Autonomia va cercando

di Gian Carlo Sacchi Educazione & Scuola 28.4.2013

La debolezza della politica scolastica in questo periodo è sotto gli occhi di tutti. La struttura del sistema rimane sempre la stessa ma viene svuotata dall’interno; ci sono i vincoli per tutti ma non le risorse per poterli praticare, mentre sono i territori, per non dire a volte solo le famiglie, che devono sempre di più assicurarsi il diritto allo studio senza poter intervenire per conferire maggiore equilibrio tra le domande del territorio stesso e le risposte sempre più affannose e inadeguate che vengono dal centralismo burocratico.

Alcuni documenti comparsi in questi ultimi tempi che cercano di andare oltre la routine e i soliti slogan che anche nella recente campagna elettorale ci hanno cosparso di tecnologie e di demagogiche promesse ai precari, tornano a parlare seppure in modi diversi di autonomia e flessibilità dell’organizzazione scolastica per poter dialogare efficacemente con la società in trasformazione.  I segnali sono contraddittori, partono dal richiamo ” all’autonomia responsabile”, affermazione adottata dal governo Monti, in cui però si fa prevalere l’aggettivo sul sostantivo, sotto la minaccia della valutazione.

Non viene sostenuta infatti l’autonomia delle scuole e dei sistemi formativi territoriali , a cominciare dall’applicazione del nuovo (2001) titolo quinto della Costituzione, rimasto fin qui lettera morta; è dall’incentivare l’iniziativa locale che si avrebbe come contropartita il rendere conto del raggiungimento dei comuni obiettivi nazionali: una valutazione senza autonomia non migliora il risultato, rischia di portare le già gracili istituzioni scolastiche al collasso. Sembra una contraddizione promuovere l’autonomia con la valutazione come è detto nel recente regolamento approvato dal Consiglio dei Ministri; se non si può agire è difficile sperimentare la responsabilità e poter decidere da ciò che appare come criticità la realizzazione di un piano di miglioramento.

Sia che sia auto, sia che sia etero valutazione il problema è quali margini di manovra ha il soggetto valutato per migliorare. Avere persone esperte che vanno nelle scuole, interagiscono con il personale, consigliano interventi migliorativi, ben vengano se sono guidati dalla competenza, dalla ricerca educativa ed hanno a loro volta autonomia culturale e professionale, cosa che non si può dire fin qui di chi le recluta e fornirà loro gli indirizzi di lavoro.

L’Europa ci bacchetta perché non abbiamo un servizio nazionale di valutazione, ma in molti Paesi esso è indipendente dalla burocrazia ministeriale; quest’ultima da noi governa direttamente il sistema, a cominciare dai dirigenti scolastici, con buona pace di chi teorizza una loro leadership educativa, e non si limita, come invece prevede la Costituzione, ai Livelli Essenziali delle Prestazioni, che sono ancora di la da venire. Siamo passati dal controllo degli adempimenti (ispettori) al controllo dei risultati (INVAlSI), ma la regìa è sempre la stessa, anzi si amplia anche nella direzione del controllo dell’innovazione (INDIRE).

Altro che “rendicontazione sociale”, la comunità dovrà limitarsi a leggere delle statistiche, rimanendo in attesa che qualcosa cambi, ma senza sapere bene per opera di chi;  spendere un ingente patrimonio per fare diagnosi forse non serve, anche se il decreto ne sembra convinto, a superare l’attuale crisi economica.

Se si esce dall’autoreferenzialità si nota che le analisi condotte dal Ministro Giarda su alcuni settori della spesa pubblica, ma non è il primo documento di Pietro Giarda in tal senso, portano alla necessità di allineare i sistemi di governo di sanità e istruzione, decentrando evidentemente quest’ultima, in modo che anche i rapporti finanziari centro-periferia possano essere a loro volta allineati. La maggior parte del gettito dell’IMU, e gli orientamenti del federalismo fiscale, ribadisce il documento del ministero per i rapporti con il parlamento, dovrebbe tendere in modo significativo  all’istituto della compartecipazione, mentre oggi la parte prevalente (oltre il 60% delle spese) è assicurata dal trasferimento statale.

