L’Italia giusta si prepara a scuola

da Tuttoscuola, 31.1.2013

Francesca Puglisi, responsabile scuola del PD, scrive della scuola e dei suoi problemi in un articolo pubblicato sul sito del Partito democratico, di cui qui pubblichiamo la prima parte, nella quale analizza l’operato dei governi di Berlusconi e Monti. La seconda parte del suo intervento, in cui si fa una dettagliata analisi delle proposte del PD per la scuola italiana, è pubblicata in calce al programma del PD.

 

LA SCUOLA DI BERLUSCONI E DI MONTI

Governo Berlusconi

Il Governo di centrodestra non ha affrontato i problemi cronici del sistema scolastico italiano, ma li ha aggravati, infliggendo 8 miliardi di tagli, e sottraendo 132.000 posti di insegnanti e personale ATA nel triennio (86.000 docenti+ 46000 ATA).

Sono state effettuate scelte in direzione contraria al resto d’Europa: in Italia è diminuito il tempo di funzionamento delle scuole (da distinguersi dalla durata delle lezioni), mentre altrove si è affermato un modello di scolarizzazione che organizza l’attività degli allievi dal mattino al pomeriggio avanzato e, talvolta, rende disponibili spazi e materiali anche di sera. In Italia, di fronte all’incalzare della crisi economica, si è ritenuto che il contenimento della spesa pubblica potesse essere ottenuto attraverso la riduzione delle spese per l’educazione e (con un accostamento non privo di significato) per la sanità, mentre altrove si sono limitate o rinviate le spese in altri settori della vita pubblica, senza ridurre le risorse a disposizione delle scuole

È stata enfatizzata la modernizzazione del sistema scolastico puntando non sulla qualificazione del personale e sull’organizzazione del lavoro, ma attraverso la diffusione di strumentazioni tecnologiche.

Governo Monti

Ha continuato a rispettare la tabella di marcia dei tagli all’istruzione dettata da Tremonti nel DEF (spesa calante in istruzione fino a toccare il 3,5% del Pil nel 2025) e ha detto che gli insegnanti sono “corporativi e conservatori”. Unici investimenti fatti, grazie alla centralizzazione e alla redistribuzione dei fondi europei, nelle 4 regioni obiettivo 1 (Campania, Calabria, Puglia, Sicilia) per qualificazione edilizia scolastica, asili nido, tempo scuola, tecnologie.

Dal Ministro Profumo abbiamo ascoltato moltissimi annunci positivi che non si sono poi
concretizzati in fatti e alcune parole davvero fuori posto. Per affrontare l’emergenza “edilizia scolastica”, invece di liberare risorse immediate allentando il patto di stabilità interno per quegli EELL che investono in edilizia scolastica, ha progettato un complesso sistema di scambi di concessioni per l’edificazione di nuovi edifici.

Nel decreto semplificazioni prima abbozza il tanto agognato “organico funzionale stabile”, ma poi vira verso neo campagne sui “fannulloni imboscati” con i distacchi sindacali (40.000 l’annuncio, poi ritrattato a 10.000) e con le recenti umilianti 24 ore . Abbiamo combattuto la sua visione di scuola “selettiva e competitiva” descritta nel cosiddetto “decreto sul merito” perché crediamo che il compito della scuola pubblica sia quello di realizzare l’art.3 della carta costituzionale e non di rispolverare premi retrò come “lo studente dell’anno”. Avevamo chiesto al Ministro di stabilizzare i precari che stanno lavorando su posti vacanti (non costa di meno licenziarli a giugno e riassumerli a settembre, pagando indennità di disoccupazione e ferie non godute) e di assumere quella delega sul reclutamento che il Parlamento aveva già dato al Ministro Fioroni. Opta invece per un nuovo concorsone. Avevamo chiesto –inascoltati- di limitarlo alle classi di concorso esaurite o in via di esaurimento, senza dar vita ad una preselezione lotteria.

