Ridurre le ore a scuola aumenta le diseguaglianze
tra studenti: uno studio dal Giappone

Rosaria Amato la Repubblica, 11.2.2013

In Giappone si è passati nel giro di vent’anni dalla settimana scolastica “lunga”, che include il sabato, a quella corta, con un orario sceso dalle 48 alle 40 settimanali ((in ogni caso molto più lungo di quello medio delle scuole elementari e medie italiane). Il passaggio, rileva in uno studio pubblicato e tradotto anche da Voxeu.org l’economista giapponese Daiji Kawaguchi, professore alla Hitotsubashi University, non è stato indolore e ha avuto come conseguenza un aumento della disuguaglianza tra studenti. Gli studenti che hanno i genitori più istruiti, infatti, impiegano parte del sabato studiando discipline supplementari; i figli di genitori con un diploma di scuola media invece hanno meno opportunità, e questo alla lunga si traduce in un divario nella loro preparazione, e incide nelle loro chance di un futuro professionale migliore rispetto a quello dei genitori.

Le conseguenze si vedono già nei test: il dislivello tra i risultati degli studenti è aumentato in alcuni casi anche dell’80%. In un Paese come l’Italia, che guarda ormai con grande sfiducia a tutto ciò che è pubblico, scuola compresa, non si fa più tanta attenzione al taglio delle ore scolastiche. Però recentemente mi è capitato di parlare con un’insegnante di francese molto motivata che lavora in una scuola della periferia di Roma, che mi ha spiegato come il taglio delle sue ore pomeridiane si sia tradotto nell’impossibilità di preparare i suoi studenti all’esame Delf A2: adesso si devono accontentare dell’A1, il primo livello, con le poche ore che le sono rimaste non riesce a fare di più. Probabilmente qualcuno dei suoi studenti farà comunque l’A2, o anche il livello superiore, pagando delle lezioni private: dipende dai genitori, dal loro censo e da quanto ritengono sia importante dedicare tempo allo studio delle lingue, e allo studio delle lingue diverse dall’inglese. Prima, però, al Delf A2 arrivavano tutti, a prescindere dalla motivazione e dal censo dei genitori.

Ma in un momento economico e politico come questo non c’è spazio per ragionamenti del genere. Lasciamoli fare ai giapponesi.