Pensioni 2012: svantaggi non solo per esodati. In Italia si andrà in pensione più tardi che nel resto d’Europa: cosa cambia di Marianna Quatraro Business on line, 25.3.2012 Con l’estensione del sistema contributivo per tutti, entrato in vigore dal primo gennaio 2012 con la riforma delle pensioni del Governo Monti, e con la consapevolezza, che ormai dovrebbe essere maturata in tutti, che più tempo si lavora e più si percepirà di pensione, sembra che gli assegni al termine della vita lavorativa dovrebbero essere dignitosi. Ma non è tutto oro quel che luccica: da alcuni esempi ottenuti utilizzando il software della società Epheso, disponibile sul sito del Sole 24 Ore, che mette a confronto due simulazioni pensionistiche con le regole pre e post riforma, emerge che la pensione che si ottiene con l'applicazione delle nuove regole è più elevata rispetto a quella che si sarebbe ottenuta con le vecchie perché si lavora di più e si versano più contributi. Ma il sistema permette anche di calcolare i vantaggi o gli svantaggi in relazione ai contribuiti effettivamente versati e alla pensione attesa, cioè quella idealmente incassata sulla base della speranza di vita residua al pensionamento. Nel 2020 quando le nuove regole entreranno a regime, l'Italia avrà il record dell'età pensionabile più alta tra tutti i Paesi dell'Unione Europea: nel Belpaese si andrà i pensione sempre più tardi, secondo le previsioni della stessa Commissione e si arriverà ad un'età di 68 anni e 11 mesi nel 2040, 69 anni e 9 mesi nel 2050 e a 70 anni e 3 mesi nel 2060 secondo l'andamento della speranza di vita attuale. Un'età che al di sopra anche di quella della Germania e della Danimarca rispettivamente 65 anni e 9 mesi e 66 anni. E di questa lunga uscita dal lavoro, ciò che si discute è l'inadeguatezza economica delle pensioni che con le stesse riforme e l'introduzione del sistema contributivo sicuramente subiranno un decurtamento sostanziale, anche se leggermente mitigato proprio dalla vita lavorativa più lunga. Prendendo, per esempio, il caso di un impiegato o operaio di un’azienda privata, nato a gennaio del 1975, con un’anzianità accreditata di 10 anni e 0 mesi, un reddito annuo lordo di 20.000 euro e una previsione di carriera assestata (inflazione +1%), con le vecchie regole avrebbe versato 212mila euro di contributi per incassare un pensione teorica di 225mila. Con le regole attuali, i contributi futuri saranno di circa 250mila euro e la pensione totale di 237mila, con una perdita di circa 25mila euro e un indice di penalizzazione, calcolato in percentuale come quoziente tra l'importo della penalizzazione rispetto alla somma di tutte le pensioni attese, del 10,5%. |