Carrozza: «Scuola, ecco
la prima inversione di rotta»

di Luciana Cimino, l'Unità 17.6.2013

Maria Chiara Carrozza è ministro dell’Istruzione da poco più di un mese. È una scienziata, una ricercatrice con un lunghissimo curriculum universitario. Ha insegnato ed è stata rettore di uno dei più prestigiosi istituti italiani, la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa. È dunque una donna che conosce, e ha vissuto dall’interno, i molti problemi dell’istruzione pubblica degli ultimi anni.

Eppure ammette: «La situazione che ho trovato al ministero è oggettivamente difficile, è molto impegnativa sia dal punto di vista normativo che da quello dei finanziamenti». Il vastissimo mondo della scuola (professori, precari, studenti, sindacati di categoria) la attende al varco; lei, pacatamente, in un periodo di tempo molto stretto ha cercato di mostrare i segni di una inversione di tendenza, «almeno nei limiti delle risorse che abbiamo». Il cosiddetto «Decreto del Fare», varato dal Consiglio dei ministri sabato contiene alcuni provvedimenti su scuola e ricerca molto attesi.

La ripresa della manutenzione degli edifici scolastici era auspicata: un istituto su tre non ha i certificati di sicurezza.

«Siamo riusciti a mettere dei soldi in più. Abbiamo previsto un investimento straordinario di 100 milioni per il triennio 2014/2016 con il contributo dell'Inail dunque ora si può partire con le priorità che ci sono state già segnalate. Il Miur ha già una programmazione in tal senso con Regioni e Enti Locali. Ora con il Ministero delle Infrastrutture gestiremo i fondi partendo da lì».

Il sistema del welfare universitario ha patito negli ultimi anni: ritardi immani nelle borse di studio, case dello studente insufficienti, nessuna agevolazione. Dopo anni il governo torna sul welfare studentesco ma non per tagliare. Il calo degli iscritti all’Università stava diventando preoccupante?

«Non abbiamo tenuto in conto solo questo fenomeno. Ci preoccupa in generale il problema della disoccupazione giovanile, dei Neet, coloro che né studiano né lavorano. C’era bisogno di incentivare la mobilità, sia geografica che sociale, degli studenti che volevano trasferirsi fuori regione. Tutte le statistiche da questo punto di vista evidenziano problemi».

Come interverrete?

«Abbiamo pensato a delle “borse per la mobilità”: 12 milioni di euro (5 per il 2014 e 7 per l'anno successivo) a favore di studenti con un curriculum scolastico eccellente. È un premio, solo un segnale. Spero poi nell’arco dei prossimi mesi di avere a disposizione altri fondi per dare piena attuazione all’articolo 34 della Costituzione che dice, appunto, che i capaci e meritevoli benché privi di mezzi hanno il diritto di raggiungere l’istruzione superiore».

Altri provvedimenti importanti riguardano la ricerca. Parzialmente, ma si torna ad assumere.

«Per ora liberiamo posti per 1500 ordinari e 1500 nuovi ricercatori grazie al turn-over che passa dal 20 per cento al 50 per cento dei pensionamenti. Cioè se fino ad oggi gli atenei potevano assumere un ricercatore ogni 5 pensionati, ora sarà uno ogni due. Abbiamo messo a sistema anche il tenure track, la valutazione dopo cinque anni del lavoro del ricercatore per passare ad associato».

L’Italia si piazza al fondo della classifica europea per finanziamenti in istruzione. È difficile far passare il concetto che investire in questi settori garantisce sviluppo?

«L’attività di ricerca universitaria e quella industriale sono fondamentali. L’ottica adesso è quella di razionalizzare le poche risorse, eliminare gli sprechi, trovare nuovi fondi e indirizzarli bene così da non disperdere più le energie. Certo bisognerà lavorare moltissimo».

Da dove cominciare per salvare la ricerca italiana?

«Con la concessione di contributi alla spesa e interventi per finanziare soprattutto lo sviluppo di start-up ad alto valore tecnologico e di spin-off universitari ma anche valorizzando progetti di social innovation per giovani con meno di 30 anni e potenziando i rapporto tra ricerca pubblica, imprese, enti pubblici di ricerca. Stiamo parlando di una razionalizzazione di fondi esistenti, purtroppo non è ancora il reintegro del Ffo (fondo finanziamento ordinario), speriamo di farlo in futuro. Almeno però gestiamo tutto come un unico pacchetto. Mi preme sottolineare che i provvedimenti presi riguardano tutti gli enti di ricerca».

Si cerca da anni di agganciare la scuola al lavoro ma i sistemi recenti non hanno funzionato finora.

«L’istruzione tecnica va seguita con particolare attenzione in questo momento. Con il ministero del Lavoro e quello della Coesione territoriale e con regioni e atenei vogliamo cominciare sistematizzando i tirocini. Abbiamo già cominciato in conferenza Stato- Regioni. La materia concorrente in questo caso è una grossa opportunità per lo Stato. Non è un freno ma l’occasione per interventi efficaci sul territorio».

Spesso ha usato la parola «emergenza» riferita allo stato della scuola. Come se ne esce? E quanto ci vorrà?

«È un momento di crisi e le risorse sono limitate. Per adesso con questi provvedimenti abbiamo dato un segnale. Ma costituiscono una prima tranche: presto affronteremo il resto come il reclutamento dei docenti e il diritto allo studio. Bisogna andare di pari passo tra la semplificazione e ricerca della risorse».