Cultura e sviluppo,
le risposte dei candidati premier
Il Sole 24 Ore,
3.2.2013
La Domenica ha rivolto
cinque domande ai candidati premier e leader delle coalizioni in
prima linea nella campagna elettorale che ci sta accompagnando al
voto del 24 e 25 febbraio. Cinque domande che nascono dallo spirito
del Manifesto della Cultura pubblicato su queste colonne il 19
febbraio 2012 (sopra sono riprodotti i cinque punti fondamentali) e
da quello degli Stati Generali della Cultura che si sono tenuti a
Roma lo scorso 15 novembre (www.statigeneralidellacultura.ilsole24ore.com)
LE 5
DOMANDE
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Gentile candidato premier, se vincerà le elezioni, intende aumentare
le quote di Pil destinate alla cultura, alla ricerca, all’istruzione
e alla valorizzazione del patrimonio storico-culturale e
paesaggistico portandole ai livelli degli altri Paesi europei e dei
Paesi economicamente più sviluppati? Oppure non lo ritiene possibile
o necessario?
- 2
-
Se sì: in che modo pensa di spendere produttivamente quei soldi?
Se no, in che modo, da chi e con quali strumenti intende trovare le
risorse necessarie per rilanciare e riqualificare cultura, ricerca e
istruzione, nonché per promuovere la fruttuosità economica del
patrimonio storico-culturale e paesaggistico?
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-
La pratica artistica e musicale non sono insegnate nelle scuole,
e questo fatto danneggia la nostra cultura e la nostra immagine nel
mondo. Sforniamo analfabeti funzionali, inconsapevoli del loro
patrimonio circostante. Se andasse al governo cambierebbe i
programmi scolastici introducendo queste materie fin dai primi anni
di scuola?
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In vista dell’arrivo di ingenti fondi europei, che iniziative
intende intraprendere per incrementare l’impresa creativa italiana e
per esportare il valore della nostra cultura e del nostro patrimonio
storico-artistico, storico-scientifico e paesaggistico nel mondo?
- 5
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A fronte del fatto che secondo numerosi e accreditati studi non
c’è sviluppo economico e sociale costante in un Paese che spende
meno del 2% di Pil in ricerca e innovazione e che non valorizza,
anche economicamente, il ruolo dei giovani ricercatori, che cosa
intende fare per fermare il declino della ricerca italiana,
l’emorragia di giovani ricercatori e il disinteresse dei ricercatori
stranieri nei riguardi del sistema italiano della ricerca e
dell’innovazione?
Mario Monti. Ricerca e merito per l’innovazione
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Sicuramente l’adeguamento dei fondi al ministero dei Beni Culturali
e alla ricerca – compatibilmente con i vincoli delle finanze
pubbliche – è tra le priorità che un futuro Governo deve porsi per
tornare a un livello più prossimo a quello degli altri Paesi
europei. Lo stato del patrimonio storico, monumentale, archeologico
e paesaggistico è tale da rendere improbabile un rilancio
significativo dello sviluppo turistico se prima non si interviene
riprendendo quell’opera di manutenzione e conservazione che, a causa
della carenza di risorse – ma anche a causa di inefficienze e
disorganizzazione – è stata da anni trascurata.
Se le finanze pubbliche non permetteranno un immediato aumento degli
stanziamenti, sarà comunque necessario riqualificare la spesa
corrente e aumentare la spesa per investimenti, sia pubblici che
privati e adottare in tempi brevi misure che possano portare risorse
alla cultura, sia nella sua componente di attività culturali, sia
nel mantenimento del patrimonio nazionale. In particolare, la
fiscalità e l’inclusione del terzo settore possono avere
significativi effetti positivi. Sarebbe utile agli stessi fini una
riforma del ministero dei Beni culturali che ne favorisca
l’efficienza organizzativa e l’autonomia di spesa.
Avviare un grande progetto di recupero del patrimonio culturale e
paesaggistico significherebbe soprattutto dare un impulso alla
crescita e una possibilità concreta di occupazione qualificata, in
particolare per i giovani.
