Futuro tagliato e obiettivi mancati

Francesco di Lorenzo, Fuoriregistro 7.12.2013

La scuola italiana è senza prospettive. Un'affermazione del genere aleggia sempre di più nelle notizie sul nostro sistema scolastico e porta con sé un carico di pensieri che risulta molto pesante. E quand'anche si voglia cacciar via il pessimismo, resta poco e nulla su cui contare, su cui scommettere.
A far pendere il bilancino dal lato del pessimismo, diciamo così, contribuisce anche (non poco) questa notizia: nel programma del futuro governo tedesco di larghe intese (come da noi?) c'è la promessa che si tradurrà in realtà (loro sono così, hanno il piccolo difetto di far seguire i fatti alle promesse) di investimenti in infrastrutture e in istruzione. Abbiamo capito bene, loro investono nell'istruzione, sapendo che poi l'investimento darà i suoi frutti. Noi oltre che tagliare, al limite non investiamo, e questo da anni, perché qualcuno ha deciso che il futuro dei nostri figli e nipoti non ci interessa più.
Quindi, a differenza di altri che ci tengono al loro sviluppo, nell'assoluta indifferenza noi stiamo tagliando il futuro a generazioni intere con una superficialità che fa paura. Per capire la gravità della nostra condizione, proviamo ad immaginare la nostra scuola tra qualche anno. Buio totale. Bisogna fare esercizi di fantasia assolutamente acrobatici per intravedere una qualsiasi forma, che naturalmente sarà sconfessata, perché nella realtà non esiste nulla che faccia prevedere qualcosa di positivo. Ci avvolge un vuoto assoluto che si respira con grande normalità. Ed è grave che sia le forze sociali che i partiti non abbiano un'idea di scuola da proporre, che non si abbia in mente quale scuola sarebbe giusta per il nostro paese. È da anni che tutti, in tutti gli schieramenti, si limitano ad amministrare il contingente, a rimediare i disagi, ad aggiustare alcuni particolari del sistema educativo. Ma si fa solo questo. Che è certo importante, ma non basta. Il futuro e lo sviluppo del nostro sistema scolastico risultano pesantemente assenti.

Sul fronte sindacale anche se in forme scoordinate, nel senso che ognuno porta in piazza la sua singola manifestazione, continua la protesta in primo luogo dei precari. Bussano alla porta ormai tutte le varie forme di precariato che siamo riusciti a costruire nel tempo all'interno del comparto scuola. Urge, sarebbe utile, anche in questo campo un coefficiente di chiarezza più netto e determinato. Qualcuno che indichi la strada e che una volta presa una decisione la porti avanti senza tentennamenti. Ma, qui, siamo nel campo della pura illusione: il fatto certo è che nessuno sa come uscire da questa situazione. Il fallimento della politica in questo campo è totale. Spostando il problema sempre più avanti e dando la colpa a quelli di prima, si è giunti al capolinea. Tutti appiedati, ma nessuno si muove. I sindacati, che si dividono portando ognuno la propria fetta di protesta, certo non aiutano.

Una piccola annotazione sulle proteste che gli studenti in alcune città italiane stanno portando avanti. A Roma, a Napoli e a Bologna, ma anche in altre città italiane, non in tutte, ci sono varie scuole occupate. Gli studenti, si sa, vogliono tutto. Chiedono l'assunzione di tutti i precari della scuola, l'abolizione delle prove Invalsi, il ritiro della sperimentazione del liceo di quattro anni. A voler leggere il fenomeno però, si capisce che dietro c'è il desiderio forte di una scuola migliore, il desiderio di avere un futuro che la maggior parte di loro presagisce di non avere.
Certo, i benpensanti possono rispondere, come si sta facendo, che è tutto un problema di ordine pubblico e quindi da reprimere, tacitando così le loro coscienze. Quello che invece lascia perplessi è la risposta del ministro Carrozza che ha bollato il fenomeno (come tutti i benpensanti) dicendo che è solo un rito e che le occupazioni si fanno solo quando si ha un obiettivo. Beh, proprio sugli obiettivi lasci stare ministro, o almeno espliciti prima i suoi.