta, ma non i trenta giusti. Perché la
Guerra dei trent’anni iniziò nel 1618 e finì nel 1648, questo è sui
manuali di liceo. E allora, al di là delle definizioni del
conflitto, il candidato preparato, un laureato con un’età media di
33 anni, doveva andare a cercare le date corrette nelle altre
risposte. Ma non c’erano nella risposta B, che indicava un periodo
dal 1650 al 1680. E non c’erano nella C, che diceva “1560-1590”.
Figuriamoci nella casella D: “1658-1688”. Quali trent’anni doveva
quindi scegliere il candidato, già agitato di suo? Non c’era
speranza. Meglio passare alla domanda successiva, numero 32. Questa
l’ha segnalata un esaminato bolognese, appena dottorato. Recitava:
“Come termina il Grande scisma d’Occidente?”. La risposta corretta
per il ministero era questa: “Con l’elezione al pontificato di
Nicolò V nel 1449”. A parte che era Niccolò (con due “c”), ma la sua
elezione avvenne il 6 marzo 1447. Alcune domande prima, la 17
precisamente, i valutatori frustrati avevano proposto un rosario di
definizioni della Poetica di Aristotele dove, tra poesia e
filosofia, ci si perdeva in considerazioni irrisolvibili — il
particolare, l’universale, l’inverosimile, l’impossibile — per il
più puntuto dei sofisti. Nella classe “Filosofia e Storia” sono
state quattro le domande contestate, addirittura 63 nelle 19 classi
di concorso fin qui setacciate dai formatori dei sindacati. Le
segnalazioni a loro arrivate erano state più di 500.
Ai candidati delle classi accorpate 43 e 50 (materie
umanistiche) la domanda sul fuso orario di “Sidney” con la “i” al
posto della “y”) non ha mai specificato di quale Sydney del mondo si
stesse parlando. Ce n’è una in Canada, per esempio. E al quesito 44
avrebbero dovuto dire — segnando una sola risposta — quando il sole
è allo Zenit, cioè novanta gradi esatti di elevazione
sull’orizzonte, senza sapere se ci si riferiva all’emisfero australe
oppure a quello boreale. Qui gli aspiranti prof avrebbero dovuto
barrare due caselle (Tropico del Cancro e Tropico del Capricorno
andavano bene entrambi), ma il regolamento dei tirocini formativi
prevede una risposta unica, un’unica “x” nel quadratino scelto.
La parola “flebopatia”, per citare, appartiene a “un
sottocodice dell’italiano” (risposta A, scelta dal ministero) o “a
un particolare registro” (risposta C, intendendo un registro
medico). A tutti e due, ma due risposte non sono possibili.
In Storia dell’arte le opere di Michelangelo, ha chiesto
il test, esprimono: A) forte drammaticità; B) equilibrio statico; C)
grande serenità; D) quieta compostezza. Difficile rispondere quando
— lo dice Piero Adorno ne L’arte italiana — a seconda dell’età e
dell’opera del genio, il lavoro del Buonarroti ora esprime “impeto
drammatico”, ora “sereno equilibrio classico”, ora “dolore
universale”. E poi, contestano i futuri cattedratici dell’arte, come
si possono porgere domande da chimici fuori dalle loro “competenze
disciplinari”. Ovvero: “Che cosa produce l’aggiunta al rame di
alcuni metalli bianchi come piombo, stagno e zinco?”. Non lo possono
sapere, non l’hanno mai studiato.
Il Consorzio inter-universitario ha rimediato cambiando
in corsa le risposte in 10 domande di tre classi di concorso. Le
altre 53 restano lì, con il loro carico di vaghezza interpretativa.
Singoli candidati e singoli sindacati sono partiti con i ricorsi
amministrativi, pratica usata in maniera troppo facile quando si
tratta di scuola, ma oggettivamente sollecitata dal fatto che non
esista un concorso che sia uno organizzato dal ministro
dell’Istruzione che non contenga errori. L’Anief sta avviando il suo
ricorso al Tar del Lazio — c’è tempo fino al 22 agosto — per
l’ammissione con riserva alle prove scritte. Il presidente Marcello
Pacifico dice: «Ancora una volta tanti futuri insegnanti, dopo aver
passato il loro tempo sui libri ed essersi caricati di una tassa di
accesso ai test tra i 100 e i 150 euro, si sentono presi in giro. È
arrivato il momento di aprire un’inchiesta amministrativa».