- 2 -
Paragonandoci alla Francia, e ancora di più all’Inghilterra, è
evidente che abbiamo molto terreno da recuperare per quanto riguarda
la deducibilità e la detraibilità dei contributi a favore delle
attività culturali e del mantenimento del patrimonio culturale. Una
riflessione potrebbe anche essere condotta, in coerenza con le
disposizioni europee, riguardo alle imposte che i soggetti – incluso
il Ministero e il terzo settore – che operano per la conservazione
del patrimonio monumentale, storico, archeologico e artistico devono
pagare. La differenza sta anche nella “visione”: per i Paesi
sopracitati il Patrimonio nazionale è un bene collettivo, di
conseguenza è tra le priorità dell’azione pubblica tutelarlo. La
cultura è un diritto e tale deve essere per tutti i cittadini: in
Italia l’articolo 9 della Costituzione è stato sostanzialmente
dimenticato. Noi vogliamo ricordarcene nel nostro programma, con una
visione di medio e lungo termine, diversa da quanto fatto – o meglio
non fatto – nell’ultimo decennio.
- 3 -
L’aumento delle ore sia di storia dell’arte che di pratica artistica
e musicale è il presupposto per creare un Paese sensibile ai temi
culturali. Sottovalutare l’importanza della cultura significa
rischiare di perdere anche parte della nostra memoria, l’orgoglio
della nostra identità e la capacità di pensare criticamente. Il
danno sarebbe molto grave e si rifletterebbe su intere generazioni.
L’identità del nostro Paese, quello per cui siamo conosciuti nel
mondo, è anche e forse soprattutto la cultura: non riconoscerlo
significa negare quello che siamo.
- 4 -
L’obiettivo della politica europea di investire il 3% del Pil in
ricerca e sviluppo e il programma dei finanziamenti europei alla
ricerca per il periodo 2014-2020 è una straordinaria opportunità per
il Paese, che deve attivarsi per poterla cogliere. A differenza di
quanto è avvenuto, per esempio, per i fondi europei destinati al
mantenimento e alla valorizzazione del patrimonio culturale, che
spesso non si è saputo spendere. Qualunque accesso ai fondi europei
sarà comunque vincolato alla capacità di trovare cofinanziamenti e
di proporci come partner credibili. Dobbiamo innestare una vera
rivoluzione, che modifichi radicalmente l’impostazione su ricerca e
cultura: competitività, innovazione, sostenibilità e solidarietà
devono potersi coniugare fra di loro per dare forma e consistenza a
un futuro nel quale la qualità della vita dei cittadini venga messa
veramente al centro dell’azione della politica.
- 5 -
Cultura e ricerca sono due concetti profondamente collegati e
fondamentali per il futuro del Paese, ed entrambi contribuiscono
all’innovazione. La ricerca italiana deve essere sostenuta anche
partendo da bandi competitivi. Bisogna premiare il merito affinché i
bravi ricercatori (che sono molti) siano incentivati a dare il
meglio. Solo partendo da questa impostazione, che non è affatto
scontata in Italia, si può dare ai più capaci la possibilità di
accedere ai grant internazionali più prestigiosi, contribuendo
quindi all’innovazione del nostro Paese e portando enormi benefici
al sistema generale. È inoltre necessario e urgente semplificare la
burocrazia che tuttora, anche nel campo della ricerca e
dell’innovazione come in tanti altri, impedisce ai talenti di dare
quello che potrebbero e rallenta un reale processo di sviluppo di
tutto il Paese.
Pierluigi Bersani. Sapere e creatività per combattere la crisi
- 1 -
Non ho dubbi e rispondo affermativamente. Occorre aumentare le quote
di Pil nel comparto cultura, ricerca, istruzione e tutela del
patrimonio paesaggistico. Sarà centrale la fedeltà alla legalità
costituzionale con quanto ne consegue in termini di tutela dei
diritti della cultura e del patrimonio artistico, architettonico,
librario e archivistico che vive una situazione di grave crisi. Da
troppo tempo ripetiamo che l’Italia è il fanalino di coda della Ue
per le spese in ricerca (1,26% del Pil contro una media del 2,01%) e
sappiamo che la composizione della spesa in 20 anni ha registrato –
5,4% in istruzione/ricerca e solo + 0,1% in attività ricreative e
culturali, ma non facciamo nulla per invertire questa tendenza. Ad
esempio, occorre subito integrare i finanziamenti ordinari alle
università, che rischiano di non riuscire a pagare nemmeno gli
stipendi nel 2013 e serve un programma nazionale della ricerca per
finanziarla con meccanismi all’altezza del sistema europeo. Per
quanto riguarda il reperimento delle risorse necessarie, i risparmi
sull’interesse del debito e le riduzioni delle voci di spesa
aumentate dal 1990 a oggi – possibili grazie alla riforme della
previdenza e alla spending review – ci consentono di programmare
nuovi investimenti. Inoltre, è necessario sfruttare meglio le
risorse europee, fornire incentivi a partenariati pubblici/privati e
attivare una defiscalizzazione più conveniente per le donazioni.
