Apprendistato: il circolo virtuoso
tra scuola, talento e occupazione

Diana De Marchi ScuolaOggi 22.2.2013

Scuola e occupazione in Italia e in Lombardia, una delle sue Regioni più produttive, sono ancora troppo distanti. Questa distanza potrebbe essere colmata se sapremo utilizzare al meglio lo strumento dell’apprendistato, recentemente introdotto dalla riforma Fornero.

Per migliorare le prospettive di occupazione e la qualità del lavoro delle nuove generazioni, non solo dobbiamo raccordare il sistema formativo con il sistema delle imprese e degli enti locali, ma dobbiamo anche creare nuove modalità di lavorare insieme senza pregiudizi reciproci sostenendo l’integrazione tra teoria e pratica, tra formazione e lavoro che ci permetterebbe di affrontare anche il grave problema dei giovani espulsi dalla scuola e dal mercato del lavoro. Per raggiungere questo obiettivo la valorizzazione dello strumento dell’apprendistato ha un’importanza decisiva.

In Germania, dove è considerato vincente l’obiettivo di qualificare tutti i lavoratori dall’operaio all’ingegnere e preparare lavoratori capaci per il lavoro che andranno a svolgere, l’apprendistato è decisamente valorizzato all’interno del sistema formativo, riconoscendolo come una delle forze motrici della locomotiva tedesca, e questo investimento trova conferma nei dati sulla disoccupazione giovanile tedesca, che risulta la più bassa in Europa.

Questo ci dice che, per cambiare la nostra posizione nell’UE che ci vede in coda alla classifica (quarti dal fondo tra i 27 paesi Europei), serve un pensiero forte su questo dispositivo formativo. I nostri percorsi scolastici, pur riconosciuti di buona e ottima qualità, spesso non rispondono compiutamente alle esigenze delle aziende, con la conseguenza di un disallineamento preoccupante tra scelte formative dei ragazzi e richieste del sistema produttivo.

Sono i ragazzi che non hanno voglia di lavorare o siamo noi poco flessibili? L’inserimento nel mondo del lavoro è uno strumento efficace contro la dispersione scolastica, facendo orientamento negli istituti professionali statali ci si rende conto che una delle esigenze forti dei ragazzi è avere più esperienza pratica; senza per questo appiattirsi solo sul fare o sulla dimensione laboratoriale, è necessario comprendere che la formazione non è solo quella teorica, ma che “l’italiano e la matematica ti servono anche per lavorare”.

Lavoro ed educazione sono gli strumenti primari di inclusione, e se sulla carta lo Stato ha rimosso i principali ostacoli all’equità (rendendo ad esempio obbligatoria e gratuita l’istruzione fino ai 16anni), il nostro sistema resta tra i più discriminanti dell’area OCSE. I tagli di spesa hanno acuito la situazione evidenziando come nel sistema scuola debbano esserci più opportunità per chi ne è espulso, per chi interrompe il proprio percorso a causa di problemi economici famigliari e rischia di non vedere valorizzato il proprio talento.

Parlare di equità non si può senza merito, ma che cosa c’è di equo in un sistema che vede un ragazzo bocciato un paio di volte a 16 anni andare in cerca di una qualifica altrove o non cercarla neppure? Come documentato da una ricerca ISFOL del 2011, non è un problema solo del Mezzogiorno: il 6,2% di giovani lombardi (circa 22mila, equivalente alle cifre della Campania) tra i 14 e 17 anni, non sono in nessun percorso di formazione, e il 60% degli intervistati dice che “avrebbe voluto fare qualcosa di più pratico”.

Dobbiamo portare i ragazzi a una qualifica professionale, anche attraverso un nuovo modello responsabile come quello dell’apprendistato: la nostra regione deve diventare il luogo dove la dimensione territoriale sia in grado di far emergere nuove professionalità nel contesto di un cambiamento di stili di vita e quindi con un reale cambiamento nelle politiche dei territori. Serve una Regione protagonista che presti davvero un servizio agli utenti in un contesto di sussidiarietà coordinato con agli altri sistemi grazie ad una programmazione integrata.

Alcune riflessioni sulla attuazione dell’apprendistato. Una prima considerazione è che non c’è più equazione tra il disagio sociale ed economico, molti ragazzi presentano una sofferenza formativa legata a un disagio adolescenziale e/o sociale e altri a un disagio sociale e/o economico: questi ultimi a volte sanno affrontare meglio le difficoltà e gli insuccessi formativi, mentre quelli che hanno meno difficoltà sociali sono anche meno adeguati ad affrontare gli insuccessi. Nel passaggio medie/superiori, i più fragili entrano in una strana spirale dove il docente che sta solo cercando di motivarli è percepito come “un aggressore”, e da questo si sviluppa un senso di inadeguatezza (“io non sono capace”).

