Nel mirino il «cattivo» Titolo V Eugenio Bruno Il Sole 24 Ore, 24.1.2013
ROMA Si parte dalle misure per snellire le istituzioni e rafforzare il mercato. Per alcune servirà una legge costituzionale. Si tratta del superamento del bicameralismo perfetto, del dimezzamento del numero dei parlamentari e dell'inserimento nella nostra carta fondamentale del divieto di «gold plating» nel recepimento delle direttive comunitarie. Inteso come l'impossibilità di introdurre nel nostro ordinamento oneri aggiuntivi rispetto a quelli contenuti nel testo comunitario da recepire. Del gruppo fa parte anche la riforma del Titolo V. Il progetto di Confindustria suggerisce di «attribuire allo Stato le competenze su materie di interesse nazionale». Andrebbe dunque superata la ripartizione di tipo "concorrente" tra il livello statale e quello regionale in settori strategici come le infrastrutture, l'energia e i trasporti. Ed è quello che il Ddl sulla riforma del Titolo V varato nell'ottobre scorso provava a fare prima che il testo affondasse nelle paludi di fine legislatura. Le modifiche alla Costituzione vanno accompagnate da una sforbiciata ai costi della politica da operare con legge ordinaria. Nell'elenco rientrano sia l'abolizione delle province che l'accorpamento dei piccoli Comuni. Oltre alla nascita delle Città metropolitane e al rafforzamento di un «federalismo responsabile», fatto soprattutto di controlli stringenti sulla spesa. Sempre a proposito di riassetto istituzionale va segnalato l'input ad accelerare la giustizia civile e a riorganizzare gli uffici pubblici. Tagliando gli enti inutili, concentrando le funzioni e formando meglio il personale. Ma viale dell'Astronomia invoca anche più coraggio nella lotta alla burocrazia. Gli oneri sulle imprese vanno ridotti e resi proporzionati ai livelli di rischio. E devono essere cancellati gli «adempimenti meramente formali, mantenendo solo quelli essenziali alla tutela di interessi rilevanti». Sfruttando se possibile un adeguato «switch-off» al digitale. Un altro blocco di riforme deve riguardare invece il mercato. In primis quello del lavoro. E ciò attraverso il riequilibrio del rapporto tra regolamentazione per legge e contrattazione, «riconoscendo alle parti sociali maggiore autonomia nel definire gli aspetti applicativi delle norme generali, anziché regolare tutto minutamente per legge e poi prevedere deroghe». Nel mirino c'è pure la riforma Fornero. Così com'è, la flessibilità in entrata non funziona. Da qui l'auspicio a «razionalizzare e rendere più efficaci» le sue norme e a «potenziare le politiche attive per il lavoro». Anche grazie a una riforma della formazione tarata sulla valorizzazione del capitale umano. Tanto nelle scuole, con la riduzione da 13 a 12 anni del ciclo di studi e con la diffusione dell'alternanza scuola-lavoro, quanto negli atenei, con l'abolizione del valore legale della laurea e la liberalizzazione delle tasse universitarie. Più mercato significa infine riduzione del perimetro di regolazione pubblica. Avanti con le liberalizzazioni e con la riforma delle Authority: è il doppio invito contenuto nel documento degli industriali. |