Bisogna farlo perché non è vero, come sostenuto dalla propaganda
della destra, che con «la cultura non si mangia». Anzi, esiste una
relazione tra la cultura e la capacità innovativa di un Paese: non a
caso in Europa ad avere i tassi di accesso culturale più bassi sono
Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda, ossia i Paesi più
colpiti dalla crisi.
- 2 -
Il nostro straordinario patrimonio culturale, scientifico e
paesaggistico deve tornare a essere al centro di un progetto di
sviluppo sostenibile: si tratta di settori non delocalizzabili e ad
altissimo valore aggiunto che permettono ancora all’Italia di essere
conosciuta e riconosciuta universalmente nel mondo. Quella dei
saperi diffusi, della cultura e dell’innovazione è una delle
possibili exit strategy da questa crisi economica devastante: per
percorrerla c’è bisogno di politiche serie, anche industriali, di
sviluppo per la creatività e per la cultura e di una programmazione
degli interventi. Le politiche dei finanziamenti a pioggia si sono
dimostrate inutili e dannose. Il Mibac ha serissimi problemi di
personale: i tecnici scarseggiano e in breve i pensionamenti
rischiano di desertificarlo. Esso deve essere rimesso nelle
condizioni di operare, restituendo dignità ai lavoratori e diritti e
certezze alla vasta schiera di giovani precari iperqualificati. E
vanno anche implementati i fondi per il funzionamento della
struttura: manutenzione, tutela, valorizzazione dei beni culturali e
finanziamento alle attività culturali e del cinema devono continuare
a essere la mission di questo ministero. È necessario anche
ridefinire i criteri di spesa, specie nelle attività culturali:
bisogna porre particolare attenzione all’innovazione, alle
produzioni dei giovani, alla sperimentazione e ai nuovi linguaggi
con l’obiettivo di spendere meglio per chiedere di più.
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La questione dell’insegnamento della pratica artistica e musicale
nelle scuole è una ferita aperta. Va irrobustita la presenza
dell’arte e della musica nei programmi scolastici, ma è altrettanto
importante che queste discipline siano proposte da insegnanti capaci
di trasmettere in modo adeguato le loro conoscenze. Secondo le
statistiche Eurostat 2011 l’Italia è al 24° posto su 30 Paesi per la
spesa culturale delle famiglie; meno del 50% degli italiani ha letto
un libro nell’ultimo anno contro l’85% dei cittadini svedesi; il 70%
dei nostri connazionali non assiste a spettacoli dal vivo. Il basso
livello di fruizione culturale è una delle cause della poca cura che
il nostro Paese riserva alla cultura, considerata ancora come un
settore di nicchia. D’altronde gli alti livelli di consumo culturale
sono universalmente ritenuti sinonimo di capacità di innovazione, di
disposizione al cambiamento, di consapevolezza di sé e dei propri
diritti. Più alto è il consumo di cultura più cresce la capacità di
autofinanziamento (e quindi l’indipendenza) delle imprese culturali.
Per questa ragione l’alto tasso di analfabetismo funzionale deve
preoccuparci anche per le sue conseguenze economiche e l’azione del
nuovo governo dovrà affrontare questo problema. D’altra parte come
disse il rettore di Harvard Derek Bok: «Se pensate che l’istruzione
costi, provate con l’ignoranza».
