DL Scuola: sui dirigenti scolastici, si volta pagina?

 dal blog di Max Bruschi, 16.9.2013

Tra gli articoli del Decreto Legge scuola che rappresentano, potenzialmente, un punto di svolta, merita una analisi l’art.17, recante “Dirigenti scolastici”. La rubrica raccoglie sostanzialmente tre disposizioni. Con la prima, dal comma 1 al comma 4, cambia radicalmente il sistema di selezione dei dirigenti scolastici, demandato a un “corso concorso” nazionale, annuale, affidato, per l’espletamento, alla Scuola superiore della pubblica amministrazione (SSPA, ora SNA), in analogia con quanto previsto ordinamentalmente per la dirigenza pubblica.  Cessa, dunque, una delle (tante) “riserve” (o anomalie) del settore scuola e si introduce un altro tassello che equipara il “preside” al resto dei dirigenti pubblici.

Con la seconda (commi 5, 6 e 7), si dà una risposta all’emergenza gestionale delle regioni nelle quali la procedura concorsuale risulta, a vario titolo, non conclusa: con un allargamento generoso che ricomprende il “concorso siciliano 2004″, la cui complessiva gestione rappresenta una delle pagine più nere dell’Amministrazione, si consente l’esonero dei “vicari” delle istituzioni in reggenza.

Con la terza, infine, per accelerare la conclusione delle procedure in corso di rinnovazione, si dispone che il quorum necessario per sdoppiare le commissioni sia abbassato da 500 a 300 e che, a scanso di equivoci e per consentire il lavoro “in parallelo”, ognuna di loro abbia un presidente e un segretario.

Ognuno di questi aspetti meriterebbe un approfondimento a sé, che ne tracci anche, per così dire, la “storia”, visto che le disposizioni scaturiscono da fatti ben precisi. Le disposizioni, di per sé, mi sembrano rispondere positivamente alle esigenze che le hanno dettate. Anche se occorrono alcune avvertenze e sarebbero opportune, in sede di conversione, alcune modifiche, come peraltro suggerito in un commento da Salvatore Milazzo.

Benissimo la devoluzione alla SSPA delle procedure concorsuali. Ma occorre che i regolamenti attuativi siano precisi e soprattutto che nell’ambito del corso-concorso siano riconosciuti alcuni ambiti specifici di preparazione e valutazione. Sarebbe opportunissimo, inoltre, precisare meglio il dopo: a fronte di un corso-concorso nazionale, come avverrà l’incrocio tra “domanda e offerta” e quali saranno i margini di scelta dei dirigenti degli USR? Non c’è assolutamente, beninteso, da stracciarsi le vesti per la “deregionalizzazione”. La particolare configurazione del ruolo dirigenziale evita le anomalie nelle “transumanze” tra regioni e già oggi, in fondo, i concorrenti hanno potuto scegliere dove “tentare la sorte”. Certamente i risultati del corso concorso possono stabilire un ordine in base al quale gli “aspiranti” possano scegliere la regione, presso la quale sarà poi il direttore generale a scegliere la collocazione specifica. Ma è opportuno, forse, scriverlo. Infine, due possibili ulteriori scelte, l’una dettata dal contenzioso, l’altra dal buon senso, potrebbero essere utilmente discusse dal Parlamento. La prima: non si può far finta che le continue condanne del Miur per la distinzione tra ruolo e pre-ruolo non sussistano (vedasi, tra le ultime, il TAR Lazio, che non ha fatto altro che prendere atto delle sentenze europee:). I 5 anni di ruolo quale requisito per partecipare alle procedure sono un inutile “mostrare il petto al nemico”. Meglio mutare subito formulazione, trovando un “dictus” che non si presti a interpretazioni foriere di pasticci. La seconda: ho sempre considerato un errore, stante il sistema nazionale di istruzione, non consentire l’accesso alle procedure, a parità di requisiti (abilitazione, anni di servizio a tempo indeterminato, in questo caso), per i docenti delle scuole paritarie. E non solo di errore culturale si tratta (abbiamo bisogno dei DS migliori possibili, da qualsiasi parte provengano, e occorre valorizzare le persone, senza improbabili “lettere scarlatte”), ma di una esclusione che non trova alcun fondamento giuridico razionale  e che non risponde né al principio di uguaglianza, né a quello di ragionevolezza che governano gli accessi alla SSPA. Infine: occorre trovare un meccanismo che, fatti salvi i conti pubblici, eviti le forche caudine del MEF, che già costringono alle “norme speciali” sull’assunzione dei dirigenti tecnici. L’autorizzazione alle assunzioni, salvo verifica sui “saldi” da fare in tempi certi, deve essere “quo ante”, un “presupposto” della procedura. Va da sé, a quel punto, che risulta opportuno evitare code  di persone “idonee”, presupposto per il perpetuarsi di situazioni “all’italiana” che ci ricacciano nel “terzo mondo” amministrativo.

Quanto agli esoneri ai vicari delle scuole in reggenza, mi è capitato di redigere, in questi mesi, norme che, sulla questione, rispondevano alle esigenze più disparate. La soluzione adottata risponde all’unica che, in realtà, andava perseguita sin dall’inizio: rispondere a una emergenza organizzativa, tanto più nel momento in cui si procede a una doverosa accelerazione delle operazioni di ricorrezione e si sottolinea quanto il dispositivo adottato sia “pro tempore”, visto che si consente (giustissimo!) che si possa attingere dalla nuova graduatoria di merito una volta che questa sia stata approvata. La soluzione “idonei incaricati” non prendeva atto del fatto che, a prescindere da ogni considerazione personale, le sentenze “Lombardia” e “Molise” hanno di fatto abbattuto le graduatorie concorsuali. Sull’abominio giuridico ed etico “incarichi ai ricorrenti” preferisco non esprimermi, mentre in astratto sussisteva l’alternativa di creare una graduatoria per incarichi a partire dai risultati della preselettiva. Il che però, come è stato giustamente obiettato, avrebbe creato una “categoria” che, in piena tradizione italiana, avrebbe poi accampato diritti e trovato, prima o poi, un pertugio nella consueta malleabilità di parlamento e amministrazione.
Occorre, infine, una glossa. Se davvero occorre e si vuole voltare pagina, non si possono lasciare aperti, a nessun titolo, “conti in sospeso”. Dai (superstiti) presidi incaricati ai vecchi contenziosi (Trentino, Abruzzo), lasciare aperto il passato significa ipotecare il futuro.