“Quota 96”, la suprema Corte dice
no!
di Pasquale Almirante, La
Tecnica della Scuola
17.12.2013
Con Ordinanza
318/2013 depositata il 17/12/2013 la Corte Costituzionale non
riconosce al personale della scuola della “Quota 96” il diritto alla
pensione. Tutto torna in mano alla politica, se ad essa piaccia
La Consulta dunque nella sentenza emessa oggi, 17 dicembre, dichiara
la “manifesta inammissibilità” della questione di legittimità
costituzionale dell’art. 24, ma non entra affatto, tuona il prof.
Giuseppe Grasso dal blog dei “Quota 96”, nel merito dell’ordinanza
emessa dal Tribunale del Lavoro di Siena, che aveva accolto la
richiesta di pensionamento di una docente, e quindi viene giudicata
“manifestamente inammissibile per una pluralità di ragioni”.
“Ritenuto che
nel corso di una controversia di natura previdenziale proposta da
una docente a tempo indeterminato nei confronti del Ministero
dell’istruzione, dell’università e della ricerca, il Tribunale
ordinario di Siena, in funzione di giudice del lavoro, ha sollevato,
in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 38, 97 e 117, primo comma, della
Costituzione – quest’ultimo richiamato in relazione all’art. 6,
paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti
dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la legge 4
agosto 1955, n. 848 – questione di legittimità costituzionale
dell’art. 24, comma 3, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201
(Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento
dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 22 dicembre 2011, n. 214, «nella parte in cui
non appresta per il lavoratore pubblico una gradualità di uscita al
pari del lavoratore privato, in ogni caso nella parte in cui (comma
3) non differenzia, con particolare riguardo al settore scolastico,
rispetto alla data del 31 dicembre 2011, il dies ad quem della
maturazione dei requisiti pensionistici secondo la normativa
previgente»;
che il Tribunale di Siena osserva come la lavoratrice ricorrente
avrebbe avuto diritto, in base alla previgente normativa, ad essere
collocata in pensione alla data richiesta; infatti, secondo la
previsione dell’art. 1, comma 6, della legge 23 agosto 2004, n. 243
(Norme in materia pensionistica e deleghe al Governo nel settore
della previdenza pubblica, per il sostegno alla previdenza
complementare e all’occupazione stabile e per il riordino degli enti
di previdenza ed assistenza obbligatoria), in linea con quanto
stabilito dall’art. 59, comma 9, della legge 27 dicembre 1997, n.
449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), la
cessazione dal servizio sarebbe potuta avvenire a decorrere dal 1°
settembre (data di inizio dell’anno scolastico) dell’anno 2012 per
coloro i quali, come la ricorrente, maturavano i requisiti necessari
entro il 31 dicembre 2012 (sessanta anni di età e trentasei di
contribuzione);
che nell’anno 2011 si sono avute varie manovre correttive della
finanza pubblica, che hanno fatto venire meno il diritto della
lavoratrice al collocamento in pensione alla data prevista;
che, a questo proposito, il remittente richiama l’art. 1, comma 21,
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito,
con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha
spostato di un anno in avanti la possibilità di essere collocati in
pensione per coloro i quali maturavano i requisiti per il
pensionamento con effetto dal 1° gennaio 2012;
che l’art. 24, comma 3, del d.l. n. 201 del 2011, mentre ha fatto
salvo il diritto al conseguimento della pensione secondo la
normativa previgente per coloro i quali raggiungevano i requisiti
entro il 31 dicembre 2011, ha completamente innovato il regime delle
prestazioni previdenziali a decorrere dal 1° gennaio 2012, sicché la
lavoratrice ricorrente non può più accedere alla pensione di
anzianità, potendo solo aspirare all’ottenimento della pensione di
vecchiaia, sulla base dei requisiti di cui ai commi 6 e 7 del
censurato art. 24, oppure della pensione anticipata, secondo i
requisiti dei commi 10 e 11 del medesimo articolo;
che, in particolare, per le lavoratrici dipendenti del settore
pubblico sono richiesti, a decorrere dal 1° gennaio 2012, requisiti
di età e di contribuzione che la docente ricorrente non possiede,
per cui la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma
impugnata «è l’unica strada percorribile per conseguire il
riconoscimento del diritto affermato»
In altre parole
la Corte Costituzionale, come spesso accade, ha deciso di non
decidere nello specifico ma esprimendosi solo sulla “forma” della
sentenza e non sulla sostanza effettiva dell’ordinanza del Giudice
del Lavoro di Siena.
Ma soprattutto,
secondo una prima sommaria lettura di quanto dice la suprema Corte,
lascia inevasi sia il problema temporale della entrata in vigore
della legge Fornero e sia quello della disparità di trattamento
pensionistico fra pubblico e privato.
Viene inoltre non
considerato, e i lavoratori della scuola per questo sono molto
contrariati, la questione delicatissima della specificità del
personale della scuola che può contare solo su una finestra di
uscita, corrispondente con la chiusura dell’anno scolastico.
Il punto dunque
torna al suo inizio e cioè alla politica che in molti incontri, nel
corso di questi due anni (governo Monti e successivo Governo Letta)
aveva riconosciuto questa penalizzazione, per cui tocca ad essa
risolvere un marchingegno legale penalizzante.
Per questo,
sempre il prof Grasso tuona dal suo osservatorio: “Resta ancora da
vedere, dopo questa sentenza, se alcune porte potranno aprirsi,
soprattutto sul versante politico, o se invece si chiuderanno
definitivamente per noi”.