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Storicamente l’Italia fatica a cogliere le opportunità di sviluppo
create dai fondi europei che costituiscono un’occasione essenziale
per migliorare l’offerta culturale. Per fortuna, grazie al buon
lavoro del ministro Fabrizio Barca, la situazione nell’ultimo anno è
migliorata. Nel Mezzogiorno, principale beneficiario, a fronte del
3,62% di risorse per il settore culturale, è stata spesa una cifra
irrisoria (0,66 per cento). Una parte è stata riprogrammata, ma la
cultura ha perso ben 33,3 milioni di euro. Innovare nella
conservazione e nella promozione culturale significa accompagnare le
Regioni nella programmazione, progettazione e spesa dei fondi
strutturali. Sarebbe utile istituire una cabina di regia centrale
(per esempio nella sede Stato-Regioni) che coordini l’azione
regionale. Sarebbe anche utile allargare la definizione di cultura a
quella di industria culturale e creativa per rilanciare un’intera
filiera produttiva (oltre al patrimonio culturale anche
l’audiovisivo, l’architettura, la moda, la pubblicità e il design).
Per esportare il valore della nostra cultura, servirebbe un’agenzia
per l’industria culturale e creativa con lo scopo di facilitare i
contatti e aiutare Pmi e giovani a partecipare a fiere
internazionali. Infine, dovremmo far tesoro dei laureati in
management culturale che, quando va bene, trovano lavoro all’estero:
l’Italia dovrebbe essere al vertice per sbocchi occupazionali nella
cultura e bisognerà impegnarsi per recuperare questo divario.
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Per fermare il declino non bastano soltanto maggiori risorse.
L’esperienza kafkiana dei ricercatori alle prese con le burocrazie
ministeriali richiede interventi radicali per “il diritto alla
semplicità”, con standard europei (tre esempi: portale unico per
tutte le informazioni e gli strumenti; presentazione delle proposte
online; anticipo di parte del finanziamento per permettere ai
ricercatori di dedicarsi da subito ai progetti). Poi, bisognerebbe
cambiare paradigma: dalla “fuga” alla “circolazione dei cervelli”.
Non “devono” tornare soltanto gli italiani, ma dobbiamo essere noi a
importare talenti stranieri. Perciò, saranno necessari interventi
sia sull’attrattività scientifica e salariale, sia sulle leggi
sull’immigrazione. Il Pd ha formulato proposte per valorizzare nei
concorsi le esperienze all’estero, per agevolare l’equipollenza e il
riconoscimento dei titoli, per offrire “cattedre parziali” a docenti
di università straniere. La mobilità deve convenire di più: ora è
più caro assumere un esterno che promuovere un interno da associato
a ordinario. I vincoli del turn over hanno bloccato le carriere e
gli spostamenti, provocando una fuga dei migliori giovani.
Prenderemo spunto dai modelli dell’European Research Council per
rendere i ricercatori liberi di muoversi e di scegliere la sede
migliore per i loro progetti.
Silvio Berlusconi. Un patrimonio da globalizzare
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Certamente sì. Non è possibile detenere il più grande patrimonio
culturale nel mondo e spendere per salvaguardare e valorizzare
questo bene inestimabile meno degli altri Paesi.
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Bisogna innanzitutto valorizzare questo patrimonio in maniera
imprenditoriale, chiamando i giovani laureati nelle specializzazioni
di managerialità della cultura a dirigere musei e aree
archeologiche, come abbiamo iniziato a fare con la nomina del dottor
Mario Resca alla direzione generale della valorizzazione dei beni
culturali. I privati inoltre possono e debbono essere associati in
questo ruolo di tutela e promozione del nostro patrimonio, come ad
esempio è stato fatto a Torino con la Fondazione del Museo Egizio e
a Roma con l’investimento di un privato come Della Valle nel
restauro del Colosseo.
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Il linguaggio artistico e musicale è uno dei linguaggi fondamentali
della nostra cultura e della formazione spirituale di un giovane.
Bisogna adottare il modello anglosassone, come quello
dell’educazione teatrale come una delle attività di una scuola a
tempo pieno.
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I nostri beni artistici possono diventare uno strumento di
diffusione culturale e anche economica in tutto il mondo, come del
resto è sempre avvenuto nel corso della nostra storia. Abbiamo fatto
molto da questo punto di vista, attraverso accordi con la Cina, ad
esempio, con l’apertura di un museo italiano a Pechino e uno cinese
a Roma. Tutto ciò ha migliorato i nostri rapporti politici e di
conseguenza anche economici.