I pronunciamenti dei “saggi”, che dovrebbero costituire una sorta di programma per il nuovo governo, rimarcano il varo da parte della conferenza stato-regioni del decreto sui suddetti Livelli Essenziali, così come confermano per il settore dell’istruzione la formulazione del nuovo art. 117 della Costituzione per quanto riguarda le “competenze concorrenti”, anche se è ben presente il rischio di produrre diseguaglianze nelle divere parti del Paese (ma il centralismo sin qui non ha assicurato l’equità). Giarda parla di “una burocrazia dispersa a governare  un esercito di più di un milione di dipendenti pubblici che operano in strutture tecnologicamente molto arretrate”.

La Costituzione stessa prevede la “sussidiarietà verticale”, ma un conto è il necessario intervento perequativo, un altro è un’autonomia che all’inizio poteva essere anche accompagnata ma che di fatto è stata irretita.

E’ interessante vedere come sempre il gruppo che si è occupato delle riforme istituzionali abbia ripreso la tematica della riforma della finanza locale, con la motivazione che proprio la crisi economica potrebbe “costituire la ragione per esaltare le ragioni del federalismo fiscale . Questa riforma (L. 42/09 e successivi decreti applicativi), infatti, rafforza la responsabilità delle autonomie territoriali nella gestione dei propri bilanci (il contrario di quanto sostenuto nel decreto sulla valutazione) a partire da una ripartizione delle risorse pubbliche tra tutti i livelli di governo  e tra enti decentrati ispirata a criteri di equità  e di efficienza. La riforma, è opinione dei saggi, non va lasciata nel limbo, va invece ripresa come componente essenziale  delle politiche per il rilancio del Paese”.

Un documento del tutto nuovo rispetto alle tradizioni ministeriali è quello relativo alle norme tecniche di funzionalità edilizia e urbanistica. Si parla di superamento della centralità dell’aula e di una scuola come luogo integrato di microambienti per attività differenziate; di un principio di autonomia di movimento per lo studente. Qui il docente non ha un posto fisso, si muove tra vari tavoli per facilitare l’apprendimento; una diversa organizzazione degli spazi dovuto soprattutto all’uso delle tecnologie.  L’adattabilità di detti spazi si estende anche all’esterno, offrendosi alla comunità locale: la scuola si configura come un civic center in grado di fungere da motore del territorio e di valorizzare istanze sociali, formative e culturali.

L’aula moderna non è l’unico spazio e non è centrato sul docente, ma uno dei tani spazi di un percorso di apprendimento centrato sullo studente. Atelier, laboratorio in cui gli studenti possano muoversi in autonomia; diversificazione delle occasioni formative anche con funzioni individualizzanti. Spazi per apprendere in modo informale, relazionale, di ricerca per i docenti, biblioteche, archivi, centri di documentazione; cucine, caffetterie e zone relax.

E’ vero che le Indicazioni Nazionali per il curricolo nei vari gradi scolastici fanno frequente riferimento ai laboratori e ad una didattica attiva, ma definire l’aula un non luogo va ben oltre una questione metodologica interna all’agire didattico; l’autonomia dello studente in un’ottica di personalizzazione dei percorsi formativi richiede autonomia della scuola per poter vivere il suo ruolo, come è definito, di civic center.

Quando ci saranno le condizioni per poter operare una simile riconversione non si venga a dire che bastano le tecnologie per realizzarla. Anzi, queste ultime permetteranno e richiederanno  una organizzazione diversa degli spazi di apprendimento, nell’ambito di una strategia “costruttivista” se verranno abbinate ad una nuova governance degli istituti e ad un loro più deciso ruolo nella realtà territoriale.

Pur muovendo da situazioni e da posizioni diverse si arriva sempre lì, a ridiscutere del problema dell’autonomia; una svolta in tal senso tanto invocata potrebbe sistemare tante cose, di carattere pedagogico, economico, organizzativo e sociale. E’ quello che il nuovo governo può fare a legislazione invariata.