L’istruzione italiana e il modello inglese

di Beppe Severgnini,  Italians, Il Corriere della Sera 20.1.2013

Caro Beppe, sono uno tra i tanti (credo e spero) lettori del tuo nuovo libro, “Italiani di domani”; diciannovenne romano, studio Scienze politiche e Relazioni internazionali – per passione, predisposizione, interessi lavorativi (ebbene sì, voglio diventare giornalista) – a “La Sapienza” di Roma – per comodità –, una di quelle che tu definisci simpaticamente «università tascabili»: ho preferito scegliere di rimanere nella mia città, infrangendo uno dei consigli profusi (l’importante è sognare, no?). Detto ciò, reo confesso, mi preme soffermarmi sul sig. Carlo Pedretti, preside di liceo a Milano («elementari e medie non preparano ai licei»). A dir la verità, mi sembra un po’ il caso del bue che dice cornuto all’asino; mi spiego: a mio giudizio, l’onta più grande dell’istruzione italiana è proprio quella drenata dal dislivello – didattico, tecnico, attitudinale – che intercorre fra formazione liceale e apprendimento universitario, il cui approccio è reso impossibile dalla scarsa preparazione dispensata, in questo senso, dalla scuola secondaria (specialmente quella di secondo grado, essendo immediatamente prospiciente il medesimo). Lo chiedo a te, col tentativo di spillarti un’opinione più sintomatica, ma il riferimento è, più in generale, a tutti coloro che possono qualcosa, in senso lato: è così impossibile uniformare l’istruzione italiana al modello inglese, capace di formare giovani studenti e lavoratori competenti in un periodo di tempo anche minore?

 

Andrea Capati,

 

Non sono d’accordo. La scuola secondaria superiore, in Italia, è migliore di quella americana, più giusta di quella tedesca, più democratica di quella britannica. Cerchiamo di far funzionare qu

La mia convinzione non nasce da antichi ricordi liceali, da letture frettolose, da testimonianze parziali o interessate. Per questo nuovo libro sono tornato spesso nelle scuole superiori (Vicenza, Verona, Urbino, Roma, Modena, Milano, andrò a Sassari, Nuoro e altrove). Ne sono uscito entusiasta. I nostri ragazzi valgono oro. Gli insegnanti devono ricordarsi d’essere cercatori di talento: non sempre è facile da trovare, ma c’è. La nazione dia agli insegnanti il modo di lavorare bene (retribuzioni, regole, strutture) – sono soldi ben spesi. E sapete quante sono le risorse destinate all’istruzione? 4,5% del PIL, quanto il costo degli interessi sul debito pubblico. In un caso e nell’altro, circa 1.150 euro per ogni italiano (dati 2010). Interessante, no?

P.S. La Sapienza è immensa, non è una “università tascabile”! Ma che tasche avete, a Roma?! Quello che abbiamo, Andrea.