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Innanzitutto non bisogna disperdere le risorse in mille rivoli e
indirizzarle invece verso centri e progetti di eccellenza. L’Italia
può riprendere un posto importante nella competizione economica
internazionale se sfrutta adeguatamente le sue facoltà creative e
scientifiche al servizio dell’economia e del progresso civile del
Paese. A questo fine è necessario privilegiare il merito per evitare
che le nostre migliori energie siano costrette a trovare all’estero
le condizioni migliori per manifestare il proprio talento.
Antonio Ingroia. L’equità è figlia dell’istruzione
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Un Paese che non investe in cultura non solo non valorizza le
potenzialità di crescita civile e morale dei suoi cittadini, ma non
crea neppure prospettive di sviluppo sociale ed economico. L’Italia
ospita un immenso patrimonio culturale, abbiamo centri di assoluta
eccellenza scientifica e tecnologica, la nostra industria dello
spettacolo è una delle più rinomate nel mondo, eppure la percentuale
di Pil investita è scandalosamente irrisoria. La nostra Rivoluzione
Civile è anzitutto una rivoluzione culturale: il programma che
intendiamo realizzare prevede il preciso impegno di sostenere la
scuola e l’Università pubbliche, valorizzare i nostri beni
artistici, paesaggistici, storici e archeologici e promuovere
l’immagine, la bellezza e la cultura italiane nel mondo.
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L’istruzione, la ricerca, la diffusione della conoscenza sono
strumenti indispensabili per realizzare l’equità sociale e per
rianimare il mondo produttivo stritolato dalle logiche di mercato.
Valorizzare gli straordinari beni culturali del Paese e promuovere
la tutela paesaggistica e ambientale significa attrarre enormi
investimenti, sfruttando in pieno le nostre potenzialità turistiche.
La scuola e l’università e la ricerca hanno pagato un prezzo
altissimo alle politiche recessive prima di Berlusconi e poi di
Monti. Governi che hanno usato questi settori per fare cassa,
riducendo l’offerta formativa, lasciando nel limbo della precarietà
senza speranza decine di migliaia di insegnanti e di giovani
ricercatori, umiliando la professionalità dei docenti e dei
lavoratori della conoscenza. Occorre una svolta profonda e radicale.
Questi settori devono essere considerati delle risorse su cui
puntare, per assicurare buone scuole, buone università e tanta
ricerca al nostro Paese. Per questo occorre assicurare finanziamenti
certi, il diritto allo studio a tutti i capaci e meritevoli privi di
mezzi, garantire condizioni ottimali di lavoro ai docenti, rimettere
in moto il reclutamento nell’università, garantendone la legalità e
la piena trasparenza.
La valorizzazione del settore culturale in Italia, oltre a costruire
le fondamenta del nostro futuro, consentirebbe di generare quasi 100
miliardi di Pil. È molto meglio e meno costoso mantenere e
conservare il nostro patrimonio culturale, come il paesaggio del
nostro Paese, piuttosto che rincorrere i crolli e il degrado. Per
questo proponiamo un piano straordinario di manutenzione ordinaria
del nostro patrimonio. È una assicurazione sul nostro futuro. E non
ci si venga a dire che non ci sono le risorse. È questione di
scelte. Basterebbe cominciare da una vera lotta alle mafie, alla
corruzione e all’evasione fiscale, tagliare i costi della politica e
la spesa improduttiva per adeguare il volume di investimenti alla
media europea.
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Ritengo assolutamente fondamentale introdurre la pratica artistica e
musicale nei programmi di insegnamento, l’Italia è un Paese con una
straordinaria tradizione in questi settori culturali ed è una
contraddizione evidente quella di escludere discipline che
costituiscono anche un forte arricchimento individuale e collettivo.
E oggi rischiamo di non riuscire ad avere una reale formazione
precoce in questi campi così importanti. Il programma di Rivoluzione
Civile prevede l’abolizione delle riforme Gelmini, che hanno ridotto
in macerie l’istruzione con una progressiva aziendalizzazione del
sapere, per una nuova organizzazione dei programmi di studio che
sappia valorizzare la cultura umanistica accanto a quella
scientifica.