I DATI

Il rapporto annuale 2012 dell’ISTAT, fa emergere un vero e proprio allarme educativo. L’Italia ha un primato negativo in Europa: 2 milioni di giovani tra i 15 e i 24 anni non sono né a scuola, né al lavoro; vivono una condizione di vuoto a grandissimo rischio. Il dato cresce fino a 3,2 milioni se si apre la forbice fino ai 34 anni. Siamo nel blocco dei peggiori, in compagnia di Grecia, Irlanda, Bulgaria, Romania e Spagna. (Fonte: Fondazione Eurofound dell’Unione europea, Ottobre 2012).

In particolare la crisi colpisce soprattutto le cosiddette competenze di base (leggere, scrivere, far di conto, risolvere problemi), che rappresentano il corredo culturale che consente ai giovani di inserirsi positivamente nella vita sociale e nelle attività produttive (competenze di cittadinanza).

Il tasso di abbandono scolastico è del 18,8%. Peggio di noi solo Malta, Portogallo e Spagna. Obiettivo di Europa 2020 è ridurlo al 10%. I dati sull’abbandono scolastico si differenziano molto a seconda delle regioni italiane. Maglia nera va alle regioni del Sud Italia: in Sicilia la percentuale di studenti che hanno lasciato gli studi prima del diploma è del 26%, mentre la regione con la percentuale più bassa è il Friuli Venezia Giulia con il 12,1% (Fonte: Istat, gennaio 2012).

I livelli di istruzione della popolazione italiana sono troppo bassi. Rimaniamo ancora lontani dagli obiettivi che ci indica l’UE: la quota di persone con qualifica o diploma di scuola secondaria superiore raggiunge il 34,5%, mentre è dell’11,2% la quota di chi possiede un titolo di studio universitario (Fonte: Istat, Annuario statistico italiano 2012).

Va ancora peggio se guardiamo ai laureati nella fascia di età fra i 30 e i 34 anni: l’Italia è all’ultimo posto in Europa pari al 20,3% nel 2011. La media europea è al 34,6% e l’Italia è lontana anche rispetto agli altri Stati principali dell’Unione: in Germania i trentenni laureati sono il 30,7% del totale, in Spagna il 40,6%, in Francia il 43,4%, in Gran Bretagna il 45,8%. (Fonte: Eurostat, giugno 2012).

Il recente rapporto Ocse 2012 evidenzia come la media di investimenti in istruzione dei paesi membri, sia cresciuta fortemente negli ultimi anni e risulti pari al 5,7% del Pil, ma l’Italia si colloca al di sotto della media, investendo solo il 4,5 % del PIL. Penultimi in graduatoria, davanti solo alla Slovacchia. Eppure è dimostrato che la maggiore spesa per istruzione produce rendimenti certi, come un maggior gettito fiscale ed una maggiore occupabilità e la stessa Banca d’Italia sostiene, sulla base di complesse analisi, che il rendimento medio dell’investimento in istruzione è dell’8.9%.

Nel Rapporto annuale sulla situazione del Paese 2012 (Fonte: Istat, 2012), si legge: “L’istruzione è un fattore chiave per alimentare la mobilità sociale e stimolare la crescita economica attraverso un migliore capitale umano, ma anche questa risente della classe sociale della famiglia di origine”.

Nella generazione più recente solo il 12,5 per cento dei figli della classe operaia raggiunge la laurea, contro più del 40 per cento dei figli della borghesia. Anche l’abbandono scolastico è più ampio nelle classi meno elevate: il 37 per cento dei figli di operai nati negli anni ’70 ha abbandonato la scuola superiore, contro l’8,7 per cento di quelli della classe sociale più elevata. Tra questi ultimi oltre la metà si iscrive all’università, contro il 14,1 per cento dei figli della classe operaia, e la situazione non cambia significativamente per i nati negli anni ’80.

E’ la scuola il vero motore della mobilità sociale.