IL CASO

In pensione da 20 giorni, la scuola
richiama i prof. «Dovete tornare»

Otto in Veneto, tra Treviso, Padova e Rovigo. «Scusate, è stato un errore».
Ora gli insegnanti valutano il ricorso. «Trattati come sacchi di patate».

 Il Corriere del Veneto, 6.11.2013

TREVISO — Prof, può andare in pensione. Anzi no, ci siamo sbagliati. Sulle prime sembrava una battuta. Ma la comunicazione arrivava proprio del ministero dell’Istruzione, era ufficiale insomma. Una beffa quella capitata ad (almeno) otto docenti veneti con quarant’anni di insegnamento alle spalle e l’agognata pensione divenuta da un mesetto sospirata realtà. «Una comunicazione che mi ha cambiato la vita – spiega il trevigiano R.R., uno dei professori beffati – qui si è giocato con la vita delle persone». Perché, fuori dal lavoro, ci sono interessi da coltivare e piani da rispettare, questioni che esigono tempo e testa. E che adesso sono rimandati a data da destinarsi. Perciò il prof ha sottoposto la questione ai suoi avvocati. Un consulto, quello chiesto allo studio di Andrea Nieri e Paolo Bottoli di Treviso, che potrebbe dare il la a una lunga serie di ricorsi. I legali stanno infatti verificando la sussistenza degli estremi giuridici per chiedere l’annullamento del provvedimento o per valutare un eventuale risarcimento dei danni.

La comunicazione della Provincia, in base ai calcoli Inps, è arrivata agli inizi di ottobre. Con una telefonata direttamente a scuola. «A dire il vero la cessazione di servizio partiva dal primo settembre – continua l’insegnante – ma quella telefonata mi ha cambiato la vita: nonostante il ritardo ero comunque felice di dar seguito alle passioni che avevo dovuto mettere in secondo piano. Ho terminato la mia ultima lezione e ho salutato tutti». Venti giorni dopo però il contrordine: «Prof, c’è stato un errore. Deve tornare a scuola». L’avviso è perentorio: «si comunica che la cessazione di servizio è da considerarsi annullata». E la vita che cambia, in un istante, per la seconda volta. L’odissea del prof ha inizio nel 2011, quando il docente, classe 1952, conti alla mano, matura il diritto alla pensione per l’anno successivo. Ma la legge Fornero blocca tutto posticipando di cinque anni la «porta » per il pensionamento. «Sul punto è stata portata avanti una class action - precisa il prof - ma non sappiamo ancora quale potrà essere l’esito dell’azione legale contro il ministero». Nel frattempo, tutti i docenti «bloccati» tornano in cattedra. Poi all’inizio dello scorso settembre la svolta. Il telefono della scuola che squilla, la normativa a pennello e l’agognato pensionamento. Per legge «se ci sono esuberi in una classe di concorso e avendo acquisito i quarant’anni di lavoro, questi esuberi possono andare in pensione».

Ecco la porta per il prof, varcata insieme a lui da altri otto insegnanti veneti, in servizio a Treviso, Padova e Rovigo. Tutto bene fino al 20 ottobre, giorno dell’amara rettifica. «Scusate, ci siamo sbagliati, l’esubero non è proficuamente utilizzabile». La delusione e lo scoramento sono difficili da contenere. «Siamo stati trattati come sacchi di patate - si sfoga ancora l’insegnante trevigiano - è ingiusto quello che ci è capitato dopo così tanti anni di servizio. Inammissibile venire trattati con tanta superficialità su aspetti della vita così importanti». Nelle prossime ore l’insegnante invierà una lettera al ministro dell’Istruzione Maria Chiara Carrozza per informarla di quanto accaduto. «Mi sembra doveroso far sapere cosa succede in questo Paese - continua - senza contare che la beffa potrebbe rivelarsi molto lunga. Se la class action contro la legge Fornero non porterà i risultati sperati, dovrò restare in servizio fino al 2017». Altri tre anni, se tutto va bene. «Possono sempre intervenire nuove normative - chiude il prof beffato - un mio collega che ha rifiutato il pensionamento per insegnare un ulteriore anno, per sopravvenute leggi si è visto rinviare la cessazione di servizio di altri cinque anni. Vista l’instabilità dei nostri governi, non posso quindi sapere quanto questo "errore"mi costerà in termini di anni di lavoro, se cioè nell’agosto 2017 potrò andare in pensione o se un nuovo cavillo di una nuova normativa confezionata da un nuovo ministro stravolgerà ancora la mia vita».