- 4 -
Innanzitutto occorre, come dicevo prima, un ingente investimento
pluriennale sulla manutenzione e la tutela del patrimonio. I fondi
europei sono essenziali, ma non si può affidare il nostro patrimonio
a interventi e progetti di carattere straordinario. Occorre
restituire alle sovrintendenze la piena possibilità di lavorare e di
intervenire in modo ordinario. Già questo intervento pubblico
potrebbe costituire un volano importante per le imprese del settore.
Nello stesso tempo, occorre che l’Italia metta l’intervento sui beni
culturali come priorità dell’agenda europea. Inoltre occorre
regolare per legge incentivi e facilitazioni fiscali per i privati
che intendano intervenire sui beni culturali, come sarebbe
essenziale avere una politica di incentivazione delle erogazioni
liberali a favore degli interventi sui beni e la produzione
culturale.
- 5 -
In realtà il declino non è certo dei ricercatori che, nonostante i
tagli devastanti delle risorse, sono ancora una punta di eccellenza.
Occorre innanzitutto togliere i ricercatori dalla precarietà. Chi
verrebbe a studiare e fare ricerca in un Paese che non è in grado di
assicurare una prospettiva ai suoi ricercatori? I nostri vanno
all’estero, ma nessuno o quasi viene in Italia. Per questo occorre
restituire all’università e alla ricerca le risorse tagliate negli
ultimi anni, fino all’ultima legge di stabilità che, come ha ammesso
lo stesso Profumo, ha ridotto molte Università sull’orlo del
default. Inoltre dobbiamo togliere i vincoli alle assunzioni e fare
i concorsi, sbloccare atenei e centri di ricerca, portare in
cattedra i giovani, eliminare il lavoro gratuito nell’università. Se
si riuscisse a far intendere che il Paese ha deciso finalmente di
puntare sulla ricerca, di voler valorizzare le sue risorse, questo
sarebbe essenziale per rilanciare l’innovazione in tutto il sistema.
Oscar Giannino. Beni culturali liberi dallo Stato
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In Italia la quota di Pil da cultura in senso ampio è del 5,4 per
cento. Gli occupati del settore in Italia sono oltre 1 milione, con
una crescita annua dello 0,8% fra il 2007 e il 2011, a dimostrazione
della capacità della cultura di essere anticiclica rispetto al calo
dello 0,4% complessivo. Dovrebbe essere vista, a cavallo tra
turismo, stile e made in Italy, come un moltiplicatore di risorse.
Prima che l’entità delle risorse, il problema riguarda però il modo
in cui esse vengono spese. Occorre ripensare il ruolo del settore
pubblico in tali ambiti e le modalità con cui la spesa pubblica
viene gestita. Per quel che riguarda scuola e università, la
dotazione di risorse va aumentata, ma con meccanismi che premino il
merito (sia a livello di individuo che di istituto) e garantiscano
piena autonomia e responsabilità. Nel caso della ricerca è poi
essenziale favorire la possibilità di investimenti privati. Analogo
è il ragionamento a proposito del patrimonio culturale del nostro
Paese, dove lo Stato si è ritagliato un ruolo troppo ampio per le
sue risorse. Rivedere e diminuire le funzioni del settore pubblico
nella amministrazione del patrimonio è necessario per utilizzare
meglio il denaro pubblico, aprendo spazi a nuovi soggetti per una
gestione “altra” dei beni culturali italiani. Questo implica anche
una sostanziale riduzione della burocrazia legata alla
valorizzazione dei beni artistici e culturali.
