La privatizzazione (estiva) della scuola

Gianni Montesano l'Unità, 29.1.2013

Sarà stato un refuso, una svista, ma l’idea di lasciare aperte le scuole in estate ha una sua logica: quella dell’autonomia totale della scuola, anticamera della privatizzazione. L’ipotesi di utilizzare le scuole per “riempire” i tempi estivi ruota sulla possibilità di utilizzare le strutture pubbliche per attività extra curricolari. Un po’ come accade oggi per i “campi estivi” che tante famiglie conoscono; luoghi dove i ragazzi praticano sport, si ritrovano insieme per attività ludiche, guardano film, giocano e, in questo modo, trascorrono le giornate estive quando non vanno in vacanza. Tante famiglie usano questo strumento soprattutto per i ragazzi della scuola primaria. C’è un piccolo dettaglio: si tratta di attività tutte a pagamento.

Non a caso la “fuga di notizia”, poi smentita dalla lista Monti, parlava di ipotesi da realizzarsi nella piena autonomia degli istituti. Ogni scuola – immagino – si dovrebbe attivare per organizzare corsi e attività ovviamente contando solo sulle proprie risorse e, di conseguenza, chiedendo ai cittadini la retta equivalente per i servizi offerti.

Se la guardiamo da questo punto di vista sarebbe la conseguente applicazione delle riforme del governo Berlusconi che hanno dato il via libera al processo di privatizzazione della scuola e che mirano a trasformare gli istituti in soggetti autonomi, con tanto di consiglio di amministrazione, e che prevedono la partecipazione di fondi privati. Ovvio che la scuola che abbia una buona struttura e che potrebbe godere della presenza di buoni sponsor potrebbe mettere in campo attività extra curricolari anche nel periodo estivo, magari nel mese di luglio. Ma chi metterebbe soldi in una scuola? O sponsor facoltosi (centri commerciali, agenzie di banche e cose simili) che puntino ad un rientro di immagine (e di clienti) oppure sponsor interessati ad intervenire sulla didattica (aziende e società di servizi) oppure ancora sponsor interessati a ricavare profitti (società che organizzano, ad es., attività di intrattenimento collegate con circuiti turistici). Sono solo ipotesi teoriche ma lo scenario non credo sia del tutto fantastico.

Resta un piccolo dettaglio. Un processo di questo tipo non sarebbe altro che un tassello della privatizzazione della scuola pubblica, nata con risorse pubbliche e finanziata con i soldi dei contribuenti. E in una logica del genere i territori con meno risorse come le periferie urbane o quelli delle aree più arretrate resterebbero del tutto tagliati fuori. Chi potrà pagarsi le attività extra andrà nelle scuole dei quartieri o delle zone facoltose, gli altri dovranno accontentarsi del “servizio pubblico”. Compiuto questo passo quello successivo sarebbe la privatizzazione completa della didattica, perché le scuole (e i docenti) migliori avrebbero rette (e stipendi) più alti, con buona pace del diritto all’istruzione per tutti.

Sarà stato un refuso o una distrazione, ma dietro la bufala dell’apertura delle scuole in estate c’è una visione chiara del futuro: l’istruzione non è più un diritto ma una merce da acquistare.