Mensa scolastica: cosa c'è nel piatto?

Si chiama "commissione mensa" il piccolo esercito che recluta a turno mamme e papà che all'ora di pranzo si presentano nelle cucine delle scuole e verificano cosa (e come) viene servito ai bambini. Un'istituzione su base volontaria cui è affidato alnche il controllo delle diete speciali: cosa accade se nel piatto di un bambino allergico arriva il pasto destinato a un altro?

di Paola Scaccabarozzi, la Repubblica Donna 13.11.2013

Assaggiano il cibo, valutano il rispetto delle norme igienico-sanitarie, controllano che i pasti siano sufficienti per tutti i bambini, che risultino graditi. Insomma, che tutto funzioni al meglio. È questo il ruolo della Commissione mensa, esercitato concretamente non solo dagli insegnati, ma anche da mamme a papà che si recano fisicamente all’interno delle scuole all’ora di pranzo per verificare di persona che cosa c’è nel piatto dei loro figli.

La commissione mensa non è un organismo obbligatorio, ma fortunatamente, è presente nella maggior parte delle scuole italiane (circa il 75%). La sua composizione e le sue competenze sono spesso definite dal capitolato elaborato dal Comune per appaltare il servizio di ristorazione. Tra i suoi compiti però sicuramente ce n’è uno imprescindibile e decisamente importante: il controllo e la gestione delle diete speciali. Il che significa che alcuni bambini hanno un menù diverso dagli altri e le ragioni possono essere le più varie: esigenze etiche (vegetariani e vagani ad esempio), religiose, malattie temporanee o croniche, oppure allergie alimentari. Ma quali sono le allergie più frequenti e come comportarsi nei confronti dei bimbi che ne soffrono? Lo abbiamo chiesto al Professor Alessandro Fiocchi, responsabile dell'Allergologia dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma.

“Le allergie alimentari più frequenti, che colpiscono attualmente circa il 3% dei bambini europei (ma sono prevedibilmente in aumento, visto il trend dei paesi anglosassoni che si aggira intorno al 10%), sono nell’ordine quelle al latte, alle uova, alla frutta secca, al grano ed infine al pesce" spiega il prof. Fiocchi. "In realtà, però, le certificazioni più numerose riportate a scuola sono quelle relative all’allergia al latte e al pesce. La ragione? Spesso i genitori supplicano i pediatri di stilare una diagnosi di allergia perché i propri figli detestano il pesce e non lo vogliono mangiare per alcun motivo. I medici di famiglia si mostrano, talvolta, compiacenti di fronte alle richieste assillanti e petulanti di mamma e papà. Anche i certificati di intolleranza alimentare, a volte frutto di frettolosi test eseguiti in farmacia da genitori iperansiosi, sono spesso poco attendibili. Il risultato è che il certificato (redatto dallo specialista allergologo o, ben più frequentemente, dal pediatra o medico di base) che deve essere presentato a scuola dai genitori per ottenere un pasto “su misura”, non sempre rispecchia le reali problematiche alimentari. La conseguenza, ovvia, è un numero eccessivo di menù personalizzati. Ma, nonostante la richiesta sovradimensionata, i servizi di ristorazione si sono mostrati sempre molto attenti nella preparazione e distribuzione di pasti ad hoc. L’errore capita, è umano, ma è veramente rarissimo. I piatti destinati ai bimbi allergici vengono, infatti, più volte controllati e un dato è certo: è assai più probabile che l’incidente capiti a casa della nonna o durante una festa di compleanno, piuttosto che in mensa”. Quindi si può stare decisamente tranquilli anche se un occhio in più, quello del genitore che fa parte della commissione mensa, certo non guasta.

“Il problema è però decisamente un altro: come non far sentire diverso il bimbo o il ragazzo allergico. Se fino ai primi anni delle elementari chi riceve un pasto diverso dai coetanei si sente in qualche modo speciale, perché è questo ciò che viene trasmesso dai medici e dai genitori, durante l’adolescenza la percezione cambia totalmente" prosegue Fiocchi. "I ragazzini possono diventare, per esempio, oggetto di scherno da parte dei compagni. A volte poi, purtroppo, lo scherzo può degenerare pesantemente. Un esempio? L’arachide nascosta nel pezzo di torta, in grado, qualora provochi reazioni gravi come lo shock anafilattico, di mettere addirittura a repentaglio la vita stessa. In alcuni casi è, invece, l’atteggiamento di sfida che contraddistingue l’età adolescenziale a mettere in pericolo il ragazzo allergico. Il desiderio di trasgredire e di assaggiare solo un pezzetto di quel cibo “proibito” può costare molto, molto caro”.

Come vigilare, allora? “Sostanzialmente in due modi: da una parte attraverso una prevenzione sociale dei rischi e cioè con l’educazione in senso lato (accettazione della diversità individuale e rispetto dell’altro) e con un percorso medico che permetta la desensibilizzazione graduale nei confronti degli allergeni. Ciò avviene tramite la somministrazione, sotto stretto controllo medico (è previsto il ricovero ospedaliero) di piccolissime quantità via via crescenti dell’alimento incriminato. Si permette così di far fronte a reazioni molto gravi e di limitare i rischi nel caso di accidentali somministrazioni del cibo a cui si è allergici”.