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In primo luogo attraverso un maggior coinvolgimento dei privati –
profit e non profit – per la valorizzazione del patrimonio artistico
e monumentale tramite un ampliamento temporale della “concessione”,
la valutazione di strumenti giuridici come il global service e la
concessione di valorizzazione e delega dei servizi pubblici. Senza
dimenticare l’affidamento di beni non accessibili o in disuso a
comitati artistici privati. Serve una cabina di regia centrale di
indirizzo, costituita in primis da giovani e donne di provata
esperienza nel settore di riferimento e nell’uso delle nuove
tecnologie, che premi trasparenza, economicità, innovazione e
sostenibilità. Vanno incentivate fiscalmente imprese e privati che
investono in cultura, ad esempio equiparando fiscalmente le
sponsorizzazioni alle donazioni, liberalizzando i prezzi in ambito
editoriale e riordinando il settore con l’uso delle nuove
tecnologie, per facilitarne la promozione e la fruizione per i
cittadini italiani e stranieri. Lo Stato deve ritagliarsi un ruolo
di sorveglianza e di controllo, incentrato soprattutto sulle
funzioni di tutela. Per dare dinamismo al settore, occorre anche
rimuovere molte delle limitazioni sull’esercizio dei diritti di
proprietà di beni privati (si pensi ad esempio agli effetti della
cosiddetta “notifica” sul mercato dell’arte). Inoltre andrebbero
inseriti maggiori elementi di mercato anche in altri ambiti
culturali (cinema, spettacolo dal vivo, eccetera), in particolare
attraverso la rimozione dei sussidi.
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Attraverso un sistema scolastico strutturato in maniera differente,
la pratica artistica e musicale nelle scuole non costituirebbe un
“problema”. Allo stato attuale, invece, la scelta della didattica
mediante programmi ministeriali decisi a livello centrale impone
alle scuole rigidi standard e poco margine di flessibilità. Le
scelte dovrebbero essere lasciate alle singole scuole, che –
all’interno di criteri generali stabiliti a livello centrale –
potrebbero scegliere come impostare la didattica, tenendo conto
delle specificità locali e privilegiando pertanto alcune materie
rispetto ad altre o alcuni metodi d’insegnamento rispetto ad altri.
Saranno poi le famiglie a valutare le proposte formative e a
decidere in quale istituto far studiare i propri figli. Questo
approccio è peraltro coerente con la nostra idea di riforma
“meritocratica” della scuola: un istituto deve essere finanziato
sulla base della sua capacità di garantire un’offerta didattica di
qualità, e dunque di attrarre studenti anche creando percorsi di
apprendimento innovativi e diversificati. In questo senso agli
istituti va garantita la massima autonomia, anche nella selezione
del personale docente.
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I problemi dell’industria creativa sono per molti versi simili a
quelli dell’intero tessuto produttivo italiano, e riguardano la
difficoltà di “fare impresa”: fisco complesso e vessatorio,
inefficienza della giustizia, rigidità del mercato del lavoro,
difficoltà nell’accesso al credito. Pure in questo ambito è pertanto
fondamentale rimuovere i numerosi vincoli derivanti dal quadro
regolatorio italiano per ottenere nuove opportunità, in termini di
crescita economica e occupazionale. I beni culturali non sono ancora
digitalizzati, per esempio un visore asservito a gps con prospettiva
tridimensionale e software che riproducesse i Fori Imperiali
renderebbe i meri scavi attuali un vero e proprio parco tematico
accrescendo visitatori ed entrate. Occorrono agevolazioni fiscali
per poli retailer (librerie, sale cinematografiche, punti vendita
musicali), la conferma definitiva potenziata del tax shleter e tax
credit per le produzioni audiovisive.
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Riteniamo si debba intervenire secondo tre direttrici. In primo
luogo, occorre introdurre meccanismi di valutazione della
performance e meritocrazia nell’ambito dell’università e della
ricerca. Chi produce di più – sia nella ricerca sia nella didattica
– deve veder riconosciuto il suo impegno. Ciò deve valere sia a
livello di individuo, sia a livello di dipartimento. Inoltre, è
importante introdurre meccanismi di peer review che consentano di
razionalizzare il finanziamento dei progetti di ricerca.
L’università stessa deve assumere una dimensione internazionale, a
partire da un più intenso utilizzo nella lingua inglese. Bisogna
sforzarsi di aumentare le risorse a disposizione dell’università. Da
ultimo, valgono per la ricerca una serie di interventi di portata
più generale: per esempio, poiché l’investimento in ricerca è
soprattutto investimento in persone, l’abolizione dell’Irap è un
elemento di grande rilevanza, così come la detassazione degli
investimenti privati in ricerca.