Per recuperare il filo della motivazione la cosa più importante è essere più costruttivi, quindi è importante contestualizzare e definire l’ambito in cui i ragazzi si trovano in difficoltà, per motivarli nell’utilizzo delle competenze. Lavorare per competenze e sulla didattica dell’errore sembra essere la strada più corretta, ma i docenti faticano a riprogettare il loro lavoro in questi termini (e per questo sarebbe necessario investire sulla loro formazione), puntando a una progettazione formativa e all’individualizzazione del curriculum, che è sempre più importante per connotare le problematiche e altre occasioni/opportunità di ritrovare la propria autostima all’interno di organizzazioni lavorative preparate.

Queste opportunità si possono concretizzare attraverso l’introduzione a sistema di progetti di alternanza scuola lavoro e di tirocinio o stage volontario in periodi scolastici particolari, progetti condivisi dai consigli di classe, studiati a misura negli Istituti tecnici ma anche per i Licei, con la finalità di educare al lavoro e alla vita. Entrambi danno forza ai ragazzi e alle ragazze! L’alternanza è prevista nella riforma attuale, che ha principi condivisibili, ma disparità e falle nel sistema di erogazione che si è rivelato inefficiente.

La nuova legge sul lavoro mette l’apprendistato in primo piano distinguendo diverse tipologie. L’apprendistato per la qualifica e il diploma professionale, un primo apprendistato che coinvolge i ragazzi tra i 15 e i 25 anni, che è anche una opportunità di recuperare ragazzi in difficoltà formative; un secondo tipo di apprendistato detto ‘professionalizzante o contratto di mestiere’, che coinvolge i ragazzi che vogliono trovare lavoro qualificato dai 18 ai 29 anni, e un terzo livello di apprendistato, di carattere universitario.

La condizione necessaria perché funzionino è realizzare un progetto formativo fortemente integrato tra scuola e azienda. Il sistema si avvale di scuole accreditate che attivano con finanziamenti regionali, percorsi formativi ad hoc insieme ad alcune aziende, articolati per competenze di base trasversali, e organizzati per moduli ripartiti in aree professionalizzanti.

Per ragazzi con difficoltà a rimanere nel progetto formativo vanno previsti tutor sia a scuola che in azienda, e per orientare alla scelta, ogni scuola superiore dovrebbe attivare uno ‘sportello apprendistato’, corredato da un percorso di formazione dei docenti che si occupano dello sportello, del progetto formativo e del tutoraggio.

L’accordo tra Regione e USR con l’elenco delle scuole accreditate per precedente apprendistato, è in scadenza e andrà rinnovato, anche se le scuole risultano praticamente già accreditate perché lavorano ovviamente su percorsi formativi già riconosciuti.

Questi progetti hanno diritto a un contributo, per l’apprendistato per i ragazzi e vengono dati all’azienda perché finalizzati alla formazione dell’apprendista. Quindi le aziende sono interessate, perché hanno un sostegno: è una buona norma ma deve essere estesa a sistema, creando rapporti più stretti con l’Ente locale, con le Province e i diversi livelli istituzionali territoriali, e un’anagrafe capace di incrociare i dati del settore scuole, istruzione formazione professionale e del settore lavoro.

La regione deve dare più servizi informativi e facilitare le possibilità di accesso: ad esempio sostenendo la diffusione di sportelli di servizio al cittadino negli enti locali (nei grandi Comuni come Milano anche nei Consigli di Zona) e promuovendo i progetti con campagne di comunicazione sul tema che coinvolgano le scuole, perché poco si sa di queste opportunità.

La presa in carico di questi obiettivi deve partire dai Consigli di classe con colloqui orientativi diretti ai ragazzi a rischio e alle loro famiglie per informarli dei percorsi formativi di apprendistato. Gli enti locali devono fare la loro parte mappando le aziende considerando anche le distanze scuola/azienda, o dall’abitazione poiché parliamo di minori, e garantendo una formazione di tutti i docenti del collegio perché ciascuno colga il valore dell’apprendistato come opportunità e non come ripiego, con una funzione orientativa che permette a 15 anni di scoprire i propri talenti ed eventualmente cambiare l’indirizzo di studio.

La Regione deve dimostrare capacità di ascolto e di sintesi alle problematiche delle imprese, soprattutto le più piccole che possono avere maggiori difficoltà, e sostenere i percorsi di apprendistato con servizi che le aiutino a responsabilizzarsi, come anche occuparsi del coordinamento con le associazioni di categoria, l’attivazione di servizi per la compilazione dei progetti formativi e la sistematizzazione di azioni di tutoraggio interno.

L’appprendistato innesta un circolo virtuoso che permette di rivitalizzare (come si è già verificato) anche il personale dell’azienda coinvolto che viene motivato, perché l’azione di tutoraggio con un giovane consente di far emergere anche competenze proprie quasi dimenticate, rivelandosi ancora di più una opportunità per tutti i soggetti coinvolti e complessivamente per il sistema Paese.