Zaia (Lega) rilancia le ‘classi ponte’

da Tuttoscuola, 25.9.2013

Non bisogna creare ghetti, ma i bimbi immigrati che non sanno l’italiano non possono seguire un percorso scolastico iniziale con i loro compagni che sanno l'italiano.

E’ questa l’opinione del presidente del Veneto, Luca Zaia, che lancia un appello al governo perchè decida presto e propone la creazione di ‘classi ponte’ per quanto riguarda l'alfabetizzazione italiana.

“Nel totale rispetto dei bimbi immigrati e dei nostri bambini - ha detto Zaia – perché ci possa essere una vera integrazione. Un’integrazione vera non si ha quando si porta un ragazzino che non sa una parola di italiano in una classe in cui tutti gli altri lo parlano. Sarà pure vero che poi imparerà l'italiano ma sarà vero anche che questo bambino resterà emarginato per un lungo periodo della sua vita scolastica”.

Zaia, che si dichiara contrario allo ius soli, propone in alternativa “il metodo tedesco”, che “non è applicazione dello Ius soli ma del buonsenso”. Lo Ius soli, spiega Zaia, “non va perchè non possiamo dare la cittadinanza a un bambino che nasce qui e poi non parlerà mai italiano nella sua vita e magari torna subito in patria d'origine. Invece ai bambini che sono in età scolare, che hanno genitori che risiedono in Italia da almeno cinque anni, come in Germania, è giusto possa venire riconosciuta la cittadinanza”.

"La multiculturalità sin dalla prima infanzia è un esperienza estremamente arricchente per i bambini, che sono 'aggreganti' per natura. Una lezione che molti genitori dovrebbero imparare dai più piccoli". Lo afferma all'agenzia di stampa Adnkronos Salute Rinaldo Missaglia, presidente del Sindacato medici pediatri di famiglia (Simpef), oggi a Milano a margine del terzo Congresso nazionale Simpef.

L'esperto commenta le recenti polemiche sollevate da alcuni  genitori italiani, per l'alto numero di immigrati presenti a volte in maggioranza nelle classi dei loro figli. Un esempio che ha fatto discutere è quello di un piccolo milanese, unico bimbo 'autoctono' su 19 della sua classe all'asilo nido. Mamme e papà si preoccupano, ma "il rischio di infezione non è maggiore di quello che potrebbe esserci in qualsiasi asilo frequentato solo da bimbi italiani - assicura Missaglia - Sono le condizioni ambientali a determinare una facilitazione delle infezioni, non certo l'etnia. E comunque chi entra all'asilo deve essere vaccinato". Il monito del pediatra non è solo per i genitori italiani, ma anche per quelli degli immigrati: "Le barriere culturali spesso sono difficili da abbattere".

E' giusto proteggere i bambini perché sono indifesi contro il mondo, riflette l'esperto, ma spesso nel farlo si rischia di fare più male che bene. I genitori si preoccupano se il figlio è solo in mezzo a tanti stranieri, senza neanche aspettare e capire se esiste un reale motivo per allarmarsi. "Un insegnamento per noi adulti - suggerisce  Missaglia - potrebbe essere questo: vediamo spontaneamente come si comporta il bambino senza dargli sovrastrutture". Se si seguono le spinte naturali dei bimbi, stando bene attenti che non siano indotte da qualche adulto, potrebbe giovarne un'intera società, è convinto l'esperto. "I bambini - conclude - sono attratti da ciò che è diverso, sono curiosi. Se i genitori riuscissero a sfruttare questa dote naturale, è credibile che tutti potrebbero arricchirsi di questa situazione".