Nell'attesa del nuovo Ministro
non si diradano le nebbie sulla scuola italiana

La scuola attende risposte dal nuovo governo
che si sta per varare. Il tempo delle attese è finito.

Michele Andonaia il Mediano.it, 24.4.2013

L’elezione del Presidente della Repubblica è stata una delle pagine più travagliate e arraffazzonate nella storia politica del dopoguerra. Tra l’esplosione delle contese e l’implosione di una intera classe politica si è partoriti il Napolitano-bis, il nuovo-vecchio Presidente che dovrebbe traghettare l’Italia fuori dalle sacche della stagnazione e dettare l’agenda politica a questa classe di parlamentari disorientati.

Non cambiare nulla affinché nulla cambi, potremmo parafrasare Tomasi di Lampedusa, un usato garantito che farà nascere governi di larghe intese, di scopo, del Presidente, governissimo o governicchio. Ben poco importa. E ben poco importa se gran parte del Paese auspicava un radicale rinnovamento, una rinascita etico-politica che rifondasse la speranza, che gettasse nel dimenticatoio modi e stilemi da prima e seconda Repubblica. Questa è una classe politica che non ha il coraggio di cambiare e che preferisce stare ferma nelle sabbie mobili ad affondare lentamente. Chiunque riceverà dal Colle il mandato di formare il governo e scegliere gli inquilini dei vari Dicasteri dovrà fare i conti con una situazione delicata, dalla riforma elettorale a quella sul finanziamento pubblico ai partiti, dal credito alle imprese alla disoccupazione dilagante.

Inoltre, dovrà occuparsi di tutto il settore dell’Istruzione e della Formazione e avere la forza e il coraggio di essere innovativo e in controtendenza con i predecessori. Invero, non siamo affatto fiduciosi anzi siamo seriamenti preoccupati. Se si scorre la playlist dei dieci “saggi” istituiti da Napolitano col compito di tracciare un programma politico condiviso da tutte le forze presenti in parlamento, una sorta di pre-inciucio istituzionale che precede l’inciucio vero e proprio, si nota che l’attenzione dedicata dai nostri sapienti alla Cultura e all’Istruzione è veramente poca. Si parla di agenda digitale, di alternanza scuola-lavoro, abbandono scolastico e poco altro. Nessuna parola sul ruolo di centralità della scuola all’interno del processo di ricostruzione sociale. Nessuna attenzione alla funzione imprescindibile della cultura in un Paese che deve rifondare le proprie fondamenta partendo dalla costruzione delle nuove generazioni.

Nessuna critica all’opera di impoverimento economico, umano, culturale, di immagine inferto dai governi precedenti. Siamo alle solite. Nella caligine densa di una crisi delle forze politiche da immolare sull’altare della salvezza della Patria vi sarà ancora una volta la Scuola Pubblica, la Sanità e i lavoratori. Ma il settore dell’Istruzione e della conoscenza non può più aspettare. Il tempo delle attese è finito. La campanella dell’ultima ora è suonata da un pezzo. Avremmo voluto un governo nuovo con il coraggio di affrontare le sfide di una società dinamica e in trasformazione. Avremmo desiderato risposte nuove e convincenti a domande che da sempre ci poniamo. In primis, una profonda rivisitazione delle riforme abbattutesi sulla scuola a partire dalla famigerata Riforma Gelmini. Una ecatombe di personale cancellato in nome del risparmio, una contrazione del numero delle ore e un impoverimento dei programmi in tutti gli ordini scolastici. Successivamente, una nuova stagione di investimenti.

Dalla messa in sicurezza di scuole e università, alla creazione di laboratori e spazi idonei allo svolgimento del tempo-scuola che è, soprattutto, tempo-vita. Una nuova civiltà del concetto di insegnante che rimetta al centro la figura del docente, derubricandolo dalla lista puramente numerica e riportandolo nella sfera nominalistica della persona. Una rivoluzione copernicana che rispedisca al mittente le politiche ragionieristiche di mero calcolo numerico per riaffermare con forza la dignità dell’insegnamento. Docenti fortemente motivati e aggiornati con una remunerazione, almeno questa, di stampo europeo. Tutti noi guardiamo con ansia all’altra sponda del Tevere.

Aspettiamo risposte non più procrastinabili. Abbiamo paura che ancora una volta ci serviranno la solita minestrina riscaldata e la solita manfrina delle poche risorse e dei tagli inevitabili. Il mondo della scuola, dalla materna all’università, è stanco di aspettare. Questa volta non è in gioco “solo” il destino di centinaia di migliaia di docenti e Ata, ma le sorti di una intera nazione.