La fuga dei cervelli pesa sui conti:
ci costa quasi un miliardo all'anno

La cifra emerge incrociando i dati sulla spesa sostenuta dalla collettività per far arrivare un giovane al titolo di studio universitario (circa 124 mila euro) e quelli sui laureati che espatriano, più di 68mila dal 2002 al 2011

di Salvo Intravaia la Repubblica, 2.1.2013

La fuga dei cervelli ci costa quasi un miliardo di euro all'anno. E' quanto emerge incrociando i dati sul costo sostenuto dallo Stato italiano per la formazione dei propri studenti e quelli pubblicati qualche giorno fa dall'Istat sulle "Migrazioni internazionali e interne della popolazione residente", anche per scopi lavorativi. L'istituto nazionale di statistica nel 2011 ha rilevato un vero e proprio boom di laureati con oltre 25 anni di età in fuga verso l'estero, soprattutto in cerca di occupazione. La crisi economica nel nostro Paese non dà ormai possibilità di lavoro neppure ai laureati più brillanti, che cercano fortuna oltre confine.

Un'altra statistica, di Eurostat, mostra infatti che in Italia nel 2011 il tasso di disoccupazione dei laureati di età compresa fra i 30 e i 34 anni supera, seppur di poco, quello dei diplomati di pari età: 8,3 per cento contro 8,2 per cento. Una situazione che tra i Paesi più industrializzati si verifica soltanto in Italia e che giustifica la fuga dei laureati oltre i confini italiani. In Germania, tanto per rimanere in Europa, si verifica esattamente il contrario: 2,6 per cento di disoccupati tra i laureati e 6 per cento tra i diplomati. Stesso discorso in Francia dove la disoccupazione tra i laureati è metà di quella tra i diplomati.

E tornando in Italia, l'anno scorso si è registrato un forte incremento - più 29 per cento - di laureati che hanno scelto l'espatrio: oltre 10mila e 600. Nel 2010, erano poco più di 8mila e 200. Le mete più gettonate sono i Paesi europei: Germania, Svizzera, Regno Unito e Francia. Ma anche Stati Uniti e Brasile. Stati che possono sfruttare le competenze acquisite dai laureati italiani in anni e anni di studio nella terra natale senza avere speso un solo euro per la loro formazione.

Secondo l'Ocse, sommando la spesa sostenuta dallo Stato per consentire a un giovane di raggiungere il diploma - in 13 anni di studi, nella migliore delle ipotesi - e successivamente di laurearsi - altri cinque anni - in Italia si spendono 164mila dollari, pari a circa 124mila euro, che anziché essere utilizzati in Italia se ne vanno altrove. Dal 2002 al 2011 sono infatti più di 68mila i laureati over 25 che hanno preferito mettere a frutto all'estero le conoscenze e le competenze acquisite nel Belpaese. Voglia di realizzarsi, desiderio di aprirsi a nuove esperienze o più semplicemente voglia di guadagni più consistenti?

Sta di fatto che, moltiplicando ognuno dei 68mila laureati in fuga dall'Italia per i 124mila euro che ha speso la collettività per formarli, nell'ultimo decennio si raggiunge la considerevole cifra di otto miliardi e mezzo di euro. Un investimento che sfuma nel momento in cui i giovani vanno a lavorare all'estero. E un danno economico al quale si dovrebbe aggiungere anche la perdita di competitività del nostro sistema produttivo che deve fare a meno dei suoi cittadini più attrezzati. L'Ocse calcola, infatti, che un laureato in Italia percepisce quasi il 50 per cento in più di quanto percepisce un diplomato di pari età.

Ed è proprio su questo aspetto che la Commissione europea ha impostato una parte della strategia di Lisbona: incrementare la percentuale di laureati di età compresa fra i 30 e i 34 anni dal 32 al 40 per cento entro il 2020 per fare di quella europea l'economia più sviluppata del pianeta. L'Italia per numero di giovani laureati, con il suo 20,3 per cento, è uno dei fanalini di coda in Europa e le prospettive non sono delle migliori. Del resto, investire in istruzione e formazione dei propri cittadini è uno dei pochi metodi conosciuti per incrementare anche il Pil di un Paese, oltre che per migliorare la società.

L'Ocse ha calcolato l'impatto positivo dell'investimento in istruzione sul Pil. "Negli ultimi dieci anni - scrivono i tecnici dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico - oltre la metà della crescita del Pil nei Paesi Ocse è legata alla crescita del reddito dei lavoratori con un livello di istruzione terziario". E l'istruzione ha anche un impatto sugli aspetti sociali della vita di uno Stato: aspettativa di vita e partecipazione al voto. "L'istruzione - continua l'Osce - è un importante predittore della speranza di vita. In media, tra i 15 Paesi Ocse un laureato di 30 anni può aspettarsi di vivere altri 51 anni, mentre un trentenne che non ha completato l'istruzione secondaria superiore può aspettarsi di vivere ulteriori 43 anni".

Infine, anche la partecipazione al voto è influenzata dal livello di istruzione. "Esistono differenze significative - conclude l'Ocse - nel comportamento di voto in relazione al grado di istruzione dei cittadini adulti dei Paesi Ocse. In media, il divario nel tasso di voto tra gli adulti con alto e basso livello di istruzione è di 14,8 punti percentuali. Questo divario si allarga notevolmente e raggiunge i 26,8 punti percentuali tra i giovani adulti di età compresa fra i 25 e i 34 anni".